29/05/12

Commenti alla distribuzione utili

1) Accantonamento degli utili o dividendi previsto dalla legge nella misura del 5%

L’art. 2430 del Codice Civile  stabilisce che almeno il 5% degli utili di bilancio debba essere accantonato a riserva legale, fino al raggiungimento di un quinto del capitale sociale.
È vietato distribuire utili ai soci:
•  se nell’attivo dello stato patrimoniale risultano iscritti costi di impianto non interamente
ammortizzati, a meno che non siano coperti da riserve disponibili (art. 2426 del c.c.);
•  in presenza di perdite in sospeso (art. 2433, terzo comma del c.c.), salvo reintegro del capitale sociale o una sua riduzione in misura corrispondente.
L'accantonamento può essere però modificato  sulla base dello statuto sociale.  L’art. 2328, primo comma, del c.c., al n. 7, stabilisce infatti che l’atto costitutivo può prevedere specifiche norme secondo le quali gli utili devono essere ripartiti. Pertanto, uno statuto può prevedere che una percentuale degli utili debba essere accantonata a riserva o attribuita agli amministratori o a particolari categorie di soci (soci promotori o fondatori).



Commenti al presente articolo dell’accantonamento agli utili nella misura del 5%.
Se la normativa dell’art. 2430 che così recita Riserva legale:
“Dagli utili netti annuali deve essere dedotta una somma corrispondente almeno alla ventesima parte di essi per costituire una riserva, fino a che questa non abbia raggiunto il quinto del capitale sociale. La riserva deve essere reintegrata a norma del comma precedente se viene diminuita per qualsiasi ragione. Sono salve le disposizioni delle leggi speciali.”
La norma espressa nel codice civile salvaguarda la possibilità di non distribuire utili ai soci in costanza di una situazione di base non solida, pertanto essi vengono accantonati solo ed esclusivamente quando l’azienda produce attivamente ed oltre al pagamento degli oneri annuali, riesce a distribuire un reintegro ai soci.
La volontà della norma è quella di accantonare un ventesimo del capitale sociale, fino ad arrivare ad 1/5 del capitale sociale dell’azienda. Quasi mai si arriva subito nei primi anni ad avere una possibilità del genere infatti almeno per i primi 3/5 anni l’azienda non ha degli utili consistenti o finisce addirittura in perdita. Se continuassero ad esserci problemi anche dopo i cinque anni allora sarebbe meglio pensare a fare una chiusura piuttosto che continuare a sostenere solamente spese senza utili.
La solidità dell’azienda è importante per far sì che ci siano le condizioni adatte a raggiungerla nel minor modo possibile con continuo monitoraggio con proiezioni continue sull’andamento del fatturato e delle spese.
La migliore finalità è quella di rendere conto ai soci come l’azienda riesce ad affrontare la parte finanziaria specie quando vi è una situazione di crisi come quella creatasi proprio in questo periodo.


ART. 2426 C.C.
Rispetto a quanto sopra detto, sia ben chiaro che la legge vieta qualunque forma di distribuzione perché si deve pensare in primis a ricoprire gli ammortamenti che in costanza di costi d’impianto non siano stati ammortizzati interamente per cui non si possono dividere gli utili ai soci. La condivisione per tale punto della legge è apprezzabile, almeno da parte dello scrivente, poiché non si deve ripartire nulla ai soci, se ci sono ancora dei costi d’impianto da coprire.
La difficoltà è proprio quella si riesce nella vita aziendale a coprire costi particolarmente difficili come quelli d’impianto con altre riserve? Difficile, ma non impossibile.

26/05/12

ARGOMENTI SOCIETARI

INDICE:

1) Accantonamento degli utili o dividendi previsto dalla legge nella misura del 5%.

2) La distribuzione degli utili come dividendi per i soci va deliberata dall'assemblea.

3) La mancata compilazione del modulo RW è indice di evasione fiscale.

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1) Accantonamento degli utili o dividendi previsto dalla legge nella misura del 5%

L’art. 2430 del Codice Civile  stabilisce che almeno il 5% degli utili di bilancio debba essere accantonato a riserva legale, fino al raggiungimento di un quinto del capitale sociale.
È vietato distribuire utili ai soci:
•  se nell’attivo dello stato patrimoniale risultano iscritti costi di impianto non interamente ammortizzati, a meno che non siano coperti da riserve disponibili (art. 2426 del c.c.);
•  in presenza di perdite in sospeso (art. 2433, terzo comma del c.c.), salvo reintegro del capitale sociale o una sua riduzione in misura corrispondente.
L'accantonamento può essere però modificato  sulla base dello statuto sociale.  L’art. 2328, primo comma, del c.c., al n. 7, stabilisce infatti che l’atto costitutivo può prevedere specifiche norme secondo le quali gli utili devono essere ripartiti. Pertanto, uno statuto può prevedere che una percentuale degli utili debba essere accantonata a riserva o attribuita agli amministratori o a particolari categorie di soci (soci promotori o fondatori).

2) La distribuzione degli utili come dividendi per i soci va deliberata dall'assemblea

La delibera sulla distribuzione degli utili è adottata dall’assemblea dei soci che approva il bilancio e il verbale inerente la delibera di distribuzione deve essere stampato sul libro delle decisioni dei soci.
Entro 20 giorni dalla data del verbale di delibera occorre:
• versare l’imposta di registro in misura fissa, pari a € 168, utilizzando il mod. F23;
• presentare all’Agenzia delle Entrate il verbale stesso e la ricevuta del versamento, al fine della registrazione della delibera assembleare.
La delibera di distribuzione degli utili, se contestuale all’approvazione del bilancio, deve essere depositata al Registro delle Imprese entro 30 giorni dalla data della sua adozione, a cura degli amministratori.

3) La mancata compilazione del modulo RW è indice di un’evasione fiscale, ma da sola non basta a provarla

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 19660 della Terza sezione penale depositata in data 24 maggio 2012, ha affermato che la mancata compilazione del modello RW può rappresentare indice di un’evasione fiscale. La Cassazione precisa, tuttavia, che la funzione del modello è quella di mera comunicazione e conoscenza per il conseguente calcolo dell’imposta sugli investimenti detenuti all’estero o le attività estere di natura finanziaria. Di conseguenza, l’evasione contestata non può derivare solo dall’omessa compilazione del modello RW, ma anche dal mancato compimento degli obblighi fiscali sanzionati dagli articoli 4 e 5 del D. Lgs. n. 74/2000.

PRIMA SCADENZA TASSA SULLE IMBARCAZIONI

Tassa imbarcazioni scade il 31 maggio 2012
I possessori di imbarcazioni di lunghezza superiore a 10 metri, residenti in Italia, devono pagare entro il prossimo 31 maggio 2012 la tassa annuale sulle unità da diporto, introdotta dal decreto salva Italia e poi modificata dal decreto liberalizzazioni e dal decreto fiscale. La tassa si riferisce al periodo 1.5.2012 – 30.4.2012; qualora il presupposto per l’applicazione della tassa si verifichi successivamente al 1° maggio, il versamento deve avvenire entro la fine del mese successivo al verificarsi del presupposto stesso.
Soggetti esonerati
Sono escluse dalla tassa, le barche che presentano una delle seguenti caratteristiche:
primo anno di immatricolazione;
lunghezza inferiore a 10 metri;
proprietà o in uso allo Stato o ad altri Enti pubblici;
obbligatorie di salvataggio;
battelli di servizio purché indichino l’unità da diporto al cui servizio sono posti;
in uso ai soggetti portatori di handicap (art. 3 L. 104/1992), affetti da patologie che richiedono l'utilizzo permanente delle medesime;
con bandiera italiana ma in possesso di soggetti esteri;
posseduti e utilizzate da enti e associazioni di volontariato esclusivamente ai fini di assistenza sanitaria e pronto soccorso;
nuove con targa di prova nella disponibilità a qualsiasi titolo del cantiere costruttore, del manutentore o del distributore;
usate ritirate dai cantieri costruttori o distributori con mandato di vendita e in attesa del perfezionamento dell’atto;
rinvenienti da contratti di locazione finanziaria risolti per inadempienza dell’utilizzatore;
bene strumentale di aziende di locazione e noleggio;
possedute da soggetti non residenti e non aventi stabili organizzazioni in Italia (sempre che il loro possesso non sia attribuibile a soggetti residenti in Italia).
Gli importi della tassa sono rapportati alla lunghezza dello scafo:
800 €, da 10,1 a 12 metri;
1.160 €, da 12,01 a 14 metri;
1.740 €, da 14,01 a 17 metri;
2.600 €, da 17,01 a 20 metri;
4.400 €, da 20,01 a 24 metri;
7.800 €, da 24,01 a 34 metri;
12.500 €, da 34,01 a 44 metri;
16.000 €, da 44,01 a 54 metri;
21.500 €, da 54,01 a 64 metri;
25.000 €, superiore a 64 metri.
La tassa è ridotta della metà:
per le unità con scafo di lunghezza fino a 12 metri, utilizzate esclusivamente dai proprietari residenti, come propri ordinari mezzi di locomozione, nei comuni ubicati nelle isole minori e nella Laguna di Venezia;
per le unità a vela con motore ausiliario il cui rapporto fra superficie velica e potenza del motore espresso in kw non sia inferiore a 0,5.
La tassa è ridotta se:
del 15%, dopo 5 anni dalla data di costruzione;
del 30%, dopo 10 anni dalla data di costruzione;
del 45%, dopo 15 anni dalla data di costruzione.

Modalità di versamento

Il versamento dovrà essere effettuato con Modello F24 elementi identificativi, utilizzando i codici tributo istituiti con la risoluzione n. 39/E del 24.04.2012:
3370 tassa sulle unità da diporto;
8936 sanzione per tassa sulle unità da diporto;
1931 interessi per tassa sulle unità da diporto.
All’interno del modello “F24 con elementi identificativi” occorre indicare:
nella sezione “Contribuente”, i dati anagrafici e il codice fiscale del soggetto versante;
nella sezione “Erario ed altro”, in corrispondenza degli importi a debito versati: 
la lettera R nel campo “tipo”;
il codice identificativo dell’unità da diporto nel campo “elementi identificativi”;
il giorno di inizio del contratto, giorno e mese di fine periodo del contratto (formato GGGGMM) e il codice identificativo dell’unità da diporto, nel campo “elementi identificativi” nel caso di contratti di cui all’art. 16 comma 7 del D.l. 201/2011;
il codice tributo nel campo “codice”;
l’anno di decorrenza (in formato AAAA)della tassa nel campo “anno di riferimento”. Esempio: 1.5.2012-30.04.2013, indicare 2012.
I soggetti che non possono pagare con mod. F24, possono versare l’importo dovuto con bonifico in “Euro”, a favore del Bilancio dello Stato al Capo 8 – Capitolo 1222, indicando:
codice BIC: BITAITRRENT;
causale del bonifico: generalità del soggetto tenuto al versamento della tassa annuale, identificativo (sigla di iscrizione) dell’unità da diporto, codice tributo e periodo di riferimento;
IBAN: IT15Y0100003245348008122200, pubblicato sul sito internet della Ragioneria Generale dello Stato – Ministero dell’Economia e delle finanze
Termini di versamento
La tassa si riferisce al periodo 1° maggio – 30 aprile dell’anno successivo, e il suo versamento va effettuato entro il 31.05 di ciascun anno.
Qualora il presupposto per l’applicazione della tassa si verifichi successivamente al 1° maggio, il versamento è effettuato entro la fine del mese successivo al verificarsi
del presupposto stesso.
Per i contratti di locazione (art. 16 comma 7 del D.l. 201/2011) per i quali la tassa è dovuta dall’utilizzatore per la durata del contratto, la tassa è determinata rapportandola a giorni effettivi, e va versata entro il giorno antecedente la data di inizio del periodo di durata del contratto ove questo sia di durata inferiore al periodo 1.5-30.04 dell’anno successivo.

17/05/12

Dichiarazione fraudolenta anche per i documenti «creati» dall’utilizzatore

Il delitto di cui all’art. 2 del DLgs. 74/2000 deve ritenersi configurabile nelle ipotesi di utilizzazione di fatture o altri documenti sia ideologicamente che materialmente falsi. Esso, in particolare, non presuppone che il documento utilizzato debba essere necessariamente emesso da terzi compiacenti, ben potendo essere creato “ex novo” dall’utilizzatore stesso, facendo apparire la provenienza da terzi.
A stabilirlo è la sentenza 16 maggio 2012 n. 18788 della Corte di Cassazione, rafforzando ulteriormente questo orientamento (limitandosi alle sole sentenze depositate a partire dall’inizio dell’anno, infatti, si vedano: Cass. 27 aprile 2012 n. 16011; Cass. 21 marzo 2012 n. 10987; Cass. 12 marzo 2012 n. 9405; Cass. 14 febbraio 2012 n. 5641; Cass. 19 gennaio 2012 n. 2168; Cass. 19 gennaio 2012 n. 2156; Cass. 13 gennaio 2012 n. 912).
In particolare, la sentenza depositata ieri sottolinea come la fattispecie di cui all’art. 2 del DLgs. 74/2000 – che punisce con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o l’IVA, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indichi in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi – presenti natura bifasica, essendo costituita da: un comportamento preparatorio, consistente nella registrazione delle fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti; un comportamento finale, costituito dall’indicazione nelle dichiarazioni annuali relative alle imposte sui redditi o all’IVA di elementi passivi fittizi. Mentre la condotta conclusiva configura senza dubbio un falso ideologico, la condotta preparatoria può avere ad oggetto documenti sia ideologicamente che materialmente falsi, incluso quel particolare tipo di falso documentale, di difficile inquadramento nell’una o nell’altra categoria, costituito dalla creazione “ex novo” di un documento non corrispondente al vero.
Ne consegue che la falsità necessaria per il perfezionamento della fattispecie può essere sia ideologica che materiale. Rispetto a tale delitto, la fattispecie di cui all’art. 3 del DLgs. 74/2000 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici) è residuale, riguardando solo determinati contribuenti (obbligati alla tenuta delle scritture contabili) ed essendo subordinata al superamento di specifiche soglie di punibilità. Ancora più residuale è la fattispecie di cui all’art. 4 del DLgs. 74/2000 (dichiarazione infedele), che, fuori dei casi previsti dagli artt. 2 e 3 del DLgs. 74/2000, punisce, al superamento di più elevate soglie di punibilità, chiunque si limiti ad indicare in una delle dichiarazioni annuali elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi. Il delitto di cui all’art. 2 del DLgs. 74/2000, quindi, non presuppone che il documento utilizzato debba essere necessariamente emesso da terzi compiacenti, ben potendo essere creato ex novo dall’utilizzatore stesso, facendo apparire la provenienza da terzi; la ragione della disposizione normativa, infatti, sta nell’esigenza di punire colui che artificiosamente si precostituisce costi al fine di abbattere l’imponibile, e non presuppone il concorso del terzo.
Rilevanti anche le “detrazioni” d’imposta supportate da documenti falsi
La decisione in commento risulta interessante anche per un ulteriore profilo. Ai fini della puntuale ricostruzione della fattispecie occorre considerare anche le definizioni recate dall’art. 1 del DLgs. 74/2000. La lettera b), in particolare, chiarisce che per “elementi attivi o passivi” si intendono le componenti, espresse in cifra, che concorrono, in senso positivo o negativo, alla determinazione del “reddito” o delle “basi imponibili” rilevanti ai fini dell’applicazione delle imposte sui redditi o dell’IVA. Il riferimento alle sole voci che abbattono il “reddito” o le “basi imponibili” ha indotto una parte della dottrina a lasciare fuori dall’ambito di applicazione della norma incriminatrice – relativamente alle imposte sui redditi – le componenti negative che incidono non sulla base imponibile ma sull’imposta già calcolata (detrazioni d’imposta). Tale soluzione, a giudizio di altri autori, sarebbe foriera di disparità di trattamento difficilmente giustificabili; eppure, simile lettura sarebbe necessariamente da considerare alla luce del principio di stretta legalità (nel caso dell’IVA, poi – in relazione alla quale l’uso di fatture false serve proprio a creare imposte detraibili fittizie – le conseguenze sarebbero addirittura “allarmanti”). Ebbene, tali valutazioni sembrano implicitamente “superate” dalla sentenza in commento, dal momento che il caso esaminato, e collocato nell’alveo dell’art. 2 del DLgs. 74/2000, atteneva a un’organizzazione dedita alla “fabbricazione ex novo” di falsa documentazione sanitaria che veniva utilizzata per indebite detrazioni IRPEF del 19% e a supporto della relativa dichiarazione. Analoghe considerazioni, peraltro, potrebbero ripetersi con riguardo a numerose altre decisioni della Suprema Corte (tra le altre, si vedano le già citate sentenze n. 16011, 10987 e 9405 del 2012).

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