Visualizzazione post con etichetta Variazione iva nelle procedure concorsuali. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Variazione iva nelle procedure concorsuali. Mostra tutti i post

07/08/22

La variazione in diminuzione Iva nelle procedure concorsuali - Le novità introdotte dal Decreto Sostegni bis

 L’art. 18 del D.L. n. 73 del 25 maggio 2021 (Decreto Sostegni bis) è intervenuto sulla disciplina della nota di variazione in diminuzione Iva, anticipandone il momento di emissione nelle procedure concorsuali.


Prima di analizzare la portata della riforma, si ritiene necessario esporre il solco normativo e giurisprudenziale nel quale la stessa si inserisce.


Sommario


-La variazione in diminuzione Iva

-Nota di variazione Iva per mancato pagamento a causa di procedura concorsuale

-L’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria

-La giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea

-Le novità introdotte dal Decreto Sostegni bis

-La variazione in diminuzione Iva


A seguito dell’emissione e registrazione di una fattura, può accadere che si renda necessario apportarvi una rettifica che riduca l’imponibile o la relativa imposta, ad esempio in conseguenza di eventi sopravvenuti o, anche, di errori nella fatturazione. Più precisamente, le ipotesi normativamente previste che possono comportare una variazione in diminuzione consistono principalmente nell’eliminazione del contratto (nullità, annullamento, risoluzione, rescissione), nella riduzione del corrispettivo (abbuoni o sconti) o nell’inadempimento del cessionario/committente.


In tali casi, è prevista dall’art. 26 del D.P.R. n. 633 del 26/10/1972 (Decreto Iva) la possibilità per il cedente di emettere apposita nota di variazione (o nota di credito), che, annotata nel registro degli acquisti, gli attribuisce il diritto di detrarre la corrispondente imposta di cui si era reso debitore con la fattura originariamente emessa. Dall’altro lato, il cessionario dovrà registrare la variazione annotandola nel registro delle vendite, così sorgendo in capo al medesimo un debito Iva pari alla detrazione effettuata in precedenza.


Tale meccanismo mira a garantire la neutralità dell’imposta per i soggetti passivi. Per quanto qui rileva, infatti, in caso di inadempienza del cessionario, il cedente, emettendo la fattura, si rende debitore nei confronti dello Stato, ma si trova poi a non poter incassare l’Iva con l’esercizio della rivalsa.


È così che l’emissione della nota di variazione in diminuzione consente di sgravare il cedente dall’onere del tributo in precedenza sostenuto e non recuperato in rivalsa.


Nota di variazione Iva per mancato pagamento a causa di procedura concorsuale

L’emissione della nota di variazione assume particolare rilevanza con riguardo alle procedure concorsuali a cui viene assoggettato il cessionario (debitore di rivalsa), in quanto in tali procedimenti emergono con evidenza lo stato di insolvenza del medesimo e, quindi, la sopra citata insolvenza, che costituisce presupposto per il sorgere del diritto alla detrazione.


Solo con la Legge n. 30/1997 (di conversione del D.L. n. 669/1996) venne aggiunto all’art. 26 comma 2 del Decreto Iva, tra gli altri presupposti previsti per l’emissione della nota, il “mancato pagamento   in   tutto   o   in parte a causa dell'avvio di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose”.


Successivamente, l'art. 13-bis, comma 1, del D.L. n. 79 del 28/03/1997, convertito con modificazioni dalla Legge n. 140 del 28/05/1997, aveva eliminato il sintagma “dell'avvio”.


Nella versione previgente all’attuale, quindi, l’art. 26 comma 2 del D.P.R. n. 633 del 26/10/1972 subordinava il diritto del cedente o prestatore di servizi di emettere la nota di variazione IVA in diminuzione, tra le altre ipotesi, al “mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose”.


La norma, invero, non chiariva quale fosse il momento in cui potesse dirsi integrato il presupposto del mancato pagamento e, quindi, quando sorgesse il diritto all’emissione della nota. Inoltre, essa nemmeno specificava le eventuali differenze che potessero intercorrere in relazione alle diverse procedure concorsuali previste dall’ordinamento.

L’innovativo sistema di risorse informative per offrire una consulenza di valore ed affrontare le diverse fasi previste dalla Legge Fallimentare e dal nuovo Codice della crisi d’impresa.

L’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria

L’Amministrazione finanziaria è intervenuta a colmare in via interpretativa tali lacune con la Circolare Ministeriale n. 77 del 17 aprile 2000. Ha affermato, in primo luogo, che “l’ipotesi di mancato pagamento a causa di procedure concorsuali rimaste infruttuose […] viene giuridicamente ad esistenza allorquando il soddisfacimento del creditore attraverso l’esecuzione collettiva sul patrimonio dell’imprenditore viene meno, in tutto o in parte, per insussistenza di somme disponibili, una volta ultimata la ripartizione dell’attivo” e che “il verificarsi di tale evento postula, quindi, in via preventiva, da un lato l’acclarata insolvenza dell’importo fatturato e l’assoggettamento del debitore a procedura concorsuale, dall’altro la necessaria partecipazione del creditore al concorso”.


In altri termini, il diritto alla detrazione, secondo la tesi dell’Amministrazione, non solo sorge una volta ottenuta definitiva certezza dell’incapienza del patrimonio del debitore, ma soltanto se il creditore abbia fattivamente partecipato alla procedura concorsuale (insinuandosi, ad esempio, nel passivo fallimentare).


La Circolare ha specificato, altresì, per ogni procedura concorsuale quale sia il momento in cui l’insolvenza dell’importo fatturato possa ritenersi acclarata e, quindi, l’insolvenza possa dirsi cristallizzata in via definitiva:


fallimento: la scadenza del termine per le osservazioni al piano di riparto, oppure, ove non vi sia stato, la scadenza del termine per il reclamo al decreto di chiusura del fallimento stesso;

liquidazione coatta amministrativa: la scadenza del termine per le contestazioni al bilancio finale della liquidazione, al conto della gestione ed al piano di riparto, decorso il quale essi si considerano approvati;

concordato fallimentare: il passaggio in giudicato della sentenza di omologazione del concordato;

concordato preventivo: si può parlare di infruttuosità della procedura solamente per i creditori chirografari per la parte percentuale del loro credito che non trova accoglimento con la chiusura del concordato e, a tal fine, occorre aver riguardo, oltre che alla sentenza di omologazione divenuta definitiva, anche al momento in cui il debitore concordatario adempie agli obblighi assunti in sede di concordato. Ulteriormente, nel caso in cui nell’ambito concordato intervenga il fallimento della società debitrice, la rettifica in diminuzione potrà essere operata “solo dopo che il piano di riparto dell’attivo sia divenuto definitivo ovvero, in assenza di un piano, a chiusura della procedura fallimentare”;

amministrazione controllata e amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi: la norma non è ritenuta applicabile.

Tale ricostruzione è stata nel tempo ribadita dalla stessa Amministrazione finanziaria con le risoluzioni n. 155/E del 12/10/2001, n. 89/E del 18/03/2002 e n. 195/E del 16/05/2008, nonché con le risposte a interpello n. 33/2020 e 192/2020, che, di fatto, hanno richiamato il contenuto della Circolare citata.


La riportata tesi ha trovato, inoltre, alcune adesioni giurisprudenziali: la Corte di Cassazione, Sez. V, con la sentenza n. 1541 del 27/01/2014, ha affermato che “appare condivisibile l'affermazione dell'Ufficio secondo il quale l'art. 26 sopra citato deve essere interpretato nel senso che è necessaria la partecipazione del creditore alla procedura concorsuale e che la prova dell'infruttuoso esperimento del recupero concorsuale emerge solo a seguito dell'infruttuosa ripartizione finale dell'attivo oppure, in mancanza, con la definitività del provvedimento di chiusura del fallimento” e, richiamando un proprio precedente (Corte Cass., Sez. V, sentenza n. 27136 del 16/12/2011), che solo in tale momento si può ritenere “sia certo – almeno in senso relativo in quanto non può escludersi che il debitore possa in futuro tornare "in bonis" – l'esito infruttuoso dell'esecuzione giudiziale e non vi sia dubbio alcuno sull'incapienza (totale o parziale) del patrimonio del debitore e sulla definitività dell'insoluto”.


Ebbene, tali tesi si prestava alle critiche degli operatori che, da un lato, si vedevano spesso costretti ad attendere diverso tempo prima di poter emettere la nota, pur se l’insolvenza del debitore e l’infruttuosità della procedura fossero ben note già prima della chiusura della medesima e dei momenti “acclaranti” individuati dall’Amministrazione finanziaria; dall’altro, incorrevano nell’ingiustificata preclusione di non poter effettuare la variazione in diminuzione soltanto per non aver partecipato alla procedura concorsuale, nella quale, comunque, non necessariamente avrebbero potuto recuperare parte del credito vantato. In altri termini, gli individuati momenti di infruttuosità delle procedure concorsuali e la necessaria partecipazione del creditore non parevano (ndr: condivisibilmente) costituire indici effettivamente idonei ad attestare il mancato pagamento e l’impossibilità di recupero del credito di rivalsa Iva.


Si consideri, poi, che la tutela dell’interesse erariale avrebbe potuto, comunque, essere preservata riconoscendo al soggetto passivo la possibilità di effettuare la variazione già nel momento in cui egli sia in grado di dimostrare anche solo la ragionevole probabilità del mancato pagamento. Del resto, la definitività assoluta del mancato pagamento di una fattura è pur sempre pervasa da un’intrinseca incertezza, dipendente dall’evenienza che il debitore possa in futuro ritornare capiente e adempiere.


La giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea

Sull’istituto della variazione Iva in diminuzione si è pronunciata a più riprese la Corte di Giustizia Europea, che, nell’intento di consacrare e ribadire il principio di neutralità del tributo, ha affermato che la base imponibile dev’essere costituita dal corrispettivo realmente ricevuto  per la cessione dei beni o la prestazione dei servizi e che, conseguentemente, l’Amministrazione finanziaria non possa riscuotere un’imposta superiore a quella percepita in rivalsa dal soggetto passivo (ex multis C-127/18; C-672/17; C-588/10).


Tali principi sorreggono la ratio dell’art. 90 della Direttiva 2006/112/CE. Il comma 1 individua espressamente le ipotesi in cui la riduzione dell’imponibile può essere effettuata. Il comma 2, invece, concede agli Stati membri la possibilità di prevedere, in deroga al comma 1, dei limiti a tale riduzione in caso di “non pagamento totale o parziale”. È nell’esercizio di tale facoltà di deroga che il legislatore italiano aveva previsto (nella versione previgente dell’art. 26 del Decreto Iva, come sopra esposto) che detto “non pagamento”, quale presupposto per la variazione, dovesse essere attestato dall’infruttuosità di una procedura concorsuale o esecutiva individuale.


Senonché, con specifico riferimento alle limitazioni poste dal diritto interno italiano, la Corte di Giustizia Europea, con la sentenza C-246/16, aveva già sancito che “uno Stato membro non può subordinare la riduzione della base imponibile dell’imposta sul valore aggiunto all’infruttuosità di una procedura concorsuale qualora una tale procedura possa durare più di dieci anni”. Ciò determinava, invero, anche uno svantaggio per gli imprenditori italiani rispetto ai concorrenti di altri Stati membri, ostacolando, di fatto, il perseguimento dell’obiettivo di armonizzazione fiscale dell’UE.


La Corte di Giustizia Europea è nuovamente intervenuta, più di recente (in un caso coinvolgente la Slovenia), al fine di fornire una corretta interpretazione della citata norma comunitaria. Con la sentenza C-146/2019, dal contenuto inequivocabile, ha sancito il seguente principio di diritto: “l’articolo 90, paragrafo 1, e l’articolo 273 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, devono essere interpretati nel senso che essi ostano ad una normativa di uno Stato membro, in virtù della quale ad un soggetto passivo viene rifiutato il diritto alla riduzione dell’imposta sul valore aggiunto assolta e relativa ad un credito non recuperabile qualora egli abbia omesso di insinuare tale credito nella procedura fallimentare instaurata nei confronti del suo debitore, quand’anche detto soggetto dimostri che, se avesse insinuato il credito in questione, questo non sarebbe stato riscosso”. Tale statuizione, par chiaro, si è posta in modo diametralmente opposto rispetto all’interpretazione dell’art. 26 del Decreto Iva propugnata negli anni dall’Amministrazione finanziaria.


Prontamente la Corte di Cassazione si è allineata alla giurisprudenza comunitaria, affermando che non sia necessario attendere l’esito della procedura concorsuale per accordare il diritto alla riduzione della base imponibile, ma sia sufficiente la sussistenza di una ragionevole probabilità dell’inadempienza del debitore (Cassazione, sentenza n. 25896 del 16/11/2020).


Le novità introdotte dal Decreto Sostegni bis

Il legislatore italiano è, quindi, intervenuto di recente a far chiarezza sulla disciplina delle note di variazione in diminuzione Iva nelle procedure concorsuali, recependo gli insegnamenti tracciati dalla citata giurisprudenza.


In particolare, l’art. 18 del Decreto Sostegni bis ha modificato l’art. 26 del Decreto Iva, prevedendo che la nota di variazione in diminuzione Iva possa essere emessa, in caso di mancato pagamento da parte del cessionario o committente, già a partire dalla data in cui egli è assoggettato a una procedura concorsuale. Il momento di tale assoggettamento è poi individuato al comma 10-bis del nuovo art. 26 nella data della sentenza dichiarativa di fallimento, del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa o del decreto di ammissione  alla procedura di concordato preventivo o del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (quest’ultima ipotesi, si rileva, era stata ritenuta dall’Amministrazione finanziaria esclusa dall’ambito applicativo della norma).


L’anticipazione del diritto di detrazione a un momento in cui il creditore non ha, di fatto, definitiva certezza di rimanere insoddisfatto, ha indotto lo stesso legislatore a prevedere un meccanismo di riequilibrio: il comma 5-bis dispone che, in caso di successivo integrale o parziale pagamento, il creditore debba emettere apposita nota di variazione in aumento.


Inoltre, si rileva che l’anticipazione del diritto all’emissione della nota di credito comporta anche l’anticipazione del termine ultimo entro il quale può essere effettuato il relativo recupero. Siccome l’art. 19 del D.P.R. n. 633 del 26/10/1972 prevede che il diritto alla detrazione possa essere esercitato al più tardi con la dichiarazione relativa all’anno in cui il diritto stesso è sorto, il recupero dell’IVA può ora effettuarsi con la dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui la procedura concorsuale viene avviata.


La riforma è da accogliere con favore, in quanto assicura una tutela pressoché immediata al creditore che può aver versato un’imposta anche elevata, mai recuperata dal debitore. La norma, tuttavia, non specifica espressamente l’irrilevanza dell’effettiva partecipazione del creditore alla procedura concorsuale – ma si applicherà, comunque, la normativa comunitaria secondo l’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia C-146-2019 – e limita la sua portata alle sole procedure concorsuali avviate successivamente alla sua entrata in vigore. Su tali profili potrà nuovamente intervenire il legislatore in sede di conversione, nell’auspicio che il contenuto delle modifiche apportate venga conservato.

Agenzia delle Entrate e prescrizione dei crediti

Agenzia delle Entrate e prescrizione dei crediti: cos'è, come funziona e cosa fare Cos'è la prescrizione? La prescrizione è un istit...