18/12/14

IL CONCORDATO FALLIMENTARE E LA SENTENZA DICHIARATIVA DI FALLIMENTO

Il concordato fallimentare è una delle forme di chiusura del fallimento grazie alla quale si realizza la soddisfazione in misura paritaria dei creditori senza ricorrere alla fase della liquidazione dell'attivo.
La proposta di concordato può essere presentata dal fallito, da uno o più creditori o da un terzo.La proposta può prevedere la suddivisione dei creditori in classi che tengano in considerazione in modo omogeneo gli interessi economici da essi vantati, trattamenti differenziati fra creditori appartenenti a classi diverse senza comunque alterare l'ordine dei diritti di prelazione, la "ristrutturazione" di debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma.
La proposta è sottoposta al voto dei creditori ed è approvata se riceve il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Il Curatore presenta al Giudice Delegato una relazione sull'esito delle votazioni e se la proposta è approvata il Giudice Delegato dispone che ne sia data immediata comunicazione alle parti interessate e fissa un termine entro il quale presentare eventuali opposizioni. Decorso tale termine senza che vengano presentate opposizioni il Tribunale omologa il concordato con decreto motivato. Quando passa in giudizio la sentenza di omologazione il fallimento si chiude.
La dichiarazione di avvenuta esecuzione del concordato fallimentare, rilasciata dal Tribunale, è titolo idoneo per annotare la cancellazione del fallimento essendo
il concordato fallimentare una procedura di chiusura del fallimento. La formalità è assoggettata al pagamento dell'I.P.T. in misura fissa con corresponsione di imposta di bollo ed emolumenti.
 
LA SENTENZA DICHIARATIVA DI FALLIMENTO
Il Decreto del 2006 ha modificato, seppure in modo marginale, l'art.16 della legge fallimentare relativo al contenuto della sentenza dichiarativa di fallimento che rappresenta contemporaneamente l'atto finale del processo di primo grado e l'atto iniziale
della procedura fallimentare.
FUNZIONI:
La sentenza dichiarativa di fallimento è pronunciata dal Tribunale in composizione collegiale ed adempie ad una serie di funzioni:
– sono nominati dal Tribunale il Giudice Delegato ed il Curatore;
– è ordinato al fallito di depositare tutte le scritture contabili e i bilanci, nonchè l'elenco dei creditori;
– si stabilisce la data dell'adunanza dei creditori in cui si procederà all'esame dello stato passivo;
– si assegna ai creditori il termine perentorio per la presentazione in cancelleria delle domande contenenti l'indicazione delle somme dovute dal fallito;
La sentenza di fallimento, al pari di tutte le sentenze civili, acquista giuridica esistenza soltanto con la sua pubblicazione cioè con il deposito nella cancelleria del giudice da cui è stata pronunciata.
L'art.17 della legge fallimentare prevede uno speciale regime di pubblicità della sentenza la quale, in particolare, deve altresì essere:
– notificata a cura del cancelliere al debitore entro il giorno successivo al deposito in cancelleria (da questo momento inizia a decorrere per il debitore il termine per presentare un'opposizione che, se accettata, comporta la revoca del fallimento);
– comunicata per estratto al Curatore e a chi ha richiesto il fallimento;
– annotata presso l'Ufficio del Registro delle Imprese dove l'imprenditore ha la sede legale (gli effetti della sentenza nei riguardi dei terzi si producono da questo
momento, pertanto, da questa data decorre il termine per proporre reclamo per qualunque interessato diverso dal debitore).
L'art.88 della legge fallimentare impone al curatore, in presenza di beni soggetti a pubblica registrazione, l'onere di notifica di un estratto della sentenza dichiarativa di fallimento ai competenti uffici per l'annotazione nei pubblici registri.
Lo scopo non è quello di rendere la sentenza di fallimento opponibile ai terzi ma soltanto quello di rendere conoscibile ai terzi la dichiarazione di fallimento che è già opponibile ad essi dal momento della sua emissione.
EFFETTI:
Fin dal momento in cui è pubblicata, cioè depositata in cancelleria, la sentenza dichiarativa di fallimento produce una complessa ed eterogenea serie di effetti tra loro strettamente connessi:
– per il fallito
– per i creditori
– sugli atti pregiudizievoli ai creditori
– sui rapporti giuridici preesistenti
Con la sentenza dichiarativa di fallimento il fallito subisce lo "spossessamento" cioè viene privato dell'amministrazione e della disponibilità dei beni che
costituiscono il suo patrimonio ma non ne perde la proprietà se non a liquidazione avvenuta (non si tratta di uno spossessamento totale poiché non sono
compresi nel fallimento quei beni che non potrebbero essere assoggettati ad un processodi espropriazione forzata cioè quei beni di natura strettamente personale).
L'art.42 della legge fallimentare precisa che tale effetto non è limitato soltanto ai beni presenti nel patrimonio del fallito al momento della dichiarazione di fallimento ma anche a quelli "futuri" che pervengono nel corso della procedura. Il Curatore, che di fatto sostituisce il fallito nella gestione del patrimonio, previa autorizzazione del Comitato dei Creditori, può rinunciare alla loro acquisizione qualora il costo da sostenere per il loro
acquisto e conservazione appaiano superiori al presumibile valore di realizzo.
Analogamente il Curatore, previa autorizzazione del Comitato dei Creditori, può rinunciare a liquidare quei beni la cui attività di liquidazione appaia non conveniente.
Altri effetti della sentenza:
– il fallito perde la capacità processuale cioè nei giudizi relativi a rapporti di diritto patrimoniale sta in giudizio il curatore (non solo per i processi ancora da instaurare, ma anche per quelli già in corso per i quali il fallimento produce l'interruzione)
– il fallito deve consegnare al Curatore la propria corrispondenza riguardante i rapporti compresi nel fallimento;
– il fallito è obbligato a comunicare al Curatore ogni cambiamento della propria residenza o domicilio.
La sentenza dichiarativa di fallimento apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito: essi sono privati del diritto di agire individualmente (in relazione, cioè, ad un singolo credito) in via esecutiva o cautelare e, secondo quanto disposto dall'art.52 della legge fallimentare, acquistano il diritto di concorrere alla distribuzione del ricavato dalla liquidazione forzata del patrimonio del debitore operata dagli organi fallimentari.
A tal fine è sancita la necessità, in sede fallimentare, dell'accertamento di ogni diritto di credito, nonché di ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare
attraverso un particolare procedimento, proprio della procedura concorsuale, cosiddetto "accertamento del passivo" (che riguarda anche i crediti esentati dal divieto di azioni esecutive individuali).
Gli atti pregiudizievoli ai creditori sono quelli compiuti dall'imprenditore nel tempo immediatamente anteriore all'apertura della procedura concorsuale che hanno
recato danno ai creditori diminuendo di fatto la consistenza attiva del patrimonio fallimentare o alterando la cosiddetta "par condicio creditorum" (regola fondamentale stabilita dall'art.2741 C.C. in base alla quale "i creditori hanno uguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione" cioè privilegi, pegni e ipoteche).
Infatti nell'attivo fallimentare rientrano non solo i beni appartenenti all'imprenditore al momento della dichiarazione di fallimento, ma anche alcuni beni che l'imprenditore ha ceduto a terzi anteriormente al fallimento e che la legge, in presenza di determinati e rigorosi presupposti, ritiene opportuno "recuperare" al fine di ricomprenderli tra i beni destinati a soddisfare i creditori concorsuali.
Nell'intento, quindi, di preservare i beni dell'imprenditore, che costituiscono la garanzia primaria per il soddisfacimento dei crediti accertati, la legge si preoccupa di disciplinare anche gli effetti che gli atti pregiudizievoli possono avere nei confronti di terzi e attribuisce al Curatore il potere di esercitare, nell'interesse di tutti i creditori, l'azione revocatoria ordinaria e l'azione revocatoria fallimentare che sono entrambe un mezzo di tutela del credito e costituiscono ulteriore rafforzamento delle garanzie patrimoniali a difesa delle legittime aspettative dei creditori. L'azione revocatoria è strettamente legata alla tutela dell'istante, infatti, il legislatore ha predisposto strumenti di intervento per il creditore sul patrimonio del debitore in funzione sostanzialmente conservativa: sia con il sequestro conservativo (art. 2905 C.C. - il sequestro conservativo serve a rendere inoffensiva per il creditore la disposizione giuridica del bene da parte del debitore poiché i suoi effetti consistono nell'imposizione di un vincolo giuridico sul bene stesso tale da rendergli inopponibile la disposizione. E' caratterizzato
anche dall'attitudine ad impedire la distruzione o l'occultamento materiale dei beni attraverso la sottrazione al debitore della disponibilità di fatto dei beni sequestrati, oltrechè della disponibilita giuridica, e l'affidamento dei medesimi ad un custode che può essere anche il debitore stesso, il quale detiene ed amministra i beni non più nell'interesse proprio ma nell'interesse dei creditori e sotto il controllo del giudice con tutte le conseguenze anche di ordine penale) sia con l'azione surrogatoria (art. 2900 C.C. - l'azione surrogatoria è un mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale che consiste nel potere del creditore di surrogarsi, cioè di sostituirsi, al debitore nell'esercizio dei diritti e delle azioni a contenuto patrimoniale che quest'ultimo vanta verso terzi e che, per
negligenza o dolo, trascura di far valere recando pregiudizio per le ragioni dei creditori) sia con l'azione revocatoria (ordinaria e fallimentare) si dà facoltà al creditore di intervenire sul patrimonio del debitore per conservare quella generica garanzia sui beni che successivamente saranno espropriati.
 
(fiscoepoliica.it)

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