19/03/16

FATTI CHE PORTANO AL DISSESTO DELLE SOCIETA' COLPOSI/DOLOSI

Il diritto fallimentare è una delle materie più complesse esistenti in Italia.
 
Cerco di spiegare l'art. 217, n. 1, che così recita:
"E' punito con la reclusione da sei mesi a due anni, se è dichiarato fallito, l'imprenditore, che, fuori dai casi preveduti nell'articolo precedente:
1) ha fatto spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizione economica".
CONSIDERAZIONI
Esso non è applicabile agli amministratori delle S.p.A. poichè le spese in eccesso non confluiscono sul patrimonio della società, ma si applica sull'amministratore delle snc e delle sas.
Il fatto non sussiste nella S.p.A. che hanno un bilancio in cui si rappresenta un patrimonio ed una situazione economica di una società che ha quindi una personalità giuridica e non solo le spese si riversano sulla società che approva i bilanci attraverso un voto in assemblea da parte dei soci  ed essi sono responsabili solo per il capitale sociale sottoscritto, versato e deliberato.
Le spese nella S.p.A. non incidendo sul patrimonio significa che incidono sul conto economico annuale che modifica i numeri esposti nel patrimonio, ma non direttamente nella sfera patrimoniale dell'anno.
 
Art. 217 Legge Fallimentare, n. 2 che così recita:
2) ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti;
 
CONSIDERAZIONI
E' applicabile a tutte le società riguardante il patrimonio della società e si deve sottolineare che il responsabile delle azioni deve essere un amministratore.
Il meccanismo di imprudenza però deve essere allargato da un discorso di mera spesa che incide sul patrimonio, ma se la spesa invece serve per gestire correttamente la società, all'amministratore, al liquidatore ed al sindaco revisore non può essere imputato niente di tutto ciò. Se ritardano nel fallimento e dilazionano i tempi per portare i libri in Tribunale, quello è dolo e si commette una grave imprudenza nel ritardo della dichiarazione di fallimento (questo lo troviamo al n. 3 dell'art. 217 L.F.) ed è contestabile agli amministratori, ai direttori generali, ed ai liquidatori.
 
Art. 217 Legge Fallimentare, n. 4 che così recita:
4) ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa;
 
CONSIDERAZIONI
Qui si inserisce proprio la responsabilità che viene riportata al n. 3 dello stesso art. 217 L.F.. Infatti vi è "grave colpa" nel dissesto che è appunto la conseguenza del mancato fallimento.
Secondo la dottrina prevalente il dissesto viene addeitato agli amministratori ed ai liquidatori (ad esempio se non presentatono i libri in Tribunale al fine di renderlo edotto della situazione debitoria della società).
Se al contrario la società ha delle entrate ad esempio provenienti dall'affitto d'azienda la problematica non si pone a livello giudiziario per gli ammnistratori e per i liquidatori poiché vi è un entrata certa su cui si basa la società e con quella somma in entrata va portata avanti la gestione rientrando nei limiti.
Diverso è per i Direttori Generali che possono aver avuto il ruolo di amministrare la società in prima persona e solo in quel caso ne rispondono.
Il reato al n. 4 dell'art. 217 L.F. e quello previsto al n. 2 dell'art. 224 della stessa legge che scosì recita [4) ha aggravato il proprio dissesto (4), astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa], colpa grave (n. 4 dell'art. 217), mentre è inadempimento nel n. 2 dell'art. 224.
In questi casi il secondo comma dell'art. 224, la condotta deve essere caratterizzata come "di tipo colposo" e non del dissesto mediante operazioni "dolose" previste dall'art. 223 della stessa legge.
Quindi il dissesto è fondato su colpa generica ci vuole l'art. 217 con "colpa grave", mentre se dispeso dalla mancata osservanza  degli obblighi legali rientra nel 224 L.F.
 
"Dispositivo dell'art. 224 Legge Fallimentare:
Si applicano le pene stabilite nell'art. 217 agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società dichiarate fallite, i quali:
1) hanno commesso alcuno dei fatti preveduti nel suddetto articolo ;
2) hanno concorso a cagionare od aggravare il dissesto della società con inosservanza degli obblighi ad essi imposti dalla legge".
 
In base al 224 L.F. sono ritenuti responsabili anche i precedenti amministratori ed i soci che siano cessati dalla carica in data anteriore alla data del fallimento, se si sono ad esempio fatti già verificati nel triennio anteriore alla dichiarazione di fallimento anche in riferimento alla mancata/irregolare tenuta dei libri contabili.
Marco Ruggeri
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N.B. : Dispositivo dell'art. 217 Legge Fallimentare

    
E' punito con la reclusione da sei mesi a due anni, se è dichiarato fallito, l'imprenditore, che, fuori dai casi preveduti nell'articolo precedente:

1) ha fatto spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizione economica (1);

2) ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti (2);

3) ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento (3);

4) ha aggravato il proprio dissesto (4), astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa;

5) non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o fallimentare.
La stessa pena si applica al fallito che, durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento ovvero dall'inizio dell'impresa, se questa ha avuto una minore durata, non ha tenuto i libri e le altre
scritture contabili
prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta.
Salve le altre
pene accessorie di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale [28 ss. c.p.], la condanna importa l'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a due anni.

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Note

(1) Il punto 1 si riferisce alle spese in generale, quali esborsi economici di qualsiasi tipo. La "famiglia" indicata dal legislatore va intesa in senso ampio, non limitata al solo nucleo coniugi-figli.
(2) Sono operazioni inerenti all'esercizio dell'impresa, dalle quali si evinca la temerarietà dell'imprenditore. Si parla di dissipazione ai sensi dell'art. 216 della l. fall., invece, quando le operazioni temerarie abbiano carattere personale.
(3) Un caso frequente è quello del ricorso a mutui con tassi usurari, nel tentativo di mascherare la situazione di insolvenza e posticipare l'inevitabile fallimento.
(4) Per dissesto, secondo la giurisprudenza, deve intendersi una situazione di squilibrio economico patrimoniale progressivo, tale da comportare un inarrestabile aggravamento della situazione dell'impresa, fino alla totale insolvenza.
Colui che ha cagionato e concorso a cagionare, ma non c'è una differenza così profonda tra i due termini riferendoci all'aggravamento della posizione di cui al 223 L.F.
 
Tale espressa definizione dell'art. 217 L.F. deve essere riferita all'A.U. delle società s.n.c. e s.a.s. (v. diritto penale, cit. 296-297).

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