10/04/20
09/04/20
COMMENTO ALLA SENTENZA DELLA CASSAZIONE CIVILE, I SEZIONE, SENT. N. 26769 DEL 21 OTTOBRE 2019 SPECIFICA APPROVAZIONE PER ISCRITTO DEL CORRENTISTA
CASSAZIONE CIVILE, I SEZIONE, SENT. N. 26769 DEL 21 OTTOBRE 2019
PER LA VALIDITA’ DELLA CLAUSOLA ANATOCISTICA NEL CONTO CORRENTE, E’ SEMPRE NECESSARIA LA SPECIFICA APPROVAZIONE PER ISCRITTO DEL CORRENTISTA
Per i rapporti di conto corrente già in essere alla data di entrata in vigore del d.lgs. n.342/1999 e della successiva Delibera CICR del 9 febbraio 2000, la capitalizzazione trimestrale degli interessi è illegittima anche se la Banca ha provveduto ad adeguare le condizioni del rapporto alle condizioni imposte dalla citata delibera mediante pubblicazione in Gazzetta Ufficiale
La Suprema Corte di Cassazione torna ad esprimersi su una delle questioni più importanti nell’ambito del contenzioso bancario relativo ai rapporti di conto corrente ed in particolare per i rapporti sorti in data antecedente il D.lgs. 342/1999 (c.d. “decreto salvabanche”).
Come noto, a seguito del declassamento da uso normativo ad uso negoziale della prassi bancaria in materia di anatocismo operato dalle SS.UU., è venuta meno ogni legittima deroga all’art.1283 c.c., sicché le relative clausole, in guisa dei quali gli interessi venivano capitalizzate, risultavano travolte da nullità.
Interveniva allora il legislatore, che con il D.lgs. 342/1999 e la successiva Delibera CICR del 9 febbraio 2000, ha di fatto introdotto una deroga tale (art. 120 T.u.b.) per cui la capitalizzazione degli interessi risultasse valida, purché fosse prevista la “reciprocità” nella capitalizzazione degli interessi attivi e passivi (c.d. “principio di sinallagmaticità”).
In tale contesto, per rendere pienamente valida la clausola anatocistica anche con efficiacia retroattiva, alle Banche risultava sufficiente pubblicare in Gazzetta ufficiale, ai sensi dei commi 1 e 2 dell’art. 7 della citata Delibera, l’adeguamento alle nuove disposizioni (ovvero l’introduzione della pari periodicità di capitalizzazione per le competenze attive e passive).
A seguito tuttavia di intervento della Corte Costituzionale, (sentenza n.425 pubblicata il 17/10/2000) con la quale il Giudice della leggi dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 25 del citato d.lgs. nella parte in cui prevedeva la legittimità delle clausole anatocistiche in essere prima dell’entrata dell’inizio di validità della Delibera CICR (22 aprile 2000, ovvero 60 giorni dopo la sua pubblicazione) le relative clausole anatocistiche stipulate prima dell’entrata in vigore della citata Delibera sono state travolta da nullità “ex tunc”per contrasto alla norma codicistica.
In tale scenario, frequentemente le Banche hanno fondato la legittimità della capitalizzazione operata post 2000, sulla scorta di quanto previsto nell’art. 7 della citata delibera CICR, ovvero ritenendo assolto l’onere di specifica approvazione, semplicemente pubblicando in Gazzetta Ufficiale le nuove condizioni.
Con la sentenza in commento, gli Ermellini specificano invece che quella prevista all’art.7 della citatata Delibera CICR è norma a carattere transitorio che si correla, per comunanza di fini, all’art. 25 comma 3 del d.lgs 342/1999 sicché essendosi di questo dichiarata l’illeggimità costituzionale, detta norma è stata privata di efficacia.
Se ne deduce allora che, sia per i contratti sorti prima che per quelli sorti dopo il 9 febbraio 2000, l’anatocismo praticato sui conti correnti risulta valido se e solo se tale condizione, che risulta a questo punto sempre essere “peggiorativa” rispetto alla condizione precedente, risulti specificatamente approvata per iscritto, secondo quando previsto appunto dal comma 3 dell’art. 7 della Delibera CICR che così recita:
“ Nel caso in cui le condizioni contrattuali comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate , esse devono essere specificamente approvate dalla clientela“
La conseguenza, secondo i Giudici della Suprema corte, è che qualsiasi variazione contrattuale ivi inerente, che non sia soggetta a specifica pattuizione, può ritenersi inefficace seppur la stessa è in linea con le altre disposizioni della DELIBERA del CICR del 9 febbraio 2000.”
In termini operativi e finanziari, ciò implica, in caso di mancata approvazione per iscritto della c.d. “clausola anatocistica”, il ricalcolo del conto corrente senza alcuna capitalizzazione degli interessi.
06/04/20
INPS e Bonus
Bonus 600 euro INPS: una
misura prevista dal Governo con il Decreto Cura Italia, per sostenere i
lavoratori autonomi la cui attività abbia risentito delle restrizioni previste
per contenere l’epidemia di coronavirus. Ecco come richiederlo e a chi è
riservato il bonus
600 euro Inps: il Governo con il decreto Cura Italia ha stabilito la misura
di un sostegno una tantum da 600 euro per i lavoratori autonomi
e partite Iva che abbiano subito riduzione o cessazione della propria
attività a causa dell’emergenza Coronavirus, in seguito alle
disposizioni sulle restrizioni per contenere la diffusione dell’epidemia. Le
domande possono essere inoltrate all’Inps e alle casse previdenziali private
professionali dal primo aprile 2020. Inps ha spiegato che è
possibile richiedere il bonus indennità da 600 euro anche attraverso un PIN
semplificato. I primi dati indicano l’invio di una media cento
domande al secondo all’Inps per il bonus 600 euro, per circa
trecentomila domande dall’una di notte alle 8,30: nella mattinata del primo
aprile si sono registrati disguidi con il sistema informatico dell’istituto,
intorno alle 9 ci sono state molte segnalazioni di problemi nell’invio delle
istanze. Oltre a chi non è riuscito ad avere accesso al sito, ci sono stati
professionisti che inserendo le proprie credenziali si sono trovati nell’area
riservata di altri iscritti all’istituto previdenziale. Il presidente dell’Inps
ha spiegato che
sarà possibile inviare le domande anche nei giorni prossimi, senza
urgenza. In seguito ai problemi legati al sito Inps e alla segnalazione
di data breach, il Garante della privacy ha avviato
un’istruttoria e ha invitato i contribuenti a non fare uso dei dati personali
altrui. Il bonus 600 euro Inps, a chi spetta La misura del bonus indennità 600 euro Inps è stata introdotta con il
decreto Cura Italia, cioè il DL 17 marzo 2020 numero 18, parte di una più ampia
serie di stanziamenti rivolti ad attività produttive, lavoratori e famiglie che
hanno avuto ripercussioni economiche negative a causa delle limitazioni imposte
per contenere l’epidemia di coronavirus. Il denaro del bonus indennità 600 euro
Inps non sarà tassato e non farà reddito. Le misure non possono essere tra loro
cumulabili e non possono essere erogate a chi percepisce già il reddito di cittadinanza. Bonus 600 euro
autonomi, requisiti (autonomi e partite Iva) L’indennità da seicento euro
per il mese di marzo 2020 è destinata, con stanziamento di 203,4 milioni di
euro: ai liberi professionisti che sono titolari di
partita Iva al 23 febbraio, non titolari di pensione o iscritti ad
altre forme di previdenza ai lavoratori con rapporti di collaborazione
coordinata e continuativa attiva al 23 febbraio, non titolari di
pensione o iscritti ad altre forme di previdenza obbligatoria. Nel limite
di 2.160 milioni di euro, il bonus è erogato a:Commercianti,Artigiani,Coadiutori
diretti, Coltivatori diretti, mezzadri e coloni. I fondi previsti sono di 103,8
milioni di euro per: lavoratori stagionali del turismo e degli stabilimenti
termali, nel caso in cui abbiano chiuso il rapporto di lavoro non per loro
volontà tra il primo gennaio 2019 e il 17 marzo 2020 e non siano dipendenti al
17 marzo 2020, né titolari di pensioni.Limite di spesa di 396 milioni di euro
per: operai agricoli a tempo determinato. Spese entro i 48,6 milioni per:lavoratori
dello spettacolo che abbiano versato nel 2019 almeno trenta contributi
giornalieri e non siano stati titolari di un reddito annuale superiore a 50.000
euro, né abbiano contratti da dipendente al 17 marzo.
05/04/20
ANATOCISMO E PRODUZIONE INTERESSI
L’anatocismo è contemplato dall’art. 1283 c.c. secondo cui
gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda
giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, purché
siano interessi dovuti da almeno sei mesi. Pertanto, il giudice potrà
condannare al pagamento degli interessi su interessi nel caso in cui venga
provato che, alla data della domanda giudiziale, erano già scaduti gli
interessi principali.
L’art. 1283 c.c. è sintomatico dello sfavore con cui il
legislatore ha valutato la pratica di capitalizzare gli interessi, così come
sono contemplate altre restrizioni per interessi superiori a quelli legali.
Tuttavia, le banche hanno continuato ad applicare la capitalizzazione
trimestrale degli interessi, supportata da varie pronunce giurisprudenziali. A
tal riguardo, occorre citare l’art. 25 del D. Lgs. n. 342/1999, co. 2, che ha
aggiunto un nuovo comma all'art. 120 del D. Lgs. n. 385/1993 (Testo Unico Bancario),
prevedendo la possibilità di stabilire i criteri di calcolo, purché periodico,
degli interessi sugli interessi, maturati nell'esercizio dell'attività
bancaria. Con una norma transitoria, inserita nel decreto n. 342/1999 il
legislatore aveva contemplato una sanatoria per i contratti conclusi prima
dell'entrata in vigore della nuova disciplina, salvandone le clausole di
capitalizzazione trimestrale.
Tuttavia, la Corte Costituzionale con sentenza del 17
ottobre 2000, n. 425, ha dichiarato illegittima la suddetta norma transitoria,
per violazione dell'articolo 77 della Costituzione.
Rilevante è inoltre la sentenza del 4 novembre 2004, n.
21095, delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella quale si afferma
l'illegittimità, anche per il passato, degli addebiti per anatocismo, in quanto
le clausole anatocistiche degli interessi precedenti al 1999, non rispondono ai
principi dell'ordinamento giuridico normativo, ma attengono ad un uso
prettamente negoziale. Pertanto, le suddette previsioni di calcolo si pongono
in palese contrasto con l’art. 1283 c.c.
Leggi l'art. 1283
Codice civile commentato
Anatocismo
2. Applicabilità
L’art. 1283 c.c. è una norma di carattere eccezionale ed è
applicabile perciò ai soli debiti di valuta (o pecuniari), e non è estensibile
a quelli di valore. Per tale ragione non è estendibile al caso in cui gli
interessi vengano riconosciuti a partire dalla data del fatto illecito sulle
somme liquidate a titolo di risarcimento danno. Inoltre, l’art. 1283 c.c. non
viene applicato in materia tributaria, ove sussistono disposizioni speciali che
regolano gli effetti della mora debendi.
La disciplina dell’anatocismo si applica invece alla
clausola penale, un patto con cui le parti stabiliscono, in caso di ritardo
nell’adempimento, se siano dovuti o meno interessi, e ne prevedono la misura.
Altro aspetto rilevante è l’applicazione dell’anatocismo agli interessi
relativi ai crediti da lavoro, nonché a tutte le obbligazioni aventi ad oggetto
il pagamento di una somma di denaro sulla quale spettino interessi di vario
tipo.
3. Domanda giudiziale
L’art. 1283 c.c. prevede che gli interessi di un credito
certo ma non liquido diventano esigibili solo in seguito ad una domanda
giudiziale, e solo da tale data saranno suscettibili di produrre interessi
anatocistici.
La domanda finalizzata al conseguimento del pagamento degli
interessi anatocistici di cui all’art. 1283 c.c. è autonoma e distinta rispetto
a quella volta al riconoscimento degli interessi principali, per cui deve
essere finalizzata ad ottenere specificamente gli interessi stessi.
In particolare, tale domanda è nuova rispetto a quella
eventualmente proposta per il riconoscimento degli interessi principali scaduti
e della rivalutazione monetaria, per cui non potrà essere per la prima volta
proposta in sede di rinvio o di appello.
02/04/20
Cassazione civile, sez. I, sentenza 30/10/2018 n° 27704_Indebito bancario: la prescrizione decorre se i pagamenti sono solutori
Conto corrente e prescrizione dell’azione di ripetizione dell’indebito corrisposto alla banca: scatta se i pagamenti del correntista hanno carattere solutorio.
Il termine prescrizionale decennale del diritto del cliente ad ottenere, dall’istituto di credito, la ripetizione dell’indebito, scatta se i pagamenti effettuati dal correntista, hanno carattere solutorio; grava su quest’ultimo l’onere di dimostrare il carattere ripristinatorio dei suddetti versamenti.
La Cassazione ha condiviso le argomentazioni della sentenza impugnata, in particolare, laddove, esaminando il caso in esame, la Corte territoriale ha ritenuto la prescrizione decorrente non dalla chiusura del conto, ma dai singoli versamenti, in assenza di un'apertura di credito.
In effetti, i giudici di merito, uniformandosi all’ indirizzo della giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, le rimesse sul conto corrente dell'imprenditore sono "di ripristino" quando il conto al momento della rimessa, risulti "scoperto"; pertanto, occorre fare riferimento al criterio del "saldo disponibile" del conto per accertare se una rimessa del correntista sia destinata al pagamento di un proprio debito verso la banca ed abbia quindi funzione rimesse solutorie, o sia finalizzata solo a ripristinare la provvista sul conto.
Orbene, la Suprema Corte ha chiarito che, per accertare la decorrenza del termine prescrizionale dell'azione di ripetizione, occorre verificare se, in pendenza di un contratto di apertura di credito e prima della chiusura del conto, il correntista abbia effettuato dei versamenti, atteso che la decorrenza della prescrizione dalla data del pagamento è condizionata al carattere solutorio, e non meramente di ripristino, dei versamenti.
Inoltre, se i versamenti sono stati eseguiti su un conto in passivo cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell'accreditamento, allora si dovrà ritenere che quei versamenti integrino la nozione di "pagamento"; il contrario, quando i versamenti in conto, non avendo il passivo superato il limite dell'affidamento concesso al cliente, consistano in meri atti ripristinatori della provvista, pur sempre nella disponibilità del cliente.
In relazione all'onere della prova, la Cassazione ha rilevato che grava sul cliente, che agisce ex art. 2033 c.c., per la ripetizione dell'indebito corrisposto alla banca nel corso del rapporto di conto corrente, l’ onere di provare i fatti costitutivi della sua pretesa.
Se, d’altra parte, l’istituto di credito eccepisce la prescrizione del diritto alla ripetizione dell'indebito per decorso del termine decennale dalle annotazioni passive in conto, quale fatto estintivo, spetta al cliente dimostrare l’esistenza del fatto modificativo, consistente nell'esistenza di un contratto di apertura di credito, che qualifichi quei versamenti come mero ripristino della disponibilità accordata, collegando l'inizio del decorso della prescrizione alla chiusura del conto.
In conclusione, la decorrenza della prescrizione dalla data del pagamento è condizionata al carattere solutorio dei versamenti, e non ripristinatorio, essa sussiste sempre in mancanza di un'apertura di credito; pertanto, eccepita dalla banca la prescrizione del diritto alla ripetizione dell'indebito per decorso del termine decennale dal pagamento, il cliente deve provare l'esistenza di un contratto di apertura di credito, che qualifichi quel pagamento come mero ripristino della disponibilità accordata.
Per tali motivi, la Cassazione ha ritenuto infondata la censura proposta in diritto ed ha rigettato il ricorso.
Sentenza Cassazione Civ., sez. I, sentenza 30/10/18 n. 27704
Il termine prescrizionale decennale del diritto del cliente ad ottenere, dall’istituto di credito, la ripetizione dell’indebito, scatta se i pagamenti effettuati dal correntista, hanno carattere solutorio; grava su quest’ultimo l’onere di dimostrare il carattere ripristinatorio dei suddetti versamenti.
La Cassazione ha condiviso le argomentazioni della sentenza impugnata, in particolare, laddove, esaminando il caso in esame, la Corte territoriale ha ritenuto la prescrizione decorrente non dalla chiusura del conto, ma dai singoli versamenti, in assenza di un'apertura di credito.
In effetti, i giudici di merito, uniformandosi all’ indirizzo della giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, le rimesse sul conto corrente dell'imprenditore sono "di ripristino" quando il conto al momento della rimessa, risulti "scoperto"; pertanto, occorre fare riferimento al criterio del "saldo disponibile" del conto per accertare se una rimessa del correntista sia destinata al pagamento di un proprio debito verso la banca ed abbia quindi funzione rimesse solutorie, o sia finalizzata solo a ripristinare la provvista sul conto.
Orbene, la Suprema Corte ha chiarito che, per accertare la decorrenza del termine prescrizionale dell'azione di ripetizione, occorre verificare se, in pendenza di un contratto di apertura di credito e prima della chiusura del conto, il correntista abbia effettuato dei versamenti, atteso che la decorrenza della prescrizione dalla data del pagamento è condizionata al carattere solutorio, e non meramente di ripristino, dei versamenti.
Inoltre, se i versamenti sono stati eseguiti su un conto in passivo cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell'accreditamento, allora si dovrà ritenere che quei versamenti integrino la nozione di "pagamento"; il contrario, quando i versamenti in conto, non avendo il passivo superato il limite dell'affidamento concesso al cliente, consistano in meri atti ripristinatori della provvista, pur sempre nella disponibilità del cliente.
In relazione all'onere della prova, la Cassazione ha rilevato che grava sul cliente, che agisce ex art. 2033 c.c., per la ripetizione dell'indebito corrisposto alla banca nel corso del rapporto di conto corrente, l’ onere di provare i fatti costitutivi della sua pretesa.
Se, d’altra parte, l’istituto di credito eccepisce la prescrizione del diritto alla ripetizione dell'indebito per decorso del termine decennale dalle annotazioni passive in conto, quale fatto estintivo, spetta al cliente dimostrare l’esistenza del fatto modificativo, consistente nell'esistenza di un contratto di apertura di credito, che qualifichi quei versamenti come mero ripristino della disponibilità accordata, collegando l'inizio del decorso della prescrizione alla chiusura del conto.
In conclusione, la decorrenza della prescrizione dalla data del pagamento è condizionata al carattere solutorio dei versamenti, e non ripristinatorio, essa sussiste sempre in mancanza di un'apertura di credito; pertanto, eccepita dalla banca la prescrizione del diritto alla ripetizione dell'indebito per decorso del termine decennale dal pagamento, il cliente deve provare l'esistenza di un contratto di apertura di credito, che qualifichi quel pagamento come mero ripristino della disponibilità accordata.
Per tali motivi, la Cassazione ha ritenuto infondata la censura proposta in diritto ed ha rigettato il ricorso.
Sentenza Cassazione Civ., sez. I, sentenza 30/10/18 n. 27704
12/03/19
Dlgs 14/2019 art. 358 requisiti per la nomina incarichi (legge crisi d'impresa)
Art. 358 Dlgs 14/2019
Requisiti per la nomina agli incarichi nelle procedure
1. Possono essere chiamati a svolgere le funzioni di curatore,
commissario giudiziale e liquidatore, nelle procedure
di cui al codice della crisi e dell’insolvenza:
a) gli iscritti agli albi degli avvocati, dei dottori commercialisti
e degli esperti contabili e dei consulenti del lavoro;
b) gli studi professionali associati o società tra professionisti,
sempre che i soci delle stesse siano in possesso
dei requisiti professionali di cui alla lettera a) , e, in tal
caso, all’atto dell’accettazione dell’incarico, deve essere
designata la persona fisica responsabile della procedura;
c) coloro che abbiano svolto funzioni di amministrazione,
direzione e controllo in società di capitali o società
cooperative, dando prova di adeguate capacità imprenditoriali
e purché non sia intervenuta nei loro confronti
dichiarazione di apertura della procedura di liquidazione
giudiziale.
2. Non possono essere nominati curatore, commissario
giudiziale o liquidatore, il coniuge, la parte di un’unione
civile tra persone dello stesso sesso, il convivente di fatto,
i parenti e gli affini entro il quarto grado del debitore, i
creditori di questo e chi ha concorso al dissesto dell’impresa,
nonché chiunque si trovi in conflitto di interessi
con la procedurasono nominati dall’autorità giudiziaria tenuto conto:
a) delle risultanze dei rapporti riepilogativi di cui
all’articolo 16 -bis , commi 9 -quater , 9 -quinquies e 9 -septies
, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito,
con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228;
b) degli incarichi in corso, in relazione alla necessità
di assicurare l’espletamento diretto, personale e tempestivo
delle funzioni;
c) delle esigenze di trasparenza e di turnazione
nell’assegnazione degli incarichi, valutata la esperienza
richiesta dalla natura e dall’oggetto dello specifico
incarico;
d) con riferimento agli iscritti agli albi dei consulenti
del lavoro, dell’esistenza di rapporti di lavoro subordinato
in atto al momento dell’apertura della liquidazione giudiziale,
del deposito del decreto di ammissione al concordato
preventivo o al momento della sua omologazione.
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