19/08/13

CIRCOLARE N. 26/E DEL 1°/8/2013

CIRCOLARE N. 26/E

Direzione
Centrale
Normativa

Roma, 1° agosto 2013

OGGETTO:
Perdite su crediti -Articolo 101, comma 5 del TUIR modificato
dall’articolo 33, comma 5, del decreto legge 22 giugno 2012, n.
83, convertito, con modificazioni, dalla
Legge 7 agosto 2012, n. 134


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INDICE


Premessa......................................................................................... 3
1 Inquadramento generale del regime fiscale riferibile ai crediti ............................... 3
2 Disciplina delle perdite su crediti di cui all’articolo 101, comma 5, del TUIR ................ 5
3 Perdite su crediti che risultano da elementi certi e precisi .................................. 7
3.1 Perdite su crediti derivanti da processo valutativo ......................................... 8
3.2 Perdite su crediti derivanti da atti realizzativi .......................................... 10
4 Deducibilità delle perdite su crediti di modesta entità – nuova disciplina.....................13
4.1 Coordinamento con la disciplina di cui all’articolo 106 del TUIR ........................... 18
4.2 Coordinamento con la disciplina di cui all’articolo 109 del TUIR ........................... 21
4.3 La decorrenza............................................................................... 23
5 Deducibilità delle perdite su crediti prescritti ............................................. 24
6 Procedure concorsuali e accordi di ristrutturazione............................................25
7 Deducibilità delle perdite su crediti rilevate a seguito della cancellazione dei
crediti dal bilancio operata in dipendenza di eventi estintivi ................................. 29

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       Premessa

A seguito delle modifiche apportate al comma 5 dell’articolo 101 del TUIR
dall’art. 33, comma 5, del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83 (vedi all.del D.L.n.83),convertito, con
modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, si forniscono chiarimenti
riguardanti il trattamento fiscale applicabile alle nuove ipotesi di deducibilità fiscale
delle perdite su crediti.

In particolare, per quanto concerne la determinazione degli elementi certi e
precisi, necessari ai fini della deducibilità della perdita su crediti, il nuovo comma 5
dell’articolo 101 del TUIR prevede ipotesi in presenza delle quali tali elementi
possono considerarsi realizzati. Si tratta di perdite relative a crediti:

1) di modesta entità e per i quali sia decorso un periodo di sei mesi dalla

scadenza del pagamento;

2) il cui diritto alla riscossione è prescritto;

3) per i quali il debitore ha concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti;

4) che risultano cancellati dal bilancio di un soggetto IAS adopter in dipendenza

di eventi estintivi.

Le novità introdotte dal legislatore e le implicazione che determinano
sull’intera disciplina dei crediti richiedono, inoltre, la necessità di effettuare alcune
considerazioni di carattere generale, anche con riferimento al regime applicabile
prima delle modifiche normative in esame.

Inquadramento generale del regime fiscale riferibile ai crediti

I crediti rappresentano il diritto a ricevere un determinato ammontare sulla
base di un contratto o di altra fonte prevista per legge e, come tali, soggiacciono al
rischio di inesigibilità da parte del debitore.


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Tale circostanza, da un lato, ne influenza la valutazione ai fini di bilancio, che
deve essere effettuata in modo idoneo a registrare tempestivamente situazioni di
perdita per inesigibilità, dall’altro, influisce sulle scelte di gestione dei crediti stessi,
ed in particolare sulla decisione di curare in proprio la riscossione o di affidarla a
terzi, ovvero su quella di realizzare i crediti mediante la loro cessione. In
quest’ultimo caso, il rischio di inesigibilità rappresenta un fattore determinante nella
definizione del prezzo di cessione del credito.

La discrezionalità che caratterizza le vicende che interessano i crediti, sia in
fase di valutazione che di gestione e realizzo, ha indotto il legislatore tributario a
introdurre disposizioni specifiche che disciplinano il trattamento fiscale dei
componenti negativi che ne scaturiscono. Tali disposizioni sono contenute negli
articoli 101, comma 5, e 106 del TUIR che trovano la loro ratio nell’esigenza di
introdurre maggiori condizioni di certezza nella determinazione del reddito
imponibile, in un ambito caratterizzato da forti elementi di opinabilità.

Le due norme introducono dei criteri ad hoc per regolare le modalità con cui
gli oneri derivanti dalla gestione dei crediti devono concorrere al reddito ai fini
fiscali. In particolare:

-l’articolo 101, comma 5, del TUIR indica i requisiti di natura probatoria al

ricorrere dei quali sono deducibili, senza limiti, gli oneri derivanti dalla

mancata esigibilità di crediti, o di parte di essi, divenuta “definitiva”;

-l’articolo 106 del TUIR stabilisce una misura forfettaria di deducibilità degli

oneri derivanti dalla inesigibilità dei crediti che, se pur probabile, si presenta

ancora come “potenziale”.

A ben vedere, il legislatore fiscale prevede due meccanismi di deducibilità
differenti a seconda del grado di certezza del componente negativo, analitico in caso
di inesigibilità “definitiva” e forfettario in caso di inesigibilità “potenziale”,


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meccanismi che, in entrambi i casi, possono comportare il mancato riconoscimento,

o il riconoscimento solo parziale, delle risultanze contabili.
Disciplina delle perdite su crediti di cui all’articolo 101, comma 5, del TUIR

La deducibilità fiscale degli oneri derivanti dalla inesigibilità definitiva dei
crediti è disciplinata, in via generale, dalle disposizioni contenute nella prima parte
del comma 5 dell’articolo 101 del TUIR, secondo il quale “le perdite su crediti sono
deducibili se risultano da elementi certi e precisi e in ogni caso, per le perdite su
crediti, se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali o ha concluso un
accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'articolo 182-bis del
regio decreto 16 marzo 1942, n. 267”.

Da tale formulazione è pertanto possibile distinguere le perdite su crediti
vantati nei confronti di debitori assoggettati a procedure concorsuali o ad accordi di
ristrutturazione da quelle rilevate in assenza di tali condizioni.

In quest’ultimo ambito confluiscono in particolare sia le perdite per
inesigibilità determinate internamente, tramite un processo di stima, sia quelle che
emergono nel contesto di un atto realizzativo. Nel primo caso, il credito oggetto di
riduzione di valore permane nella sfera giuridica e patrimoniale del creditore e
rimane iscritto, pur se decurtato (o, in estremo, azzerato), nell’attivo dello suo stato
patrimoniale o, comunque, nei libri o registri relativi all’impresa. Nel secondo caso,
invece, la titolarità giuridica del credito è trasferita o estinta e, di norma, il credito è
cancellato sia dal bilancio che dai libri e registri dell’impresa.

E’ bene evidenziare che sia con riguardo alle perdite realizzate in presenza di
procedure concorsuali che con riguardo alle altre, il campo di applicazione della
disposizione non risulta circoscritto né dal punto di vista oggettivo né sotto il profilo
soggettivo.


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Ne deriva che sono potenzialmente riconducibili nell’ambito della disciplina
in esame le perdite riferibili a tutti i crediti presenti in bilancio, senza alcuna
distinzione relativa alla natura degli stessi o all’attività svolta dal creditore, né rileva
la causa che ha comportato l’iscrizione a conto economico della perdita, che, come
detto, può essere rappresentata dalla valutazione del credito o dalla cessione dello
stesso.

Poiché la norma non fa alcuna distinzione in funzione della localizzazione
del debitore, si ricorda che la disposizione in esame è applicabile anche nel caso di
crediti vantati nei confronti di soggetti non residenti (cfr. circolare n. 39/E del 10
maggio 2002).

Occorre precisare, peraltro, che alle perdite su crediti derivanti da
transazioni con soggetti residenti ovvero localizzati in paesi black list trova
applicazione l’articolo 110, comma 10, del TUIR.

Sempre con riferimento a entrambe le ipotesi (procedure concorsuali e non)
si fa presente che l’ammontare della perdita deducibile è da determinarsi tenendo
conto delle disposizioni di cui ai commi 2 e 5 dell’articolo 106 del TUIR, come
meglio chiarito nel paragrafo 4.1.

Poiché la perdita dedotta determina un decremento del valore fiscalmente
riconosciuto del credito, eventuali somme ricevute in misura maggiore rispetto al
credito residuo dopo la rilevazione della perdita, o eventuali riprese di valore del
credito stesso imputate a conto economico, concorrono alla determinazione del
reddito imponibile come sopravvenienze attive (cfr. Risoluzione n. 9/016 del 1°
aprile 1981).


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Perdite su crediti che risultano da elementi certi e precisi

La prima parte del comma 5 dell’articolo 101 del TUIR, secondo cui “le
perdite su crediti sono deducibili se risultano da elementi certi e precisi”, presente
in questa formulazione anche prima delle modifiche di seguito illustrate, costituisce
la disposizione di riferimento ai fini della deduzione delle perdite su crediti per
inesigibilità in tutti i casi in cui il debitore non risulta assoggettato a procedure
concorsuali.

Dalla formulazione della norma è possibile individuare l’ambito oggettivo,
che ne costituisce anche presupposto per l’applicazione, individuato nelle “perdite
su crediti”, e le condizioni di deducibilità richieste per il riconoscimento fiscale
delle perdite, gli “elementi certi e precisi”.

Con riguardo all’ambito oggettivo si evidenzia che la disposizione in esame si
rende applicabile solo in presenza di una perdita su crediti considerata “definitiva”
(cfr. Circolare n. 39 del 10 maggio 2002). A tal fine, si ritiene che la “definitività” di
una perdita sia rinvenibile allorché si possa escludere l’eventualità che in futuro il
creditore riesca a realizzare, in tutto o in parte, la partita creditoria. Diversamente,
nel caso in cui sia possibile ritenere che l’inesigibilità del credito rappresenti una
condizione solo temporanea, non sussistono i requisiti di “definitività” della perdita
e la stessa rientra nella categoria delle perdite “potenziali”.

Le condizioni di deducibilità della perdita, invece, costituiscono gli elementi,
di fatto o di diritto, attestanti le ragioni e l’entità della perdita per definitiva
inesigibilità del credito di cui si chiede il suo riconoscimento ai sensi dell’articolo
101, comma 5, del TUIR.

Al riguardo, si evidenzia che il generico riferimento alla ricorrenza degli
elementi certi e precisi implica la necessità di ricorrere ad una valutazione caso per
caso della idoneità di tali elementi a dimostrare la definitività della perdita, tenendo
conto dello specifico contesto in cui la stessa è maturata.


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Nel rispetto dei margini di soggettività previsti dalla stessa norma, tuttavia, si
ritiene opportuno offrire, sulla base della precedente prassi e delle posizioni espresse
dalla giurisprudenza, alcune linee guida per individuare quando si è in presenza o
meno di tali condizioni di deducibilità, distinguendo tra le perdite determinate
tramite un processo valutativo interno e le perdite originatesi a seguito di un atto
realizzativo.

3.1 Perdite su crediti derivanti da processo valutativo
Con riferimento alle perdite su crediti determinate internamente, attraverso un
procedimento di stima, si ritiene che la “definitività” della perdita possa essere
verificata solo in presenza di una situazione oggettiva di insolvenza non temporanea
del debitore, riscontrabile qualora la situazione di illiquidità finanziaria ed
incapienza patrimoniale del debitore sia tale da fare escludere la possibilità di un
futuro soddisfacimento della posizione creditoria.

Tale situazione può senz’altro essere verificata in presenza di un decreto
accertante lo stato di fuga, di latitanza o di irreperibilità del debitore, ovvero in caso
di denuncia di furto d’identità da parte del debitore ex articolo 494 del codice penale

o nell’ipotesi di persistente assenza del debitore ai sensi dell’articolo 49 del codice
civile.
Al di fuori delle predette ipotesi, possono considerarsi come sufficienti
elementi di prova ai fini della deducibilità della perdita, tutti i documenti attestanti
l’esito negativo di azioni esecutive attivate dal creditore (ad esempio, il verbale di
pignoramento negativo), sempre che l’infruttuosità delle stesse risulti anche sulla
base di una valutazione complessiva della situazione economica e patrimoniale del
debitore, assoluta e definitiva.

Si ricorda, ad esempio, che l’infruttuosa attivazione delle procedure esecutive
nei confronti di un ente pubblico, peraltro non assoggettabile a procedure


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concorsuali, non è da sola sufficiente a dimostrare l’impossibilità futura di
recuperare il credito. (cfr. risoluzione n. 16/E del 23 gennaio 2009).

Un altro utile elemento di prova, a corredo di ripetuti tentativi di recupero
senza esito, può essere rappresentato dalla documentazione idonea a dimostrare che
il debitore si trovi nell’impossibilità di adempiere per un’oggettiva situazione di
illiquidità finanziaria ed incapienza patrimoniale e che, pertanto, è sconsigliata
l’instaurazione di procedure esecutive.

Al riguardo, possono essere tenute in considerazione le lettere di legali
incaricati della riscossione del credito (cfr. Corte di Cassazione, sentenza n. 3862 del
16 marzo 2001) o le relazioni negative rilasciate dalle agenzie di recupero crediti di
cui all’articolo 115 del TULPS in ipotesi di mancato successo nell’attività di
recupero, sempre che nelle stesse sia obiettivamente identificabile il credito oggetto
dell’attività di recupero, l’attività svolta per recuperare tale credito e le motivazioni
per cui l’inesigibilità sia divenuta definitiva a causa di un’oggettiva situazione di
illiquidità finanziaria ed incapienza patrimoniale del debitore.

Infine, si ricorda che, in ipotesi di crediti commerciali di modesto importo,
fatto salvo quanto di seguito precisato in ordine alla nuova disciplina, si può
prescindere dalla ricerca di rigorose prove formali. Ciò in considerazione del fatto
che la lieve entità dei crediti può consigliare le aziende a non intraprendere azioni di
recupero che comporterebbero il sostenimento di ulteriori costi (cfr. risoluzioni
ministeriali n. 189 del 17 settembre 1970 e n. 124 del 6 agosto 1976 e risposta
all’interrogazione parlamentare n. 5-00570 del 5 novembre 2008).

In tali casi, in particolare, l’antieconomicità della prosecuzione nella
riscossione del credito deve considerarsi verificata ogni volta in cui i costi per
l’attivazione delle procedure di recupero risultino uguali o maggiori all’importo del
credito da recuperare.


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Ai fini della verifica della menzionata condizione di antieconomicità delle
operazioni di riscossione, il costo delle attività di recupero riferibile ad un
determinato credito deve risultare in linea con i prezzi mediamente praticati sul
mercato, che possono essere desunti dalla comparazione di più preventivi rilasciati
da soggetti operanti nel settore del recupero crediti. Inoltre, ai fini della valutazione
di antieconomicità del recupero, è necessario tener conto anche dei costi di gestione
interni all’impresa del creditore (se desumibili dalla contabilità industriale).

In conclusione, una volta dimostrata l’antieconomicità dell’azione di recupero
secondo i criteri sopra specificati, risulta sufficiente, ai fini della deducibilità della
perdita ai sensi dell’articolo 101, comma 5, del TUIR, la semplice evidenza che il
creditore si sia attivato per il recupero del credito (a titolo esemplificativo,
raccomandate con ricevuta di ritorno mediante le quali si sollecitava il pagamento).

3.2 Perdite su crediti derivanti da atti realizzativi
Nel caso di perdite derivanti non da un processo di valutazione ma da atti di
natura realizzativa -ossia da eventi i cui effetti giuridici producono il realizzo o
l’estinzione del credito -si evidenziano le seguenti considerazioni.

La presenza di un atto o di un evento produttivo di effetti giuridici,
diversamente dal caso in cui le perdite sono determinate tramite un processo di
valutazione, permette di verificare la deducibilità della perdita anche alla luce degli
effetti che tale atto o evento producono.

In particolare, si ritiene che gli atti realizzativi idonei a produrre una perdita
assoggettabile all’articolo 101, comma 5, del TUIR siano i seguenti:
-cessione del credito che comporta la fuoriuscita, a titolo definitivo, del credito
dalla sfera giuridica, patrimoniale ed economica del creditore;
-transazione con il debitore che comporta la riduzione definitiva del debito o
degli interessi originariamente stabiliti quando motivata dalle difficoltà


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finanziarie del debitore stesso (si ricorda che se l’origine della transazione è

differente, ad esempio deriva da una lite sulla fornitura, il relativo onere non

costituisce una perdita su crediti ma una sopravvenienza passiva);

-atto di rinuncia al credito.

Premesso che anche in caso di atti realizzativi la deducibilità di una perdita su
crediti deve essere valutata caso per caso e supportata da elementi probatori volti
alla dimostrazione della definitiva inesigibilità del credito (cfr., tra l’altro, Corte
Cassazione, sentenza n. 20450 del 6 ottobre 2011), si ritiene possibile individuare
alcuni elementi in presenza dei quali tale dimostrazione possa dirsi verificata.

Con riguardo all’ipotesi di cessione a titolo definitivo, si ritengono verificati i
requisiti di deducibilità della perdita richiesti dall’articolo 101, comma 5, del TUIR
quando il credito è ceduto a banche o altri intermediari finanziari vigilati, residenti
in Italia o in Paesi che consentano un adeguato scambio di informazioni, che
risultano indipendenti (ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile) rispetto al
soggetto cedente ed al soggetto ceduto.

A tali condizioni, infatti, si ritiene che la valutazione del credito oggetto di
cessione, eseguita dall’istituto finanziario acquirente sulla base della metodologia di
gestione del rischio adottata, rifletta con sufficiente attendibilità l’ammontare del
credito effettivamente esigibile. Tanto più che il valore di cessione del credito viene
immediatamente riconosciuto ai fini fiscali in capo all’ente creditizio o finanziario
acquirente, pertanto un eventuale futuro realizzo del credito per un valore maggiore
a quello di iscrizione costituirebbe un componente positivo imponibile.

Inoltre, sempre con riguardo alla cessione a titolo definitivo, si ritengono
verificate le condizioni di deducibilità di una perdita quando questa si presenta
d’ammontare non superiore alle spese che sarebbero state sostenute per il recupero


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del relativo credito (perdita =
costi di riscossione), sempre che il creditore abbia
esperito almeno un tentativo di recupero del credito (raccomandata di sollecito etc.).

Al fine di verificare tale condizione, si ritiene necessario che il soggetto
cedente dimostri in modo oggettivo il costo che avrebbe sostenuto per il recupero
del credito (prezzi mediamente praticati sul mercato per l’attività di recupero di
crediti della stessa natura), tenuto anche conto dei costi di gestione interni (se
desumibili dalla contabilità industriale) oltre che dei tempi per la riscossione.

Si ricorda, infine, che resta in ogni caso impregiudicato il potere
dell’amministrazione finanziaria di sindacare la congruità della perdita sotto il
profilo dell’elusività dell’operazione, ai sensi dell’articolo 37-bis del decreto del
Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600. Al riguardo, si osserva che
presentano un più alto profilo di rischio, le operazioni che intercorrono tra soggetti
non indipendenti.

Con riguardo all’ipotesi di transazione con il debitore, si ritengono verificate
le condizioni di deducibilità della perdita ai sensi dell’articolo 101, comma 5, del
TUIR quando il creditore e il debitore non sono parte dello stesso gruppo e la
difficoltà finanziaria del debitore risulta documentata (ad esempio, dall’istanza di
ristrutturazione presentata dal debitore oppure dalla presenza di debiti insoluti anche
verso terzi).

Anche in caso di transazione, inoltre, la perdita su crediti può essere
giustificata sotto il profilo della convenienza economica, allo stesso modo ed in
presenza delle stesse condizioni che sono state previste in caso di cessione a titolo
definitivo.

Nel caso di rinuncia o remissione del debito, invece, sebbene si sia in
presenza dell’estinzione giuridica del credito in capo al creditore, nonché
dell’esclusione di ogni futuro effetto economico -patrimoniale del credito in capo al


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medesimo, la perdita rilevata matura in un contesto di unilateralità e può pertanto
rappresentare un atto di liberalità indeducibile ai fini fiscali.

Conseguentemente, si ritiene che la deducibilità ai sensi dell’articolo 101,
comma 5, del TUIR di una perdita evidenziata a seguito di un atto formale di
remissione o di rinuncia al credito possa essere riconosciuta solo se la stessa risulti
inerente all’attività d’impresa (e non appaia quindi come una liberalità). Tale
inerenza può ritenersi verificata, in linea di principio, se sono dimostrate le ragioni
di inconsistenza patrimoniale del debitore o di inopportunità della azioni esecutive
(cfr. Corte di Cassazione, sentenza n. 11329 del 29 agosto 2001).

Oltre alle ipotesi di atti realizzativi, si considerano verificati i requisiti di cui
all’articolo 101, comma 5, del TUIR in presenza di tutti gli eventi che determinano
la perdita di qualsiasi diritto giuridico, patrimoniale ed economico sul credito, come
ad esempio il caso di decesso del debitore in assenza di eredi o qualora gli eredi
abbiano rinunciato all’eredità.

Deducibilità delle perdite su crediti di modesta entità – nuova disciplina

Il comma 5 dell’articolo 101 del TUIR, così come ora formulato a seguito
dell’integrazione recata dall’articolo 33, comma 5, del decreto legge n. 83 del 2012,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012 dispone, tra l’altro, che
“le perdite su crediti sono deducibili se risultano da elementi certi e precisi (…). Gli
elementi certi e precisi sussistono in ogni caso quando il credito sia di modesta
entità e sia decorso un periodo di sei mesi dalla scadenza di pagamento del credito
stesso. Il credito si considera di modesta entità quando ammonta ad un importo non
superiore a 5.000 euro per le imprese di più rilevante dimensione (…) e non
superiore a 2.500 euro per le altre imprese.”


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In definitiva, sulla base della predetta integrazione, gli elementi certi e precisi
sussistono ora, in ogni caso, nell’ipotesi di rilevazione in bilancio di una perdita
relativa a crediti di modesta entità che risultano scaduti da almeno sei mesi.

Per quanto concerne la modesta entità, la nuova norma -nel solco del
precedente orientamento di prassi che ammetteva la deduzione della perdita sui
crediti di limitato importo prescindendo dalla ricerca di rigorose prove formali definisce
in modo inequivoco la nozione di credito di modesto importo che consente
la deducibilità della perdita.

La modesta entità va individuata considerando il valore nominale del credito
e prescindendo da eventuali svalutazioni effettuate in sede contabile e fiscale.

Laddove l’impresa sia subentrata nella titolarità del credito per effetto di atti
traslativi, occorre far riferimento al corrispettivo riconosciuto in sede di acquisto del
credito, essendo quest’ultimo il valore fiscalmente deducibile come perdita ai sensi
dell’articolo 106, comma 2 del TUIR.

Resta inteso che qualora il credito sia stato riscosso parzialmente dall’impresa
creditrice, la verifica della modesta entità deve essere condotta assumendo il valore
nominale del credito al netto degli importi incassati.

Appare opportuno evidenziare, inoltre, che la verifica del limite quantitativo
della modesta entità deve essere effettuata considerando anche l’imposta sul valore
aggiunto oggetto di rivalsa nei confronti del debitore. Non assumono rilevanza,
invece, gli interessi di mora e gli oneri accessori addebitati al debitore in caso di
inadempimento, poiché fiscalmente deducibili in maniera autonoma rispetto al
valore del credito.

Ciò premesso, occorre rilevare come l’individuazione della modesta entità del
credito assume connotati particolari nel caso in cui esistano più posizioni creditorie
nei confronti del medesimo soggetto debitore.

Al riguardo, considerato il tenore letterale della norma -che fa riferimento al
credito di modesta entità -si ritiene che la verifica del limite quantitativo (2.500


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euro o 5.000 euro se l’impresa è di più rilevanti dimensioni) debba essere effettuata
in relazione al singolo credito corrispondente ad ogni obbligazione posta in essere
dalle controparti, indipendentemente dalla circostanza che, in relazione al medesimo
debitore, sussistano al termine del periodo d’imposta più posizioni creditorie.

Esempio 1

Si ipotizzi un’impresa di più rilevanti dimensioni e che al termine del periodo
d’imposta abbia nei confronti di un medesimo debitore due crediti scaduti da almeno
sei mesi con un valore nominale pari a 3.000 euro e 4.000 euro.

In tal caso, la verifica del limite quantitativo per singolo credito consente di
rispettare, per entrambi i crediti, il requisito della modesta entità, senza necessità di
verificare che la somma del valore nominale dei due crediti (pari a 7.000 euro)
supererebbe il limite dei 5.000 euro stabilito dalla norma.

La soluzione appena evidenziata è applicabile in presenza di obbligazioni
riconducibili a rapporti giuridici autonomi e non anche nella diversa ipotesi in cui
l’obbligazione derivi da un rapporto giuridico unitario tra le controparti.

Nel caso in cui le partite creditorie si riferiscono al medesimo rapporto
contrattuale (come, ad esempio, nei contratti di somministrazione o nei premi
ricorrenti di una polizza assicurativa), infatti, appare ragionevole ritenere che la
modesta entità debba essere verificata prendendo a riferimento il saldo complessivo
dei crediti scaduti da almeno sei mesi al termine del periodo d’imposta riconducibile
allo stesso debitore e al medesimo rapporto contrattuale.

Esempio 2

Si ipotizzi un’impresa di più rilevanti dimensioni che abbia nei confronti del
medesimo debitore due crediti derivanti da un contratto di somministrazione del


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valore nominale pari a 3.000 euro e 1.500 euro scaduti da almeno sei mesi al termine
del periodo d’imposta e un credito di 2.000 euro per il quale non risulta ancora
decorso il periodo dei sei mesi.

In tal caso, la verifica del limite quantitativo consente di rispettare il requisito
della modesta entità dei 5.000 euro, poiché è effettuata considerando il saldo
complessivo dei due crediti scaduti dal almeno sei mesi al termine del periodo
d’imposta (pari a 3.000 + 1.500 euro) e non anche del credito (pari a 2.000 euro) per
il quale non risulta ancora decorso il periodo semestrale.

Appare opportuno evidenziare che il rispetto dei requisiti della modesta entità
del credito e dei sei mesi potrebbe non essere sufficiente per la deduzione della
perdita, in assenza dell’imputazione a conto economico del componente negativo (si
rinvia, al riguardo, al successivo paragrafo 4.2).

Appare ragionevole ritenere che i crediti considerati di modesta entità nel
periodo n (perché non superiori al limite di 2.500 o 5.000 euro) la cui perdita non è
stata dedotta nel medesimo periodo n (in assenza di imputazione a conto economico)
non devono essere di nuovo sottoposti alla verifica della modesta entità nei
successivi periodi d’imposta.

Esempio 3

Si ipotizzi un’impresa di più rilevanti dimensioni che abbia nei confronti del
medesimo debitore due crediti derivanti da un contratto di somministrazione del
valore nominale pari a 3.000 euro e 1.500 euro scaduti da almeno sei mesi al termine
del periodo d’imposta 2013 e un credito di 2.000 euro per il quale il requisito dei sei
mesi risulta soddisfatto nel successivo periodo 2014.
Nel 2013 l’impresa, in assenza di imputazione a conto economico, non deduce la
perdita di 4.500 euro (3.000+1.500).


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In tal caso, il contribuente nel 2014 potrà dedurre sia la perdita di 4.500 euro relativa
ai due crediti la cui modesta entità è stata verificata nel 2013 -sia la perdita
riferita al credito di 2.000 euro (sempre che risulti soddisfatta l’imputazione a conto
economico). Nel 2014, infatti, la verifica della modesta entità non deve essere
effettuata ricomprendendo anche i due crediti (pari complessivamente a 4.500 euro)
i cui sei mesi erano trascorsi nel precedente periodo.

E’ appena il caso di precisare che sono esclusi dalla disposizione in esame i
crediti assistiti da garanzia assicurativa, già irrilevanti nella disciplina di
svalutazione dell’articolo 106 del TUIR, per i quali l’inadempimento del debitore
non determina una perdita per il creditore ma un credito nei confronti
dell’assicuratore.

Si fa presente, infine, che la norma, per individuare le imprese di più rilevanti
dimensioni -nei confronti delle quali la modesta entità del credito è quantificata in
misura non superiore a 5.000 euro -rinvia all'articolo 27, comma 10, del decreto
legge 29 novembre 2008, n.185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28
gennaio 2009, n. 2, in base al quale “si considerano imprese di più rilevante
dimensione quelle che conseguono un volume d'affari o ricavi non inferiori a
trecento milioni di euro. Tale importo è gradualmente diminuito fino a cento milioni
di euro entro il 31 dicembre 2011”.

In definitiva, poiché la disposizione in commento è applicabile dal periodo
d’imposta in corso alla data del 12 agosto 2012, il limite dei 5.000 euro
rappresentativo della modesta entità assume rilevanza per quelle imprese che
abbiano conseguito un volume d’affari o ricavi non inferiore a cento milioni di euro.

Come chiarito meglio nel successivo paragrafo 4.1, la norma in esame deve
essere applicata in coerenza con quanto previsto dalle altre disposizioni del TUIR,
ed in particolare con gli articoli 106 e 109 del testo unico.


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4.1 Coordinamento con la disciplina di cui all’articolo 106 del TUIR
Con riferimento alle imprese industriali, il comma 1 dell’articolo 106 dispone
che “le svalutazioni dei crediti risultanti in bilancio, per l’importo non coperto da
garanzia assicurativa, che derivano dalle cessioni di beni e dalle prestazioni di
servizi indicate nel comma 1 dell'articolo 85, sono deducibili in ciascun esercizio
nel limite dello 0,50 per cento del valore nominale o di acquisizione dei crediti
stessi. Nel computo del limite si tiene conto anche di accantonamenti per rischi su
crediti. La deduzione non è più ammessa quando l’ammontare complessivo delle
svalutazioni e degli accantonamenti ha raggiunto il 5 per cento del valore nominale

o di acquisizione dei crediti risultanti in bilancio alla fine dell’esercizio”
La normativa fiscale, dunque, stabilisce, in ciascun esercizio, la deducibilità
delle svalutazioni dei crediti e degli accantonamenti al fondo svalutazione crediti
nella misura dello 0,50 per cento del valore nominale o di acquisizione dei crediti
risultanti in bilancio, per l’importo non coperto da garanzia assicurativa, che
derivano da cessione di beni e dalle prestazioni di servizi che hanno dato origine ai
ricavi dell’impresa.

Ulteriore limitazione prevista dalla norma è quella secondo cui il totale delle
svalutazioni e degli accantonamenti dedotti non deve superare il 5 per cento del
valore nominale o di acquisizione dei crediti risultanti in bilancio.

A tale limite si ricollega la disposizione dell’ultima parte del comma 2
dell’articolo 106 del TUIR in cui si prevede che “se in un esercizio l'ammontare
complessivo delle svalutazioni e degli accantonamenti dedotti eccede il 5 per cento
del valore nominale o di acquisizione dei crediti, l'eccedenza concorre a formare il
reddito dell'esercizio stesso.”

In definitiva, la svalutazione fiscalmente ammessa dal comma 1 dell’articolo
106 del TUIR si determina secondo un criterio forfettario riferito all’insieme dei


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crediti iscritti in bilancio, senza alcuna indagine sul grado di esigibilità di ciascuno
di essi; per effetto della forfetizzazione ivi prevista, la norma determina la
configurazione di un “fondo fiscale” formato da tutte le svalutazioni e gli
accantonamenti dedotti ai sensi dell’articolo 106 del TUIR

Il medesimo comma 2 dell’articolo 106 del TUIR stabilisce, inoltre, che “le
perdite sui crediti di cui al comma 1, determinate con riferimento al valore
nominale o di acquisizione dei crediti stessi, sono deducibili a norma dell'articolo
101, limitatamente alla parte che eccede l'ammontare complessivo delle svalutazioni
e degli accantonamenti dedotti nei precedenti esercizi.”

Da ciò discende che il fondo fiscale, così come descritto, deve essere
utilizzato, in via preliminare, al verificarsi di perdite su crediti che presentano i
requisiti di deducibilità di cui all’articolo 101, comma 5, del TUIR. Queste, pertanto,
riducono il reddito imponibile dell’esercizio in cui sono rilevate solo per la parte che
eccede l’ammontare complessivo delle svalutazioni e degli accantonamenti dedotti
nei precedenti esercizi. Tale disposizione individua espressamente un criterio di
imputazione, riferendo l’utilizzo del fondo in via prioritaria alla parte dello stesso
che ha già avuto rilevanza fiscale (cfr. risoluzione n. 127/E del 9 novembre 2006).

In altri termini, in un esercizio la perdita realizzata va prioritariamente
imputata al fondo, in quanto capiente, e la determinazione della quota fiscalmente
deducibile delle svalutazioni dell’esercizio, così come la valutazione dell’eventuale
eccedenza imponibile rispetto alla soglia globale del 5 per cento, deve essere
calcolata sull’ammontare dei crediti al netto della perdita.

Inoltre, la stessa disposizione prevede che le perdite su crediti devono essere
determinate con riferimento al valore nominale o di acquisizione dei crediti stessi.

Con tale formulazione la norma presuppone che il valore fiscalmente
riconosciuto dei crediti sia costituito dal valore nominale o di acquisizione degli
stessi e pertanto, per effetto delle rettifiche per svalutazioni, il valore fiscale risulta
disallineato rispetto al quello di bilancio.


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Diverse considerazioni devono essere svolte, invece, per gli enti creditizi e
finanziari che deducono le svalutazioni fiscali sui crediti ai sensi dei commi 3 e 3-bis
dell’articolo 106 del TUIR.

In via preliminare, occorre evidenziare come l’articolo 106, comma 3, del
TUIR, preveda che il valore dei crediti costituenti il plafond deve essere quello
risultante in bilancio “aumentato dell’ammontare delle svalutazioni dell’esercizio”e
che “le svalutazioni si assumono al netto delle rivalutazioni dei crediti risultanti in
bilancio”. In altri termini, l’ammontare di detto plafond deve essere determinato
aggiungendo al valore dei crediti iscritto a bilancio le svalutazioni effettuate
nell’esercizio, al netto delle rivalutazioni del medesimo esercizio.

Su tale ammontare andrà applicata la percentuale dello 0,30, al fine di
individuare l’importo delle svalutazioni deducibile nel periodo d’imposta di
riferimento.

Pertanto, le svalutazioni dei crediti di un esercizio, al netto delle rivalutazioni
risultanti in bilancio, possono essere dedotte nel medesimo esercizio entro il limite
massimo risultante dall’applicazione dello 0,30 per cento allo stesso plafond.

Qualora in un esercizio l’ammontare complessivo delle svalutazioni superi il
predetto limite percentuale, l’eccedenza è deducibile in quote costanti nei diciotto
esercizi successivi.

Diversamente, se l’ammontare complessivo delle svalutazioni è inferiore a
tale limite, sono deducibili, fino a concorrenza del medesimo limite, gli
accantonamenti per rischi su crediti. Gli accantonamenti non sono comunque più
deducibili quando il loro ammontare complessivo ha raggiunto il 5 per cento del
valore dei crediti risultanti in bilancio alla fine dell’esercizio.

In base al successivo comma 3 bis dell’articolo 106 del TUIR, inoltre per i
nuovi crediti erogati a decorrere dall'esercizio successivo a quello in corso al 31
dicembre 2009, limitatamente all'ammontare che eccede la media dei crediti erogati
nei due periodi d'imposta precedenti, è deducibile in ciascun esercizio una quota pari


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allo 0,50 per cento, mentre l’eccedenza è deducibile in quote costanti nei nove
esercizi successivi.

Il comma 5 dell’articolo 106 del TUIR coordina le disposizioni relative alle
svalutazioni dei crediti degli enti finanziari con quella riferita alle perdite su crediti
di cui all’articolo 101, comma 5, del TUIR.

In particolare, il citato comma 5 dispone che “le perdite sui crediti di cui al
comma 3 e di cui al comma 3-bis, determinate con riferimento al valore di bilancio
dei crediti, sono deducibili, ai sensi dell'articolo 101, limitatamente alla parte che
eccede l'ammontare dell'accantonamento per rischi su crediti dedotto nei precedenti
esercizi”.

Le perdite su crediti, quindi, se presentano i requisiti dei cui all’articolo 101,
comma 5, del TUIR, sono deducibili solo per la parte che eccede l’ammontare degli
accantonamenti per rischi su crediti dedotto nei precedenti esercizi.

In tale contesto normativo, occorre precisare che per gli enti creditizi e
finanziari, la svalutazione imputata precedentemente in bilancio dovrà continuare ad
assumere rilevanza fiscale fino al diciottesimo esercizio, ovvero al nono esercizio
per i nuovi crediti. La deduzione del residuo valore fiscale potrà rilevare, al pari
degli altri soggetti, nel periodo in cui confluisce a conto economico la rettifica di
valore, sempreché in tale periodo sia decorso il termine di sei mesi stabilito dalla
disposizione.

4.2 Coordinamento con la disciplina di cui all’articolo 109 del TUIR
Per quanto concerne, invece, il rispetto del principio di competenza, si fa
presente che il termine di sei mesi previsto dalla norma per i crediti di modesta
entità rappresenta il momento a partire dal quale la perdita può essere fiscalmente
dedotta, considerato che la stessa diviene effettivamente deducibile dal reddito
d’impresa solo nell’esercizio in cui è imputata a conto economico, risultando in quel


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momento realizzato senza necessità di alcuna ulteriore dimostrazione il requisito
della esistenza degli elementi certi e precisi.

In altri termini, qualora l’impresa -in coerenza con quanto previsto dai
principi contabili di redazione del bilancio -imputi la perdita nel conto economico
relativo ad un esercizio successivo a quello in cui maturano i sei mesi dalla scadenza
del credito, anche la deduzione fiscale deve essere rinviata al periodo d’imposta di
imputazione a conto economico.

Peraltro, qualora la perdita sui crediti in esame sia stata imputata nel conto
economico relativo ad un esercizio precedente a quello di maturazione dei sei mesi e
non sia stata dedotta fiscalmente -perché non avente i requisiti per la deducibilità la
stessa dovrà considerarsi deducibile nel periodo d’imposta di maturazione del
semestre.

In tal caso, l’impresa dovrà operare una variazione in diminuzione sulla base
del presupposto che la perdita è stata imputata al conto economico di un esercizio
precedente e rinviata in conformità alle disposizioni del testo unico (cfr. articolo
109, comma 4, lettera a) del TUIR).

Si evidenzia, inoltre, che il rispetto del principio di previa imputazione può
considerarsi realizzato anche nel caso in cui a conto economico sia confluito il costo
a titolo di svalutazione e la stessa non sia stata dedotta fiscalmente. Ciò in coerenza
con quanto previsto nella circolare n. 26/E del 20 giugno 2012, ove si è confermata
la possibilità di dedurre una maggiore quota di ammortamento fiscale rispetto a
quella transitata a conto economico nel presupposto che il costo sia transitato a titolo
di svalutazione in un esercizio precedente.

In particolare, nell’ipotesi di svalutazione integrale dei crediti di modesta
entità, imputata a conto economico nell’esercizio o negli esercizi precedenti e non
dedotta fiscalmente, la deduzione fiscale della perdita rileva nel periodo d’imposta
in cui risulta decorso il termine di sei mesi previsto dalla norma. In tal caso,


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l’imputazione è garantita dal transito a conto economico del costo a titolo di
svalutazione.

Nella diversa ipotesi di svalutazione parziale dei crediti di modesta entità,
imputata a conto economico nell’esercizio o negli esercizi precedenti e non dedotta
fiscalmente, la deduzione fiscale della perdita spetta nel periodo in cui risulta
decorso il termine di sei mesi stabilito dalla disposizione.

Il contribuente potrà, quindi, dedurre come perdita la svalutazione imputata a
conto economico e non dedotta fiscalmente nel periodo in cui risulta decorso il
termine dei sei mesi dalla scadenza del credito. La restante quota, invece, diverrà
deducibile nel periodo in cui confluisce a conto economico il residuo valore come
svalutazione o come perdita.

Al riguardo, occorre precisare che nel caso di svalutazioni effettuate “per
masse” -in cui non risulta possibile individuare la parte di svalutazione cumulativa
riferibile ai crediti di modesto importo -la perdita su crediti deve essere
integralmente imputata all’intero ammontare delle svalutazioni operate.

4.3 La decorrenza
Con riferimento alla decorrenza della previsione normativa in esame, occorre
evidenziare come la stessa produca i suoi effetti a decorrere dal periodo d’imposta in
corso alla data del 12 agosto 2012, data di entrata in vigore della legge n. 134 del
2012, di conversione del decreto legge n. 83 del 2012.

Per un contribuente con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare,
quindi, il 2012 rappresenta il primo periodo d’imposta a partire dal quale potrà
essere dedotta la perdita relativa ai crediti di modesta entità per i quali risulti
trascorso il periodo di sei mesi dalla scadenza previsto dalla norma.


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Deve ritenersi che la nuova disposizione riguardi, in assenza di specifiche
regole di diritto transitorio, anche i crediti il cui semestre di anzianità sia maturato
prima del 2012 e la cui perdita è imputata nell’esercizio 2012 o nei successivi.

Resta ferma la deducibilità della perdita per i crediti non rientranti nella
previsione normativa in esame in presenza degli elementi certi e precisi previsti
dalla previgente formulazione del comma 5 dell’articolo 101 del TUIR, così come
meglio chiarito nel paragrafo 3.

Deducibilità delle perdite su crediti prescritti

La nuova formulazione del comma 5 prevede che “gli elementi certi e precisi
sussistono inoltre quando il diritto alla riscossione del credito è prescritto”.

Appare opportuno evidenziare, al riguardo, che la prescrizione è un istituto
previsto dall’articolo 2934 del codice civile secondo il quale “ogni diritto si estingue
per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla
legge”. Come previsto dal successivo articolo 2943 del codice civile “la prescrizione
è interrotta dalla notificazione dell’atto con il quale si inizia un giudizio (…) dalla
domanda proposta nel corso di un giudizio (…). La prescrizione è inoltre interrotta
da ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore”.

In altri termini, la perdita di qualsiasi diritto giuridico, economico e
patrimoniale sul credito, che si configura con la prescrizione di ogni azione
finalizzata a soddisfare la partita creditoria, è un’altra ipotesi che dà luogo alla
deducibilità della perdita in capo al creditore.

La prescrizione del diritto di esecuzione del credito iscritto nel bilancio del
creditore, infatti, ha come effetto quello di cristallizzare la perdita emersa e di
renderla definitiva.

Sulla base del tenore letterale della norma, che non individua dei specifici
limiti quantitativi, si ritiene che la previsione normativa in esame debba trovare
applicazione a prescindere dall’importo del credito prescritto.


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In altri termini, la possibilità di dedurre la perdita per i crediti il cui diritto
alla riscossione è prescritto opera sia con riferimento ai crediti di modesta entità
(ossia quelli di importo non superiore a 5.000 euro per le imprese di più rilevante
dimensione e non superiore a 2.500 euro per le altre imprese) che per quelli diversi.

Con riferimento alla decorrenza della previsione normativa in esame, occorre
evidenziare come la stessa produca i suoi effetti a decorrere dal periodo d’imposta in
corso alla data del 12 agosto 2012, data di entrata in vigore della legge n. 134 del
2012, di conversione del decreto legge n. 83 del 2012.

Già in passato, tuttavia, la prescrizione del credito costituiva un elemento
certo e preciso cui far conseguire la deduzione della perdita. Al riguardo, si
evidenzia come la relazione tecnica al decreto legge n. 83 del 2012 non ha ascritto
effetti per tale categoria di crediti per i quali la norma prevede la sussistenza degli
elementi certi e precisi, in quanto ha ritenuto che già secondo la legislazione
previgente la prescrizione costituisse un elemento certo e preciso ai fini della
deducibilità della perdita.

Indipendentemente dal periodo d’imposta in cui si prescrive il credito (ante o
post 2012), resta salvo il potere dell’Amministrazione di contestare che l’inattività
del creditore abbia corrisposto ad una effettiva volontà liberale.

Procedure concorsuali e accordi di ristrutturazione

La seconda parte del comma 5 dell’articolo 101 del TUIR stabilisce che “le
perdite su crediti sono deducibili (…) se il debitore è assoggettato a procedure
concorsuali o ha concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai
sensi dell'articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. Ai fini del
presente comma, il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale
dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento o del provvedimento che ordina
la liquidazione coatta amministrativa o del decreto di ammissione alla procedura di


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concordato preventivo o del decreto di omologazione dell'accordo di
ristrutturazione o del decreto che dispone la procedura di amministrazione
straordinaria delle grandi imprese in crisi”.

In particolare, le modifiche introdotte dal decreto legge n. 83 del 2012 hanno
ricompreso tra le ipotesi per le quali è possibile dedurre automaticamente la perdita
su crediti anche quella relativa agli accordi di ristrutturazione dei debiti omologati.

In definitiva, sulla base della vigente formulazione della norma è ammessa la
deducibilità della perdita su crediti in presenza di un accordo di ristrutturazione o
qualora il debitore sia assoggettato a determinate procedure concorsuali, quali:

-il fallimento (Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, Titolo II);

-la liquidazione coatta amministrativa (Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267,

Titolo V);

-il concordato preventivo (Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, Titolo III);

-l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (Decreto

legislativo 8 luglio 1999, n. 270).

In presenza di una di tali procedure, pertanto, opera un automatismo di
deducibilità che prescinde da ogni ulteriore verifica della definitività e degli
elementi certi e precisi richiesti in tutti gli altri casi.

Tale automatismo, come già chiarito nella Risoluzione n. 16/E del 23 gennaio
2009, si fonda sul presupposto che l’accertamento giudiziale o da parte di
un’autorità amministrativa dello stato d’insolvenza del debitore (o dello stato di crisi
nel caso del concordato preventivo) costituisce evidenza oggettiva della situazione
di illiquidità di quest’ultimo. In caso di procedure concorsuali, in altri termini, la
situazione di sofferenza della partita creditoria è ritenuta definitiva in quanto
ufficialmente conclamata ad opera di un soggetto terzo indipendente e non rimessa
alla mera valutazione del creditore.


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Inoltre, la disposizione dell’articolo 101, comma 5, del TUIR è applicabile
anche alle perdite su crediti verso debitori esteri. Pertanto, nel caso in cui il debitore
estero sia assoggettato a procedura concorsuale, al fine del riconoscimento della
deducibilità della perdita sarà necessario verificare che la procedura del Paese di
appartenenza sia assimilabile ad una delle procedure concorsuali elencate
nell’articolo 101, comma 5, del TUIR. A tale scopo si ritiene necessario dimostrare
che la procedura estera presenti le stesse caratteristiche sostanziali delle procedure
concorsuali nazionali tra le quali, prima fra tutte, l’esistenza dell’accertamento della
situazione di illiquidità da parte di un’autorità giurisdizionale o amministrativa.

Individuate le procedure concorsuali idonee ad integrare la condizione di
deducibilità delle perdite su crediti, è opportuno soffermarsi sul periodo d’imposta
nel quale tali perdite devono concorrere alla determinazione della base imponibile.

Come si evince dal tenore letterale della norma in esame, in caso di procedure
concorsuali il legislatore considera integrati i requisiti di deducibilità “dalla data”
della sentenza o del provvedimento di ammissione alla specifica procedura o del
decreto di omologa dell’accordo di ristrutturazione. Al riguardo, pertanto, si ritiene
che, una volta aperta la procedura, l’individuazione dell’anno in cui dedurre la
perdita su crediti deve avvenire secondo le ordinarie regole di competenza.

Deve ritenersi superata, sul punto, le precisazioni contenute nella circolare n.
8/E del 13 marzo 2009 (cfr. paragrafo 4.2) e nella circolare n. 42/E del 3 agosto
2010, nella quale, tra l’altro, era stato chiarito che gli elementi certi e precisi
dovevano considerarsi sussistenti a partire dalla data in cui il decreto di omologa
dell’accordo di ristrutturazione dei debiti fosse divenuto definitivo (in quanto non
più suscettibile d’impugnativa).

Con riferimento alla quantificazione della perdita deducibile, poiché la
disposizione contenuta nel comma 5 dell’articolo 101 del TUIR non dispone regole
particolari, si ritiene applicabile il principio generale di derivazione da bilancio.


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Perciò, in presenza di una delle procedure sopra descritte, sarà deducibile una
perdita su crediti di ammontare pari a quello imputato a conto economico
(evidentemente inferiore o al massimo uguale al valore del credito).

In altri termini, si ritiene che la perdita deducibile corrisponda a quella
stimata dal redattore di bilancio e, quindi, non investa necessariamente l’intero
importo del credito. Del resto, il riconoscimento di una perdita integrale del credito
sarebbe improprio nel contesto di quelle procedure, contemplate dalla norma, che
sono volte alla prosecuzione dell’attività imprenditoriale del soggetto in crisi (come
il concordato preventivo) o che addirittura sono poste in essere per motivi differenti
dall’insolvenza del debitore (come nel caso della liquidazione coatta amministrativa
disposta per irregolare funzionamento dell’impresa ex articolo 80 del TUB). In tali
contesti, infatti, può essere ragionevole ritenere di poter riscuotere il credito o
almeno parte di esso.

Tuttavia, è evidente che la valutazione dell’entità della perdita non può
consistere in un processo arbitrario del redattore di bilancio ma deve rispondere ad
un razionale e documentato processo di valutazione conforme ai criteri dettati dai
principi contabili adottati. A tal fine si ritiene che rappresentino documenti idonei a
dimostrare la congruità del valore stimato della perdita tutti i documenti di natura
contabile e finanziaria redatti o omologati da un organo della procedura, quali ad
esempio:

-
l’inventario redatto dal curatore ex articolo 87 del R. D. n. 267 del 1942;

-
il piano del concordato preventivo presentato ai creditori ex articolo 160 del

R. D. n. 267 del 1942;
-la situazione patrimoniale redatta dal commissario della liquidazione coatta
amministrativa ex articolo 205 del R. D. n. 267 del 1942;
-
la relazione del commissario giudiziale nell’amministrazione straordinaria
delle grandi imprese in crisi, articolo 28 D. Lgs. n. 270 del 1999;


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-le garanzie reali o personali ovvero assicurative.

Analogamente, in relazione a crediti vantati nei confronti di un debitore
estero, costituiscono validi elementi di supporto alla determinazione dell’entità della
perdita tutti i documenti prodotti da organi ufficialmente nominati all’interno della
procedura estera alla quale il debitore risulta assoggettato.

Coerentemente a quanto detto, infine, qualora in un esercizio successivo a
quello in cui è stata rilevata una perdita su crediti nei confronti di un debitore
assoggettato alle predette procedure intervengano nuovi elementi idonei a
dimostrare che la stessa è maggiore di quella inizialmente rilevata e dedotta, anche
l’ulteriore perdita, purché rilevata in bilancio e corredata da idonea documentazione,
assume rilievo fiscale. E’ il caso, ad esempio, di un credito vantato nei confronti di
un soggetto ammesso a concordato preventivo e per il quale viene successivamente
dichiarato il fallimento, oppure, in caso di fallimento, di una modifica del
programma di liquidazione per esigenze sopravvenute in corso di procedura,
prevista dal comma 5 dell’articolo 104-ter del R.D. n. 267 del 1942.

Deducibilità delle perdite su crediti rilevate a seguito della cancellazione dei
crediti dal bilancio operata in dipendenza di eventi estintivi

Il comma 5 dell’articolo 101 del TUIR prevede anche un’ulteriore ipotesi,
che la norma riferisce letteralmente ai soggetti IAS/IFRS, in presenza della quale
possono ritenersi sussistenti gli elementi certi e precisi necessari per la deducibilità
della perdita su crediti.

In linea generale, per i soggetti che redigono il bilancio in base ai principi
contabili internazionali, gli elementi certi e precisi sussistono non solo nei casi di
modesta entità del credito e di prescrizione del diritto alla riscossione, ma anche “in


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caso di cancellazione dei crediti dal bilancio operata in dipendenza di eventi
estintivi”.

Innanzitutto, si ritiene opportuno evidenziare come la modifica apportata al
comma 5 dell’articolo 101 del TUIR confermi l’inclusione di tale disposizione tra
quelle che limitano la deducibilità dei componenti negativi rilevati in bilancio, per le
quali, ai sensi dell’ art. 2, comma 2 del regolamento del 1° aprile 2009, n. 48, non
opera il principio di derivazione rafforzata. Ciò in quanto si è in presenza di un
fenomeno che non rientra nei concetti di qualificazione, classificazione ed
imputazione temporale di cui all’articolo 83 del TUIR.

In tal senso si era già espressa la circolare n. 7/E del 2011 in relazione alle
perdite su crediti emergenti a seguito di operazioni di cartolarizzazione dei crediti,
per i soggetti che hanno tenuto comportamenti coerenti con la clausola di
salvaguardia di cui all’articolo 1, comma 61, della legge n. 244 del 2007. In tale
sede è stato chiarito che la deduzione della perdita su crediti al momento della
derecognition è subordinata, nel medesimo momento, alla verifica della ricorrenza
dei requisiti di cui al comma 5 dell’articolo 101 del TUIR.

Ciò premesso, si ritiene che alla luce della nuova disposizione normativa
l’impresa IAS/IFRS adopter deve ritenere sussistenti i requisiti di certezza e
precisione necessari per la deducibilità fiscale della perdita in ciascuna delle ipotesi
in cui è possibile effettuare la derecognition di un credito.

Al riguardo, si accenna alle ipotesi in cui i principi contabili internazionali, ed
in particolare lo IAS 39 (paragrafi 17 e ss.) consentono la derecognition di
un’attività finanziaria (tra cui rientrano i crediti) iscritta in bilancio. In particolare,
un’attività finanziaria può essere cancellata se:

a) i diritti contrattuali sui flussi finanziari derivanti dalla stessa scadono;

b) l’impresa trasferisce i diritti contrattuali a ricevere i flussi finanziari

dell’attività finanziaria, realizzando il sostanziale trasferimento di tutti i rischi

e benefici della proprietà dell’attività finanziaria;


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c) l’impresa mantiene i diritti contrattuali a ricevere i flussi finanziari
dell’attività finanziaria, ma assume un’obbligazione contrattuale a pagare i
flussi finanziari a uno o più beneficiari, realizzando il sostanziale
trasferimento di tutti i rischi e benefici della proprietà dell’attività finanziaria.

In tale contesto appare opportuno chiarire che la previsione normativa qui in
esame non comporta alcun effetto sui soggetti che adottano in bilancio i principi
contabili domestici.

Infatti, la novella legislativa, espressamente destinata ai soggetti che redigono
il bilancio adottando i principi contabili internazionali IAS/IFRS, non consente di
dare automatica rilevanza fiscale alla cancellazione dal bilancio delle imprese ITA
gaap a seguito del verificarsi di eventi estintivi, anche di carattere “giuridico”.

In altri termini, per tali tipologie di imprese, la deducibilità delle perdite su
crediti al verificarsi di un evento estintivo, con coerente cancellazione del credito dal
bilancio, può attuarsi solo nelle ipotesi in cui si possano considerare soddisfatti i
requisiti di certezza e precisione di cui al comma 5 dell’articolo 101 del TUIR (cfr.
paragrafo 3).

Resta ferma, la possibilità per l’amministrazione finanziaria di sindacare la
perdita su crediti di cui si tratta, ancorché sussistano gli elementi certi e precisi di cui
all’articolo 101, comma 5, del TUIR, in relazione all’inerenza della stessa quale
costo sostenuto dall’imprenditore nel compimento dell’attività di gestione
dell’azienda. In particolare, in sede di attività di controllo, potrà essere dimostrata la
non economicità delle operazioni dell’imprenditore in base alla quale è scaturita la
rilevazione della perdita, qualora la vicenda dissimuli un atto di liberalità.

***


32


Le Direzioni regionali vigileranno affinché le istruzioni fornite e i principi
enunciati con la presente circolare vengano puntualmente osservati dalle Direzioni
provinciali e dagli Uffici dipendenti.

IL DIRETTORE DELL’AGENZIA


16/08/13

Commenti all'art. 2 ed 11 del DL 69 del 21/6/2013

Nel Decreto Legge n. 69 del 21/6/2013
vi sono molte note positive tra cui le misure al sostegno delle imprese e gli articoli di cui specifichiamo 
alcuni dettagli che sono i seguenti:
- Finanziamenti per l'acquisto dei macchinari impianti ed attrezzature da parte delle piccole e medie imprese
(art. 2);
- Proroga del credito d'imposta per la produzione, la distribuzione e l'esercizio cinematografico (art. 11);

Per i finanziamenti:
il riferimento sarà la Cassa Depositi e Prestiti spa per l'importo massimo di 2,5 miliardi di euro incrementabili fino al limite di 5 miliardi di euro.
Saranno concessi finanziamenti entro il 31/12/2016 dalla Banche aderenti alla Convenzione comma 7, a valere su un plafond di provvista
I finanziamenti hanno durata massima di 5 anni dalla data di stipula del contratto per un valore massimo di 2 milioni di euro per ogni impresa. Si precisa Al comma 6 del Decreto n. 69 che la concessione dei presenti finanziamenti può essere assistita dalla garanzia del fondo di garanzia per le piccole e medie imprese derivante dall'art. 2, comma 100, lett. a), della legge 26 dicembre 1996, n. 662 nella misura massima dell'80% dell'ammontare del finanziamento.
L'ABI e la Cassa Depositi e Prestiti spa stipulano, come scritto al comma 7, una o più convenzioni per la definizione e l'attuazione.
Ci saranno meccanismi premiali che favoriranno il più efficace utilizzo delle risorse; definizione dei contratti di finanziamento e di cessione del credito in garanzia per l'utilizzo da parte delle banche della provvista di scopo di cui al comma 2;attività informative , di monitoraggio e rendicontazione che svolgono le banche aderenti alla Convenzione e che dovranno assicurare piena trasparenza.
l'art. 11 recita così:
"(Proroga del credito d'imposta per la produzione, la distribuzione e
l'esercizio cinematografico)
1. Per il periodo d'imposta 2014 spettano i crediti d'imposta di
cui all'articolo 1, commi da 325 a 328 e da 330 a 337, della legge 24
dicembre 2007, n. 244 (1) e successive modificazioni, nel limite massimo
di spesa di 45 milioni di euro per l'anno 2014. Con provvedimento
dell'Agenzia delle entrate sono dettati termini e modalita' di
fruizione dei crediti di imposta nonche' ogni altra disposizione
finalizzata a garantire il rispetto del limite massimo di spesa di
cui al primo periodo."
(1) Legge 24 dicembre 2007, n. 244 Art. 1, commi da 325 a 343
325. (1) (2) (3)
Ai soggetti di cui all'articolo 73 del citato testo unico di cui al
decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre
1986, n.917, e ai titolari di reddito di impresa ai fini della
imposta sul reddito delle persone fisiche, non appartenenti al
settore
cinematografico ed audiovisivo, associati in partecipazione ai sensi
dell'articolo 2549 del codice civile, e' riconosciuto per gli anni
2008, 2009 e 2010 un credito d'imposta nella misura del 40 per cento,
fino all'importo massimo di euro 1.000.000 per ciascun periodo
d'imposta, dell'apporto in denaro effettuato per la produzione di
opere cinematografiche riconosciute di nazionalita' italiana ai sensi
dell'articolo 5 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 28. Il
beneficio si applica anche ai contratti di cui all'articolo 2554 del
codice civile.
326. (1) (3) Le imprese di produzione cinematografica destinatarie degli
apporti di cui al comma 325 hanno l'obbligo di utilizzare l'80 per
cento di dette risorse nel territorio nazionale, impiegando mano
d'opera e servizi italiani e privilegiando la formazione e
l'apprendistato in tutti i settori tecnici di produzione.
327. (1) (3) Ai fini delle imposte sui redditi e' riconosciuto un credito
d'imposta:
a) per le imprese di produzione cinematografica, in misura pari
al 15 per cento del costo complessivo di produzione di opere
cinematografiche, riconosciute di nazionalita' italiana ai sensi
dell'articolo 5 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 28, e,
comunque, fino all'ammontare massimo annuo di euro 3.500.000 per
ciascun periodo d'imposta, condizionato al sostenimento sul
territorio italiano di spese di produzione per un ammontare
complessivo non inferiore, per ciascuna produzione, all'80 per cento
del credito d'imposta stesso;
b) per le imprese di distribuzione cinematografica, pari:
1) al 15 per cento delle spese complessivamente sostenute per
la distribuzione nazionale di opere di nazionalita' italiana
riconosciute di interesse culturale ai sensi dell'articolo 7 del
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 28, con un limite massimo
annuo di euro 1.500.000 per ciascun periodo d'imposta;
2) al 10 per cento delle spese complessivamente sostenute per
la distribuzione nazionale di opere di nazionalita' italiana,
espressione di lingua originale italiana, con un limite massimo annuo
di euro 2.000.000 per ciascun periodo d'imposta;
3) al 20 per cento dell'apporto in denaro effettuato mediante i
contratti di cui agli articoli 2549 e 2554 del codice civile, per la
produzione di opere filmiche di nazionalita' italiana riconosciute di
interesse culturale ai sensi dell'articolo 7 del citato decreto
legislativo n. 28 del 2004, con un limite massimo annuo di euro
1.000.000 per ciascun periodo d'imposta;
c) per le imprese di esercizio cinematografico, pari:
1) al 30 per cento delle spese complessivamente sostenute per
l'introduzione e acquisizione di impianti e apparecchiature destinate
alla proiezione digitale, con un limite massimo annuo non eccedente,
per ciascuno schermo, euro 50.000;
2) al 20 per cento dell'apporto in denaro effettuato mediante i
contratti di cui agli articoli 2549 e 2554 del codice civile, per la
produzione di opere cinematografiche di nazionalita' italiana
riconosciute di interesse culturale ai sensi dell'articolo 7 del
decreto legislativo n. 28 del 2004, con un limite massimo annuo di
euro 1.000.000 per ciascun periodo d'imposta.
328. (1) (3) Con riferimento alla medesima opera filmica, i benefici di cui
al comma 327 non sono cumulabili a favore della stessa impresa ovvero
di imprese che facciano parte dello stesso gruppo societario nonche'
di soggetti legati tra loro da un rapporto di partecipazione ovvero
controllati anche indirettamente dallo stesso soggetto ai sensi
dell'articolo 2359 del codice civile.
329. I crediti d'imposta di cui ai commi 325 e 327 spettano per il
periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007 e
per i due periodi d'imposta successivi. (4)
330. (1) (3) Gli apporti di cui ai commi 325 e 327, lettere b), numero 3),
e c), numero 2), non possono, in ogni caso, superare complessivamente
il limite del 49 per cento del costo di produzione della copia
campione dell'opera filmica e la partecipazione complessiva agli
utili degli associati non puo' superare il 70 per cento degli utili
derivanti dall'opera filmica.
331. (1) (3) I crediti d'imposta di cui ai commi 325 e 327, lettere b),
numero 3), e c), numero 2), possono essere fruiti a partire dalla
data di rilascio del nulla osta di proiezione in pubblico del film di
cui alla legge 21 aprile 1962, n. 161, e previa attestazione
rilasciata dall'impresa di produzione cinematografica del rispetto
delle condizioni richieste ai sensi dei commi 326 e 330. I suddetti
crediti d'imposta non concorrono alla formazione del reddito ai fini
delle imposte sui redditi e del valore della produzione ai fini
dell'imposta regionale sulle attivita' produttive, non rilevano ai
fini del rapporto di cui agli articoli 96 e 109, comma 5, del citato
testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22
dicembre 1986, n. 917, e sono utilizzabili esclusivamente in
compensazione ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 9
luglio 1997, n. 241.
332. (1) (3) Gli apporti per la produzione e per la distribuzione di cui ai
commi 325 e 327 sono considerati come risorse reperite dal produttore
per completare il costo del film ai fini dell'assegnazione dei
contributi di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 22 gennaio
2004, n. 28, e successive modificazioni. In ogni caso, tali
contributi non possono essere erogati per una quota percentuale che,
cumulata con gli apporti di cui ai commi da 325 a 343, superi l'80
per cento del costo complessivo rispettivamente afferente alle spese
di produzione della copia campione e alle spese di distribuzione
nazionale del film.
333. (1) (3) Le disposizioni applicative dei commi da 325 a 332 sono
dettate con decreto del Ministro per i beni e le attivita' culturali,
entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.
Il predetto decreto e' adottato di concerto con il Ministro
dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro dello sviluppo
economico.
334. (1) (3) L'efficacia dei commi da 325 a 333 e' subordinata, ai sensi
dell'articolo 88, paragrafo 3, del Trattato istitutivo della
Comunita' europea, all'autorizzazione della Commissione europea. Il
Ministero per i beni e le attivita' culturali provvede a richiedere
l'autorizzazione alla Commissione europea. Le agevolazioni possono
essere fruite esclusivamente in relazione agli investimenti
realizzati e alle spese sostenute successivamente alla data della
decisione di autorizzazione della Commissione europea.
335. (1) (3) Alle imprese nazionali di produzione esecutiva e di
postproduzione e' riconosciuto un credito d'imposta, per il periodo
d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007 e per i
due esercizi successivi, in relazione a film, o alle parti di film,
girati sul territorio nazionale, utilizzando mano d'opera italiana,
su commissione di produzioni estere, in misura pari al 25 per cento
del costo di produzione della singola opera e comunque con un limite
massimo, per ciascuna opera filmica, di euro 5.000.000.
336. (1) (3) Le disposizioni applicative del comma 335 sono dettate con
decreto del Ministro per i beni e le attivita' culturali, entro tre
mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. Il
predetto decreto e' adottato di concerto con il Ministro
dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro dello sviluppo
economico.
337. (1) (3) Il credito d'imposta di cui al comma 335 non concorre alla
formazione del reddito ai fini delle imposte sui redditi e del valore
della produzione ai fini dell'imposta regionale sulle attivita'
produttive, non rileva ai fini del rapporto di cui agli articoli 96 e
109, comma 5, del citato testo unico di cui al decreto del Presidente
della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, ed e' utilizzabile
esclusivamente in compensazione ai sensi dell'articolo 17 del decreto
legislativo 9 luglio 1997, n. 241.
338. COMMA ABROGATO DALLA L. 12 NOVEMBRE 2011, N. 183.
339. COMMA ABROGATO DALLA L. 12 NOVEMBRE 2011, N. 183.
340. COMMA ABROGATO DALLA L. 12 NOVEMBRE 2011, N. 183.
341. COMMA ABROGATO DALLA L. 12 NOVEMBRE 2011, N. 183.
342. COMMA ABROGATO DALLA L. 12 NOVEMBRE 2011, N. 183.
343. COMMA ABROGATO DALLA L. 12 NOVEMBRE 2011, N. 183.
(1) Ai sensi dell'art. 2, comma 4, del DL 29/12/2010, n. 225, conv..,
con mod., dalla legge 26/2/2011, n. 10, a decorrere dal 1° gennaio 2011,
le disposizioni di cui al presente art. 1, commi da 325 a 328 e da 330 a 340
della L. 24/12/07, n. 244, e successive modificazioni, sono prorogate fino al
31 dicembre 2013.
(2) Cfr. DM del MAc Ministero Attività culturali del 21/01/2010 recante: "disposizioni
applicative dei crediti d'imposta concessi alle imprese non appartenenti al settore
cineaudiovisivo ed alle imprese di distribuzione ed esercizio cinematografico per
attività di produzione e distribuzione di opere cinematografiche."
(3) Ai sensi dell'art. 11, commi 1, del DL 21/6/2013, n. 69, per il periodo d'imposta
2014 spettano i crediti d'imposta di cui al presente art. 1, commi da 325 a 328 e da 330
a 337, della legge n. 244/2007, e successive modifiche nel limite massimo di spesa di 45
milioni di europeo l'anno 2014. Con provvedimento dell'Agenzia delle Entrate sono dettati
i termini di fruizione dei crediti d'imposta nonchè ogni altra disposizione finalizzata
a garantire il rispetto del limite massimo di spesa di cui al primo periodo.

12/08/13

CIRCOLARE N. 2/D F Roma, 23 maggio 2013

CIRCOLARE N. 2/DF
MINISTERO
DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE
DIPARTIMENTO DELLE FINANZE
DIREZIONE LEGISLAZIONE TRIBUTARIA E FEDERALISMO FISCALE
PROT. N. 10128
Roma, 23 maggio 2013

OGGETTO:
Imposta municipale propria (IMU) di cui all’art. 13 del D. L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. Modifiche recate dall’art. 10, comma 4, lett. b), del D. L. 8 aprile 2013, n. 35, in corso di conversione. Quesiti in materia di pagamento della prima rata dell’imposta relativa all’anno 2013.
Pervengono numerosi quesiti in ordine al pagamento della prima rata dell’imposta municipale propria (IMU), di cui all’art. 13 del D. L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
L’incertezza è determinata dalla circostanza che, in corso di conversione del D. L. 8 aprile 2013, n. 35, è stato presentato un emendamento all’art. 10, comma 4, lett. b), il quale prevede che la prima rata dell’IMU è versata sulla base delle aliquote e delle detrazioni dei dodici mesi dell’anno precedente.
Al riguardo, si deve premettere che l’art. 13, comma 13-bis, del D. L. n. 201 del 2011, come modificato dall’art. 10, comma 4, lett. b), del D. L. n. 35 del 2013, attualmente vigente, stabilisce che i contribuenti devono effettuare il versamento della prima rata dell’IMU entro il 17 giugno (poiché il 16 cade di domenica), tenendo conto delle deliberazioni di approvazione delle aliquote e della detrazione nonché dei regolamenti pubblicati nel sito www.finanze.it alla data del 16 maggio di ciascun anno di imposta (1).
1 A questo proposito si richiamano i chiarimenti già illustrati nella Circolare n. 1/DF del 29 aprile 2013.
2
Tuttavia, si deve sottolineare che l’art. 13, comma 13-bis, appena citato, è oggetto di un importante intervento normativo contenuto nel testo dell’art. 10, comma 4, lett. b), dell’A.C. 676, approvato il 15 maggio 2013 e trasmesso al Senato per il relativo esame (A.S. n. 662), concernente la conversione del D. L. n. 35 del 2013. Il testo riformulato della disposizione in commento prevede che “il versamento della prima rata di cui al comma 3 dell'articolo 9 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, è eseguito sulla base dell’aliquota e delle detrazioni dei dodici mesi dell’anno precedente.”
Vale la pena di ricordare che l’art. 9, comma 3, del D. Lgs. n. 23 del 2011 stabilisce che “i soggetti passivi effettuano il versamento dell'imposta dovuta al comune per l'anno in corso in due rate di pari importo, scadenti la prima il 16 giugno e la seconda il 16 dicembre. Resta in ogni caso nella facoltà del contribuente provvedere al versamento dell’imposta complessivamente dovuta in unica soluzione annuale, da corrispondere entro il 16 giugno”.
Si deve, inoltre, aggiungere che l’art. 1 del D. L. 21 maggio 2013, n. 54 stabilisce, nelle more di una complessiva riforma della disciplina dell’imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare, la sospensione del pagamento della prima rata dell’IMU dovuta per:
? l’abitazione principale e relative pertinenze. Sono escluse dalla sospensione le abitazioni di tipo signorile, classificate nella categoria catastale A/1, le ville, classificate nella categoria catastale A/8, i castelli o i palazzi di pregio storico o artistico, classificati nella categoria catastale A/9;
? le unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa adibite ad abitazione principale e relative pertinenze dei soci assegnatari, nonché per gli alloggi regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi per le case popolari (IACP) o dagli enti di edilizia residenziale pubblica, comunque denominati, aventi le stesse finalità degli IACP, istituiti in attuazione dell’art. 93 del D. P. R. 24 luglio 1977, n.
616;
? i terreni agricoli e i fabbricati rurali di cui all’art. 13, commi 4, 5 e 8, del D. L. n. 201 del 2011.
L’art. 2 del D. L. n. 54 del 2013 precisa che la riforma di cui all’art. 1 dovrà essere attuata nel rispetto degli obiettivi programmatici primari indicati nel Documento di economia e finanza 2013, come risultante dalle relative risoluzioni parlamentari e, in ogni caso, in coerenza con gli impegni assunti dall’Italia in ambito europeo. In caso di mancata adozione della riforma entro la data del 31 agosto 2013, continua ad applicarsi la disciplina vigente e il termine di versamento della prima rata dell’IMU degli immobili di cui al medesimo art. 1 è fissato al 16 settembre 2013.
3
Alla luce della ricostruzione appena effettuata si passano ad analizzare i vari quesiti pervenuti.
1. VERSAMENTO DELLA PRIMA RATA SULLA BASE DELLE ALIQUOTE E DELLA DETRAZIONE DEL 2012, PRIMA DELLA CONVERSIONE IN LEGGE DEL D. L. N. 35 DEL 2013.
E’ stato chiesto se, per evitare disagi organizzativi, legati ai tempi di conversione del D. L. n. 35 del 2013, sia possibile dare attuazione anticipata all’emendamento in questione.
A questo proposito, si deve considerare la circostanza che la conversione del D. L. n. 35 del 2013 deve avvenire entro il 7 giugno 2013 e cioè a ridosso della scadenza del pagamento della prima rata dell’IMU, determinando evidenti difficoltà dal punto di vista organizzativo, soprattutto per i Centri di assistenza fiscale (CAF) che gestiscono un numero elevatissimo di versamenti IMU.
Alla luce di quanto, innanzi, evidenziato, ferma restando, in ogni caso, la potestà di accertamento del tributo da parte dei comuni, si ritiene che nell’ipotesi in cui i contribuenti effettuino il versamento della prima rata dell’IMU tenendo conto delle disposizioni contenute nell’emendamento in questione, ancor prima della conversione in legge del D. L. n. 35 del 2013, possa trovare applicazione la disposizione di cui all’art. 10, comma 3, della legge 27 luglio 2000, n. 212, in base alla quale “le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria”.
Ovviamente, i contribuenti possono, prima della citata conversione, procedere, comunque, al pagamento della prossima rata di giugno sulla base delle deliberazioni di approvazione delle aliquote e della detrazione nonché dei regolamenti pubblicati nel sito www.finanze.it alla data del 16 maggio 2013, come attualmente disposto dalla lett. b), comma 4, dell’art. 10 del D. L. n. 35 del 2013.
Tali premesse di carattere generale conducono alle seguenti precisazioni.
1.1. MUTAMENTO DEI REQUISITI SOGGETTIVI E OGGETTIVI DELL’IMU
Come già precisato, l’emendamento prevede che il pagamento della prima rata dell’IMU avvenga sulla base delle aliquote e delle detrazioni dei dodici mesi dell’anno precedente.
Si deve evidenziare che l’emendamento in questione ha come finalità quella di semplificare al contribuente la determinazione dell’imposta, poiché alla scadenza prevista per il versamento della prima rata potrebbero non essere ancora note le aliquote e le detrazioni deliberate dal comune per l’anno in corso. Pertanto, con la proposta emendativa il contribuente non è costretto a consultare il sito istituzionale del Ministero dell’Economia e delle Finanze due volte nell’arco delle stesso anno, come attualmente previsto dall’art. 10, comma 4, lett. b), del D. L. n. 35 del 2013.
4
L’applicazione concreta della disposizione in esame comporta, in via generale, che, ai fini della prima rata dell’IMU, la locuzione “anno precedente” vale esclusivamente per le aliquote e per le detrazioni applicabili ma non anche per gli altri elementi relativi al tributo, quali, ad esempio, il presupposto impositivo e la base imponibile, per i quali si deve tenere conto della disciplina vigente nell’anno di riferimento.
Pertanto, alla luce di tali considerazioni, la prima rata dell’IMU potrebbe non coincidere esattamente con la metà dell’imposta dovuta per l’anno precedente, poiché non sempre è riscontrabile un’identità di situazioni rispetto all’anno antecedente.
A tale riguardo, si può, ad esempio, prospettare il caso in cui, nel 2013, l’immobile viene destinato ad abitazione principale diversamente dall’anno precedente. In tale evenienza, il versamento della prima rata dell’IMU è sospeso. Viceversa, nel caso in cui l’immobile, nel 2013, non è più adibito ad abitazione principale, lo stesso sarà soggetto ad imposizione e, conseguentemente, la prima rata dell’IMU dovrà essere calcolata applicando l’aliquota prevista per tale fattispecie per l’anno 2012.
Analogamente, nel caso in cui il contribuente possiede un’area fabbricabile che, nel 2013, diventa terreno agricolo, il versamento della prima rata dell’IMU è sospeso. Viceversa, nel caso in cui il terreno agricolo, nel 2013, diventa area edificabile, lo stesso sarà soggetto ad imposizione e, conseguentemente, la prima rata dell’IMU dovrà essere calcolata applicando l’aliquota prevista per tale fattispecie per l’anno 2012.
Ulteriori ipotesi possono verificarsi quando il contribuente abbia acquistato l’immobile nel corso dell’anno precedente, per cui il possesso non si è protratto per dodici mesi. Si supponga, ad esempio, che:
? il contribuente abbia acquistato un immobile, non destinato ad abitazione principale, il 1° ottobre 2012. In tal caso, il soggetto passivo, entro il 17 giugno 2013, dovrà calcolare l’IMU dovuta per l’anno 2013 sulla base dell’aliquota dei dodici mesi dell’anno precedente, indipendentemente cioè dalla circostanza che nell’anno 2012 abbia avuto il possesso dell’immobile per soli tre mesi;
? il contribuente, al momento del pagamento della prima rata non ha avuto il possesso dell’immobile per sei mensilità, avendolo venduto il 28 marzo 2013, possedendolo, dunque, nell’anno 2013 per soli tre mesi. Questa circostanza è determinante per affermare che sarebbe in aperto contrasto con le norme che disciplinano il presupposto impositivo del tributo imporre al soggetto passivo IMU di calcolare l’imposta sulla base dell’aliquota dei dodici mesi dell’anno precedente. Se così fosse, infatti, si addosserebbe a quest’ultimo l’onere di anticipare una somma superiore a quella
5
realmente dovuta per l’anno in corso - in violazione del disposto dell'art. 9, comma 2, del D. Lgs. n. 23 del 2011, il quale stabilisce che l’imposta è dovuta per anni solari, proporzionalmente alla quota e ai mesi dell’anno nei quali si è protratto il possesso - costringendolo, poi, a presentare istanza di rimborso per l’ammontare del tributo versato in eccedenza.
Alla luce di queste precisazioni si può, quindi, concludere che in tal caso l’interessato, entro il 17 giugno 2013, dovrà versare l’IMU dovuta per l’anno 2013, commisurandola ai tre dodicesimi dell’importo calcolato sulla base dell’aliquota dei dodici mesi dell’anno precedente.
1.2. IMMOBILI CLASSIFICATI NEL GRUPPO CATASTALE D.
L’art. 13, comma 4, lett. d), del D. L. n. 201 del 2011, prevede che, a decorrere dal 1° gennaio 2013, il moltiplicatore applicabile per determinare la base imponibile dei fabbricati classificati nel gruppo catastale D, esclusi quelli della categoria catastale D/5, è elevato a 65.
A decorrere dalla stessa data, l’art. 1, comma 380, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità per l’anno 2013) ha introdotto significative novità alla disciplina degli immobili classificati nel gruppo catastale D2, poiché:
• la lett. f) ha riservato allo Stato il gettito dell’IMU, derivante dagli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D, calcolato ad aliquota standard dello 0,76 per cento, prevista dal comma 6, primo periodo, dell’art. 13 del D. L. n. 201 del 2011;
• la lett. g) ha stabilito che i comuni possono aumentare sino a 0,3 punti percentuali l’aliquota standard dello 0,76 per cento, prevista dal comma 6, primo periodo, dell’art. 13 del D. L. n. 201 del 2011, per gli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D.
Pertanto, essendo mutata, in via generale, la disciplina sostanziale della fattispecie in questione, si ritiene che il calcolo per il versamento della prima rata deve essere effettuato tenendo conto, innanzitutto, del moltiplicatore elevato a 65 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale D, ad eccezione di quelli classificati nella categoria catastale D/5.
Si deve, inoltre, precisare che, in coerenza con le citate esigenze di semplificazione, e, in considerazione della formulazione dell’emendamento in via di approvazione, i contribuenti applicano in ogni caso l’aliquota vigente nei dodici mesi dell’anno precedente per la fattispecie in questione, anche nel caso in cui detta aliquota risulti inferiore a quella standard stabilita dal citato art. 1, comma 380, lett. f), della legge n. 228 del 2012.
2 Si veda la risoluzione n. 5/DF del 28 marzo 2013.
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Ovviamente, in sede di versamento della seconda rata dell’IMU, i contribuenti dovranno applicare l’aliquota dello 0,76% o quella eventualmente elevata dai comuni per l’anno 2013, in virtù della lett. g) del citato comma 380.
Si fa, altresì, presente che, con risoluzione n. 33/E del 21 maggio 2013, l’Agenzia delle Entrate ha istituito i nuovi codici tributo per il versamento dell’IMU relativa a tale tipologia di fabbricati.
2. IMMOBILI ASSIMILATI ALLE ABITAZIONI PRINCIPALI
E’ stato chiesto, inoltre, di chiarire se il provvedimento recante la sospensione del pagamento della prima rata dell’IMU sull’abitazione principale e relative pertinenze riguardi anche i casi in cui i comuni abbiano “assimilato all’abitazione principale i fabbricati degli anziani ricoverati nelle case di riposo e dei residenti all’estero”.
Al riguardo, si fa presente che l’art. 13, comma 10, del D. L. n. 201 del 2011, attribuisce ai comuni la facoltà di considerare, con regolamento, “direttamente adibita ad abitazione principale l’unità immobiliare posseduta a titolo di proprietà o di usufrutto da anziani o disabili che acquisiscono la residenza in istituti di ricovero o sanitari a seguito di ricovero permanente, a condizione che la stessa non risulti locata, nonché l’unità immobiliare posseduta dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia, a condizione che non risulti locata”.
Pertanto, considerata la finalità del legislatore di assicurare, comunque, un regime di favore per l’abitazione principale e relative pertinenze, si deve concludere che, sia nel caso in cui detta assimilazione venga disposta per l’anno 2013, sia in quello in cui la stessa è stata effettuata nel 2012 e non è stata modificata nel 2013, l’assimilazione in questione determina l’applicazione delle agevolazioni previste per l’abitazione principale e relative pertinenze, compresa, quindi, la sospensione del pagamento della prima rata dell’IMU.
3. IMMOBILE ASSEGNATO ALL’EX CONIUGE
E’ stato chiesto se ricadono nella sospensione della prima rata dell’IMU due unità immobiliari destinate ad abitazione principale, la prima dall’ex coniuge assegnatario e la seconda dall’altro coniuge non assegnatario.
Si ricorda, a questo proposito, che il comma 12-quinquies dell’art. 4 del D. L. 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, stabilisce che, ai soli fini dell’applicazione dell’IMU, “l’assegnazione della casa coniugale al coniuge, disposta a
7
seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, si intende in ogni caso effettuata a titolo di diritto di abitazione”
3.
Tale assetto normativo comporta che le agevolazioni inerenti l’abitazione principale e relative pertinenze sono riconosciute al coniuge assegnatario della ex casa coniugale, in quanto titolare del diritto di abitazione di cui all’art. 4, comma 12-quinquies del D. L. n 16 del 2012, per il quale, quindi, è sospeso il versamento della prima rata dell’IMU.
Ovviamente, la sospensione opera anche a favore del coniuge non assegnatario relativamente all’immobile dallo stesso adibito ad abitazione principale.
Il Direttore Generale delle Finanze
Fabrizia Lapecorella
3 Si vedano la Circolare n. 3/DF del 18 maggio 2012 (paragrafo 6.1, pag. 16 e segg.) e la Risoluzione n. 5/DF del 28 marzo 2013, paragrafo 3.
-----------
NOTA (1) SI RICHIAMA LA CIRC. N. 1 DF DEL 29/4/2013

Sent. n. 4927 del 27 febbraio 2013 LA SOPRAVVALUTAZIONE DELLE ROYALTIES COSTITUISCE ELUSIONE

Sent. n. 4927 del 27 febbraio 2013
(emessa il 10 gennaio 2013) della Corte Cass., Sez. Trib. - Pres. Merone, Rel. Sambito

LA SOPRAVVALUTAZIONE DELLE ROYALTIES COSTITUISCE ELUSIONE

ABUSO DI DIRITTO - TRANSFER PRICE - SOCIETÀ COLLEGATE - ELUSIONE - CASO DI SPECIE - CORRESPONSIONE DI ROYALTIES ECCESSIVE

La problematica del cd. transfer price o transfer prìcing (la prima espressione pone l’accento sul profilo statico del fenomeno, la seconda su quello dinamico), deve essere affrontata in base alla corretta applicazione della normativa in materia di prezzi di trasferimento tra parti fra loro correlate. Tale normativa consente all’amministrazione finanziaria un controllo dei corrispettivi applicati alle operazioni commerciali e/o finanziarie intercorse tra società collegate e/o controllate residenti in nazioni diverse, al fine di evitare che vi siano aggiustamenti “artificiali” di tali prezzi, determinati dallo scopo di ottimizzare il carico fiscale di gruppo, ad esempio canalizzando il reddito verso le società dislocate in aree o giurisdizioni caratterizzate da una fiscalità più mite. In tale prospettiva assume un ruolo centrale l’art. 110, co. 7 del d.P.R. n. 917/86 (art.76, co. 5 del testo previgente) , a norma del quale i componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato che, direttamente o indirettamente controllano l’impresa o ne sono controllate, o che sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa nazionale, sono valutati in base al “valore normale” dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni ricevuti, determinato ai sensi dell’art. 9 del d.P.R. n. 917/86. La disposizione costituisce una deroga al principio per cui, nel sistema di imposizione sul reddito, questo viene determinato sulla base dei corrispettivi pattuiti dalle parti della singola transazione commerciale (art. 109 d.P.R. 917/86). Nelle ipotesi in cui tali corrispettivi risultano scarsamente attendibili e possono essere manipolati in danno del Fisco italiano, i corrispettivi medesimi sono sostituiti, per volontà di legge, dal “valore normale” dei beni o dei servizi oggetto dello scambio, senza che sia necessario che si siano verificate condotte “simulatorie” danti luogo a fenomeni di tipo “evasivo”, avendo la norma la finalità ulteriore di evitare che, mediante fenomeni non simulatori come l’alterazione di prezzo di trasferimento, l’Erario italiano abbia a subire comunque un concreto pregiudizio. Le norme sul transfer pricing- non combattono cioè l’occultamento del corrispettivo, ma le manovre che incidono sul corrispettivo palese, consentendo il trasferimento surrettizio di utili da uno Stato all’altro, sì da influire in concreto sul regime dell’imposizione fiscale. Si tratta dunque di una clausola antielusiva, in linea con i principi comunitari in tema di abuso del diritto. La norma in esame, va letta, poi, in combinato disposto con l’art. 9 del modello di convenzione fiscale OCSE del 1995 - 1996, secondo il quale “quando le condizioni convenute o imposte tra le due imprese, nelle loro relazioni commerciali o finanziarie, sono diverse da quelle che sarebbero state convenute tra imprese indipendenti, gli utili che in mancanza di tali condizioni sarebbero stati realizzati da una delle due imprese, ma che a causa di dette condizioni non lo sono stati, possono essere inclusi negli utili di questa impresa e tassati di conseguenza”. Viene perciò respinto il ricorso avverso la sentenza di merito che aveva definito come elusiva la corresponsione di royalties al 30% alla casa madre americana (che nel Delware era soggetta all’imposta sul reddito del 8,7%, mentre la società figlia era soggetta in Italia all’imposta del 36%), ed aveva perciò ritenuto legittimo l’accertamento in cui era stato riconosciuta una royalty solo del 7%.

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