09/01/16

RAVVEDIMENTO PEROSO 2015

Ravvedimento operoso 2015

Ravvedimento operoso 2015. La Legge di Stabilità 2015 effettua una riforma del ravvedimento operoso i contribuenti potranno sanare i mancati versamenti fiscali, senza limiti di tempo, con sanzioni sempre ridotte.
Ravvedimento operoso 2015
La Legge di Stabilità 2015 effettua una riforma del ravvedimento operoso.
Gli articoli 44 e seguenti modificano l’articolo 13 del D.lgs n. 472/97, ed a partire dal 2015, data di entrata in vigore delle norme contenute nella Legge di Stabilità, i contribuenti potranno sanare i mancati versamenti fiscali, senza limiti di tempo, con sanzioni sempre ridotte.
Il nuovo ambito di applicazioni
Fino a tutto il 2014
Il contribuente può ricorrere al ravvedimento operoso soltanto nel caso in cui, ai sensi del comma 1 dell’articolo 13 del D.Lgs n. 472/97, “la violazione non sia già stata contestata e comunque non siano iniziati accessi, verifiche, ispezioni, o altre attività amministrative di accertamento” da parte del Fisco.
Il ravvedimento è possibile:
-        entro 14 giorni dopo la scadenza mancata: sanzione  allo 0,2% per ogni giorno di ritardo,
-        entro 30 giorni:                                                sanzione al 3%
-        entro un anno:                                                 sanzione al 3,75%

Dal 2015
Con le modifiche della Legge di Stabilità le cause ostative all’utilizzo del ravvedimento operoso vengono limitate al solo caso in cui al contribuente venga notificato un atto di liquidazione o un avviso di accertamento.
In pratica, questo significa che un contribuente che ha ricevuto un Pvc a seguito di un’attività di ispezione e verifica da parte del Fisco potrà ancora usufruire del ravvedimento operoso per sanare la propria posizione.
Termini più lunghi
La Legge di Stabilità modifica i termini per usufruire del ravvedimento operoso, con una nuova riduzione delle sanzioni rispetto a quelle già in vigore.
In particolare, termini e sanzioni vengono così rimodulate:
Entro:
14 giorni               dal termine per il versamento:                        sanzione dello 0,20% giornaliero;
30 giorni               dal termine per il versamento:                        sanzione ridotta del 3%;
90 giorni               dal termine per il versamento:                        sanzione ridotta del 3,3%;
1 anno                  dal termine per il versamento:         sanzione del 3,75%;
2 anni                   dal termine per il versamento:         sanzione del 4,2%;
Oltre
 2 anni                  dal termine per il versamento:         sanzione del 5%;
Naturalmente, oltre al versamento dell’imposta e della sanzione, in misura ridotta, il contribuente dovrà versare anche gli interessi di mora, calcolati al tasso legale annuo a partire dal giorno in cui il versamento avrebbe dovuto essere effettuato e sino al giorno di effettivo versamento.

In pratica, con le nuove regole il Fisco concede la possibilità di ravvedersi anche senza limiti di tempo, con sanzioni sempre ridotte, al massimo il 5%.
La sanzione piena, del 30% resta applicabile esclusivamente nel caso in cui il Fisco intervenga attraverso la comunicazione di un accertamento.

Quindi dal 2015 al ravvedimento del 2014 - entro 14 giorni dopo la scadenza mancata: sanzione  allo 0,2% per ogni giorno di ritardo), breve - entro 30 giorni:  sanzione al 3% - entro un anno: sanzione al 3,75%,
si aggiungono tre opzioni:
-        entro 90 giorni:                                                               sanzioni al 3,3% (1/9 del minimo, pari al 30%),
-        entro 2 anni  (o 2a dichiarazione successiva):              sanzioni al 4,2%,
-        oltre 2anni (oltre la 2a dichiarazione successiva):       sanzioni al 5%.

In pratica, viene concessa una sorta di ravvedimento senza limiti e la sanzione piena (il 30%) scatta solo nel momento in cui interviene il Fisco con una notifica in seguito a un accertamento fiscale.

Le nuove cause di preclusione – La riforma del ravvedimento operoso porta verso una maggiore applicabilità per i contribuenti: fino al 2014 il contribuente poteva ricorrere al ravvedimento operoso soltanto nel caso in cui, ai sensi del comma 1 dell’articolo 13 del D.Lgs n. 472/97, “la violazione non sia già stata contestata e comunque non siano iniziati accessi, verifiche, ispezioni, o altre attività amministrative di accertamento” da parte del Fisco.  A partire dal 2015, con le modifiche apportate della Legge di Stabilità, le cause ostative all’utilizzo del ravvedimento operoso vengono limitate al solo caso in cui al contribuente venga notificato un avviso di liquidazione o un avviso di accertamento. In pratica, questo significa che un contribuente che ha ricevuto un Pvc a seguito di un’attività di ispezione e verifica da parte del Fisco potrà ancora usufruire del ravvedimento operoso per sanare la propria posizione.
Abrogazione della possibilità di adesione al Pvc –
La ratio del nuovo ravvedimento operoso, che ne consente l’utilizzo anche in caso di notifica di un Pvc,  ha portato il legislatore all’abrogazione dell’istituto dell’acquiescenza integrale ai Pvc, gli inviti al contraddittorio e a tutti gli atti definibili emessi dall’Agenzia delle Entrate (non preceduti da Pvc o invito). La Legge di Stabilità ha previsto comunque un periodo transitorio in cui, per esigenze di coordinamento, queste disposizioni resteranno in vigore. I commi 15 e 16 dell’articolo 44 della Legge di Stabilità 2015 prevedono, infatti, che le disposizioni abrogate continueranno ad applicarsi con riferimento agli inviti al contraddittorio notificati, ai Pvc consegnati entro il 31 dicembre 2015. Questo significa che per tutto il 2015 il contribuente al quale verrà consegnato un Pvc si troverà di fronte alla scelta se accettare integralmente le contestazioni (l’attuale adesione al Pvc, con sanzioni ridotte ad 1/6), oppure regolarizzare le violazioni ricorrendo al ravvedimento operoso.
Le nuove sanzioni del ravvedimento operoso –
Il comma 14 dell’articolo 44 della Legge di Stabilità 2015 va a modificare l’articolo 13 del D.Lgs n. 472/97 andando ad ampliare le possibilità di ravvedimento operoso offerte al contribuente.

A partire dal 2015, le nuove sanzioni ridotte per il ravvedimento operoso possono essere così sintetizzate, come riportato nella seguente tabella.
TERMINE DI EFFETTUAZIONE DEL RAVVEDIMENTORIDUZIONE SANZIONISANZIONE APPLICATA
Entro 14 giorni dal termine previsto per il versamento 0,20% giornaliero
Entro 30 giorni dal termine previsto per il versamento1/10 del 30%3,00%
Entro 90 giorni dal termine previsto per il versamento, o dal termine di presentazione della dichiarazione periodica1/9 del 30%3,30%
Entro 1 anno dal termine previsto per il versamento / entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno d`imposta in cui la violazione è stata commessa1/8 del 30%3,75%
Entro 2 anni dal termine previsto per il versamento / entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno d’imposta successivo a quello nel quale la violazione è stata commessa1/7 del 30%4,20%
Oltre 2 anni dal termine previsto per il versamento / oltre il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno d`imposta successivo a quello nel quale la violazione è stata commessa1/6 del 30%5,00%
Naturalmente, oltre al versamento dell’imposta e della sanzione, in misura ridotta, il contribuente dovrà versare anche gli interessi di mora, calcolati al tasso legale annuo a partire dal giorno in cui il versamento avrebbe dovuto essere effettuato e sino al giorno di effettivo versamento.
In pratica, con le nuove regole il Fisco concede la possibilità di ravvedersi anche senza limiti di tempo, con sanzioni sempre ridotte, al massimo il 5%.
La sanzione piena, del 30% resta applicabile esclusivamente nel caso in cui il Fisco intervenga attraverso la comunicazione di un accertamento.

RISTRUTTURAZIONI PROROGATE AL 2016 legge n. 208 del 28 dicembre 2015

da agenzia delle entrate:
con la legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 28 dicembre 2015) sono state prorogate fino al 31 dicembre 2016 sia la detrazione fiscale del 65% per gli interventi di efficientamento energetico e di adeguamento antisismico degli edifici, sia la detrazione del 50% per le ristrutturazioni edilizie. E’ prorogato fino al 31 dicembre 2016 anche il Bonus Mobili, cioè la detrazione del 50% su una spesa massima di 10mila euro per l'acquisto di mobili.
Le informazioni contenute in questa sezione sono in corso di aggiornamento.
L'agevolazione consiste in una detrazione dall'Irpef o dall'Ires ed è concessa quando si eseguono interventi che aumentano il livello di efficienza energetica degli edifici esistenti.
In particolare, la detrazione, che è pari al 65% per le spese sostenute dal 6 giugno 2013 al 31 dicembre 2015, è riconosciuta se le spese sono state sostenute per:
la riduzione del fabbisogno energetico per il riscaldamento
il miglioramento termico dell'edificio (coibentazioni - pavimenti - finestre, comprensive di infissi)
l'installazione di pannelli solari
la sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale.
Va segnalato che:
dall'1 gennaio 2016 il beneficio sarà del 36%, cioè quello ordinariamente previsto per i lavori di ristrutturazione edilizia
la detrazione deve essere ripartita in dieci rate annuali di pari importo
le spese sostenute prima del 6 giugno 2013 fruivano della detrazione del 55%
è aumentata dal 4 all'8% della percentuale della ritenuta d'acconto sui bonifici che banche e Poste hanno l'obbligo di operare all'impresa che effettua i lavori.
Attenzione: non è più previsto l'obbligo di effettuare la comunicazione all'Agenzia delle Entrate quando i lavori proseguono per più anni (Dlgs n. 175/2014 - semplificazioni fiscali)
Quali spese
La detrazione spetta per le spese sostenute, e rimaste a carico del contribuente (per es. non incentivati dal Comune) per:
interventi di riqualificazione energetica di edifici esistenti, che ottengono un valore limite di fabbisogno di energia primaria annuo per la climatizzazione invernale inferiore di almeno il 20% rispetto ai valori riportati in un’apposita tabella (i parametri cui far riferimento sono quelli definiti con decreto del ministro dello Sviluppo economico dell’11 marzo 2008, così come modificato dal decreto 26 gennaio 2010). Il valore massimo della detrazione è pari a 100.000 euro
interventi su edifici esistenti, parti di edifici esistenti o unità immobiliari, riguardanti strutture opache verticali, strutture opache orizzontali (coperture e pavimenti), finestre comprensive di infissi, fino a un valore massimo della detrazione di 60.000 euro. La condizione per fruire dell’agevolazione è che siano rispettati i requisiti di trasmittanza termica U, espressa in W/m2K, in un’apposita tabella (i valori di trasmittanza, validi dal 2008, sono stati definiti con il decreto del ministro dello Sviluppo economico dell’11 marzo 2008, così come modificato dal decreto 26 gennaio 2010). In questo gruppo rientra anche la sostituzione dei portoni d’ingresso, a condizione che si tratti di serramenti che delimitano l’involucro riscaldato dell’edificio verso l’esterno o verso locali non riscaldati e risultino rispettati gli indici di trasmittanza termica richiesti per la sostituzione delle finestre
l’installazione di pannelli solari per la produzione di acqua calda per usi domestici o industriali e per la copertura del fabbisogno di acqua calda in piscine, strutture sportive, case di ricovero e cura, istituti scolastici e università. Il valore massimo della detrazione è di 60.000 euro
interventi di sostituzione di impianti di climatizzazione invernale con impianti dotati di caldaie a condensazione e contestuale messa a punto del sistema di distribuzione. La detrazione spetta fino a un valore massimo di 30.000 euro
sostituzione di impianti di climatizzazione invernale con pompe di calore ad alta efficienza e con impianti geotermici a bassa entalpia, con un limite massimo della detrazione pari a 30.000 euro
interventi di sostituzione di scaldacqua tradizionali con scaldacqua a pompa di calore dedicati alla produzione di acqua calda sanitaria, con un limite massimo della detrazione pari a 30.000 euro.
Attenzione: la detrazione del 65% si applica anche alle spese documentate e rimaste a carico del contribuente: a) per interventi relativi a parti comuni degli edifici condominiali o che interessino tutte le unità immobiliari di cui si compone il singolo condominio, sostenute dal 6 giugno 2013 al 31 dicembre 2015; b) per l’acquisto e la posa in opera delle schermature solari di cui all’allegato M al Dlgs 311/2006, sostenute dall’1 gennaio al 31 dicembre 2015, fino a un valore massimo della detrazione di 60.000 euro; c) per l’acquisto e la posa in opera di impianti di climatizzazione invernale dotati di generatori di calore alimentati da biomasse combustibili, sostenute dal 1° gennaio 2015 al 31 dicembre 2015, fino a un valore massimo della detrazione di 30.000 euro.

PER L'IVA
Chi sostiene spese per i lavori di ristrutturazione edilizia può fruire della detrazione d’imposta Irpef pari al 36%. Per le spese sostenute dal 26 giugno 2012 al 31 dicembre 2015, la detrazione Irpef sale al 50%.

Una detrazione del 50% spetta anche sulle ulteriori spese sostenute, dal 6 giugno 2013 al 31 dicembre 2015, per l'acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici di classe non inferiore alla A+, nonché A per i forni, per le apparecchiature per le quali sia prevista l'etichetta energetica, finalizzati all'arredo dell'immobile oggetto di ristrutturazione.

La detrazione è, invece, pari al 65% delle spese effettuate, dal 4 agosto 2013 al 31 dicembre 2015, per interventi di adozione di misure antisismiche su costruzioni adibite ad abitazione principale o ad attività produttive che si trovano in zone sismiche ad alta pericolosità.

Per le prestazioni di servizi relative agli interventi di recupero edilizio, di manutenzione ordinaria e straordinaria, realizzati sugli immobili a prevalente destinazione abitativa privata, si applica l’aliquota Iva agevolata del 10%.

Notifica impugnazioni - Decorrenza del termine breve - Suprema Corte di Cassazione Civile, Sezione III

Nell’ipotesi di cancellazione dall’Albo professionale, ancorché disposta a domanda dell’interessato, si determina la decadenza dall’ufficio di avvocato e la cessazione dello stesso ius postulando.

LEGGI LA SENTENZA
Suprema Corte di Cassazione Civile, Sezione III
Sentenza n. 8411 del 10 aprile 2014
Presidente Chiarini – Relatore Sestini
Svolgimento del processo
I.R. resisteva alla domanda, proposta da B.E. dinanzi al Tribunale di Teramo, di condanna al rilascio di una casa colonica (che l’attrice assumeva occupata sine titulo dalla cessazione del rapporto di lavoro dello I. ) e al risarcimento dei danni e chiedeva, in via riconvenzionale, l’accertamento dell’esistenza di un contratto agrario di natura associativa o di affitto, comprendente l’uso della casa colonica, simulato da un contratto di lavoro subordinato, e perciò eccepiva l’incompetenza della sezione ordinaria a favore della sezione specializzata agraria; chiedeva altresì la condanna dell’attrice al pagamento del valore degli utili spettanti e non percetti e delle indennità per miglioramenti apportati ai fondi agricoli e alla casa colonica, ma costei si opponeva pregiudizialmente rilevando l’inammissibilità della domanda ai sensi degli artt. 167 e 418 cod. proc. civ..
Il Tribunale di Teramo, con sentenza del 5 novembre 2007, accoglieva la domanda di rilascio (rigettando, invece, quella di risarcimento danni), dichiarava inammissibili le domande riconvenzionali svolte dallo I. e lo condannava al pagamento delle spese di lite.
La sentenza veniva notificata allo I. presso la cancelleria del Tribunale di Teramo in data 16 novembre 2007. Interposto appello con ricorso del 4 febbraio 2008, la B. vi resisteva rilevandone pregiudizialmente l’inammissibilità per tardività, essendo stato proposto oltre il termine di trenta giorni dalla notifica della sentenza.
Con sentenza del 2 aprile 2008, la Corte di Appello di L’Aquila accoglieva il rilievo e dichiarava inammissibile l’appello in quanto proposto dallo I. dopo la scadenza del termine breve dalla notificazione al suo difensore della sentenza del 5 novembre 2007, effettuata in cancelleria – il 16 novembre 2007 – a norma del secondo comma dell’art. 82 R.D. 22 gennaio 1934 n. 37, in quanto la notifica presso l’avv. Marone Ferrari in Teramo (nel domicilio eletto dallo I. , controfirmato dal suo nuovo difensore avv. Tatone, esercente in Pescara, costituitosi nel giudizio di riassunzione in primo grado in data 18 ottobre 2006) non era stata possibile, essendosi il domiciliatario cancellato dall’albo in data 16 gennaio 2007.
Ciò in quanto, in conseguenza della cancellazione dall’albo professionale, l’avvocato decade dal suo ufficio e perde lo ius postulando, si che non può neppure ricevere atti processuali, non operando in questo caso la perpetuatio dell’ufficio di difesa disposta per la revoca della procura o rinuncia al mandato.
Avverso tale pronuncia ricorre per cassazione I.R. , affidandosi a due motivi; resiste la B. a mezzo di controricorso.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo, il ricorrente deduce: “violazione e falsa applicazione degli artt. 47 CC, 85 -170 – 285 – 324 – 326 CPC, 124 Disp. Att. CPC, 82 R.D.L. 27.11.1933 n. 1578 (e norme integrative di cui al R.D. 22.1.1934 n. 37) in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 CPC, per avere erroneamente la Corte territoriale aquilana ritenuto inammissibile l’appello proposto dall’odierno ricorrente con ricorso depositato il 4.2.2008 sulla base dell’avvenuto decorso dei termini brevi per l’impugnazione dalla data della notifica, effettuata dalla parte interessata al procuratore dello I. presso la Cancelleria del Tribunale di Teramo nonostante che costui avesse eletto all’atto della costituzione in giudizio domicilio nell’ambito del circondario del ridetto Tribunale. Omessa motivazione su un punto decisivo della controversia costituito dal fatto oggettivo della comunicazione dell’avviso di deposito della sentenza fatta dalla Cancelleria del Tribunale di Teramo presso il domicilio eletto nell’ambito del circondario”.
2. La Corte territoriale, dato atto che la costituzione in giudizio dello I. – a mezzo del difensore avv. Tatone – conteneva l’elezione di domicilio ex art. 82 R.D. n. 37/1934 presso lo studio dell’avv. Marone Ferrari di Teramo, ha rilevato che “depositata la sentenza di primo grado in data 5 novembre 2007, e non potendosi effettuare la notifica nel domicilio eletto e cioè presso l’avv. Marone Ferrari, frattanto cancellatosi dall’Albo professionale sin dal 16 gennaio 2007, la notifica è stata effettuata presso la Cancelleria civile del Tribunale di Teramo”; considerato, quindi, che “nell’ipotesi di cancellazione dall’Albo professionale, ancorché disposta a domanda dell’interessato, si determina la decadenza dall’ufficio di avvocato e la cessazione dello stesso ius postulando, con la conseguente mancanza di legittimazione del difensore a compiere e a ricevere atti processuali”, è pervenuta alla conclusione che “legittimamente… la sentenza di primo grado, ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione, in assenza di una valida ed attuale elezione di domicilio in Teramo, è stata notificata allo I. presso la Cancelleria”, facendone derivare – pertanto – la tardività dell’appello e la decadenza dall’impugnazione.
3. La censura, pur contenendo un non pertinente riferimento all’art. 82 del R.D.L. n. 1578/1933, risulta evidentemente formulata sotto il profilo della violazione dell’art. 82 R.D. n. 37/1934, secondo cui gli avvocati che “esercitano il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del Tribunale al quale sono assegnati, devono, all’atto della costituzione nel giudizio stesso, eleggere domicilio nel luogo dove ha sede l’autorità giudiziaria presso la quale il giudizio è in corso. In mancanza della elezione di domicilio, questo si intende eletto presso la cancelleria della stessa autorità giudiziaria”.
La questione attiene quindi agli effetti che conseguono alla cancellazione dall’albo degli avvocati del domiciliatario che non sia stato nominato anche difensore della parte, questione che – come detto – è stata risolta dalla Corte territoriale nel senso della sopravvenuta inefficacia della domiciliazione e della ritualità della notifica della sentenza effettuata presso la cancelleria.
4. Deve preliminarmente rilevarsi che la Corte di merito ha interpretato l’elezione di domicilio proveniente formalmente dallo I. (come emerge dal tenore del mandato trascritto nel ricorso per cassazione) nel senso che la stessa deve intendersi fatta propria dal difensore – con la sottoscrizione dell’atto e la correlata autenticazione della firma della parte (Cass. n. 7196/2009) – valendo, pertanto, a costituire adempimento dell’onere previsto a carico di quest’ultimo dall’art. 82 R.D. n. 37/1934.
5. I giudici di appello hanno fatto applicazione dei principi elaborati da questa Corte in relazione all’ipotesi della cancellazione dall’albo dell’avvocato che sia stato nominato -al tempo stesso – difensore e domiciliatario della parte, che si possono compendiare nell’affermazione – risalente – secondo cui “la cancellazione dall’albo professionale dell’avvocato costituito determina la decadenza dall’ufficio e, facendo venir meno lo ius postulandi, implica la mancanza di legittimazione di quel difensore a compiere e ricevere atti processuali, nonché il venir meno dell’elezione di domicilio – atto interdipendente e connesso – presso il medesimo” (tra le più recenti, Cass. n. 19225/11).
La questione della notificazione fatta al difensore cancellato dall’albo è stata decisa – nel tempo – in modo disomogeneo, nel senso della inesistenza (ex multis, Cass. n. 7577/1999) o della nullità (ex multis, Cass. n. 22293/2004) e, recentemente (Cass. n. 10301/12), nel senso che “permane il ministero del difensore cancellatosi” dall’albo degli avvocati “per quanto concerne l’aspetto passivo, cioè la capacità di essere destinatario degli atti compiuti dalla controparte e dall’ufficio, dei quali sia prevista la ricezione”. Con specifico riguardo all’ipotesi di svolgimento del ministero di difensore fuori del foro di appartenenza, è consolidato l’orientamento di legittimità secondo il quale “ai sensi dell’art. 82, secondo comma, del r.d. 22 gennaio 1934, n. 37, la notificazione della sentenza, ai fini del decorso del termine d’impugnazione, può ritenersi validamente effettuata presso la cancelleria del giudice a quo, nel caso in cui il difensore domiciliatario sia stato cancellato dall’albo degli avvocati e il solo procuratore residuo, iscritto in albo diverso da quello del tribunale nella cui circoscrizione la causa si è svolta, non abbia ancora provveduto a nominare un nuovo domiciliatario” (Cass. n. 18714/2012).
6. Ciò premesso, deve tuttavia ritenersi che la Corte aquilana abbia errato nell’applicare tale ultimo principio alla diversa ipotesi -ricorrente nel caso in esame- in cui il domiciliatario, benché avvocato, non sia stato nominato anche difensore della parte, giacché, in relazione al mero domiciliatario, non sussistono le ragioni di connessione e dipendenza fra ius postulandi e domiciliazione – riflesso della connessione tra conferimento della rappresentanza processuale, elezione di domicilio presso colui al quale è conferita e necessità di permanenza dello status professionale – poste a tutela di interessi privati e pubblici, anche di rilevanza costituzionale (difesa e contraddittorio), che fanno conseguire alla cessazione del primo il venir meno della seconda (art. 141, ultimo comma, cod. proc. civ.).
7. È perciò da ritenere che, in ipotesi di mera domiciliazione, le sorti dell’elezione di domicilio siano del tutto disgiunte dalla perdita della capacità di patrocinare (che consegue alla cancellazione dall’albo professionale, ex artt. 1 e 37 R.D.L. n. 1578/1933), giacché la domiciliazione autonoma prescinde – per definizione – dal conferimento dello ius postulandi e – prima ancora – dalla qualifica professionale rivestita dal domiciliatario, essendo volta esclusivamente ad individuare il luogo – art. 141 cod. proc. civ. – in cui debbono essere effettuate al procuratore costituito le notificazioni e le comunicazioni relative al processo (art. 170 cod. proc. civ.), che infatti, nel caso di mancanza di domicilio eletto a norma dell’art. 82 R.D. n. 37 del 1934, avvengono in cancelleria, domicilio legalmente stabilito.
7.1. Né a diversa conclusione induce -nel caso specifico dell’attività fuori circoscrizione- la ratio sottesa all’onere della domiciliazione nel comune ove ha sede l’ufficio giudiziario, da individuarsi nell’esigenza di sollevare la controparte dal peso di “una notifica più complessa e costosa se svolta al di fuori della circoscrizione dell’AG procedente” (Cass. n. 13587/09; cfr. anche Cass. n. 10019/12). Ed infatti la suddetta esigenza del notificante è adeguatamente soddisfatta a prescindere dall’attribuzione dello ius postulandi al domiciliatario (giacché – come si è detto – quello che conta è che sia indicato il luogo ove vi è un soggetto legittimato a ricevere gli atti), senza che si determini – a differenza di quanto sembra ritenere la controricorrente – alcun sacrificio per le possibilità di difesa della parte domiciliata (spettanti al difensore e non al domiciliatario), che sono ben più adeguatamente assicurate – anche quanto alla tempestività della conoscenza degli atti – dall’obbligo del domiciliatario di dare notizia al difensore domiciliante degli atti giudiziari che gli sono pervenuti in tale qualità (e ciò tramite il collegamento che questi stabilisce a tal fine col predetto domiciliante e finché non lo avverte di provvedere alla sua sostituzione) e senza che la ricezione di essi possa configurare in sé compimento di attività giudiziaria, impedita dal non essergli stata conferita la procura, prima che dalla cancellazione dall’albo. Al contrario, la parte e il procuratore, ove questi abbia assolto all’onere di cui all’art. 82 R.D. 1934 n. 37, sarebbero esposti ad irrimediabile decadenza dal diritto all’impugnazione se si ritenesse che, in conseguenza della cancellazione dall’albo del domiciliatario del difensore, la notifica della sentenza debba esser effettuata comunque in cancelleria, cosi ponendo a loro carico l’onere di conoscere un evento che non incide sullo ius postulandi del difensore, è estraneo a costui e alla parte che rappresenta e non giustifica neppure una presunzione di conoscenza in base alla pubblicità dell’albo professionale in circoscrizione diversa da quella in cui quegli esercita e di cui perciò può essere all’oscuro (diversamente dalla parte notificante che, tramite il difensore esercente nella circoscrizione in cui pende il giudizio ovvero tramite il suo domiciliatario, può avvantaggiarsi della conoscenza della cancellazione dall’albo del domiciliatario non difensore dell’avversario e notificare la sentenza in cancelleria, con ciò facendo decorrere il termine di decadenza per impugnarla, senza che tale effetto risponda ad alcuna esigenza di tutela della parte notificante).
7.2. La giurisprudenza di questa Corte ha chiaramente colto tale differenza (e le sue diverse implicazioni) allorquando, in relazione al trasferimento del domiciliatario, ha distinto il criterio personale – che presiede alla domiciliazione presso il difensore- dal criterio topografico, che opera nel diverso caso della domiciliazione autonoma.
Infatti, per il caso di difensore-domiciliatario, ha ritenuto che le notificazioni e comunicazioni debbano essere effettuate “al domicilio reale del procuratore (quale risulta dall’albo, ovvero dagli atti processuali, come nel caso di timbro apposto su comparsa conclusionale di primo grado) anche se non vi sia stata rituale comunicazione del trasferimento alla controparte, in quanto il dato di riferimento personale prevale su quello topografico, e non sussiste alcun onere del procuratore di provvedere alla comunicazione del cambio di indirizzo” (Cass. n. 14033/2005), mentre, quando “la parte… abbia eletto domicilio autonomo, cioè presso un domiciliatario diverso dal difensore, il criterio topografico di elezione prevale sul criterio personale”, con la conseguenza che “la sopravvenuta inidoneità del criterio topografico, dovuta al fatto che il domiciliatario non difensore abbia trasferito il proprio studio professionale senza darne avviso alla controparte del domiciliante, legittima la controparte medesima a notificare la sentenza, ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione, presso la Cancelleria del giudice a quo, ai sensi dell’art. 82 del R.D. n. 37 del 1934″ (Cass. n. 18663/12).
8. Se, dunque, è vero che – nel caso di domicilio autonomamente eletto- soltanto la sopravvenuta inidoneità del criterio topografico giustifica il ricorso alla notifica presso la cancelleria, deve escludersi che a tale modalità possa accedersi ove non constino fatti – quali la morte o il trasferimento del domiciliatario – tali da rendere impossibile la notificazione al domicilio eletto (ex art. 141, ult. co. C.P.C.); occorre, pertanto, che la notifica presso la cancelleria sia preceduta (come nel caso considerato da Cass. 18663/12, sopra citata) da un tentativo infruttuoso di notifica presso il domicilio eletto (mentre nel caso di rifiuto del domiciliatario di ricevere l’atto potrà soccorrere il principio della notificazione virtuale, in applicazione del secondo comma dell’art. 138 cod. proc. civ.).
9. In relazione a tale ultimo profilo, assume rilievo la seconda censura contenuta nel primo motivo di ricorso, concernente l’omesso esame della circostanza che la comunicazione della cancelleria di avvenuto deposito della sentenza era stata positivamente effettuata al domicilio eletto (ossia presso lo studio dell’avv. Marone Ferrari) il 15 novembre 2007, e quindi molti mesi dopo la cancellazione volontaria del domiciliatario dall’albo degli avvocati e soltanto un giorno prima di quello in cui la B. aveva notificato la sentenza di primo grado presso la cancelleria.
10. Pertanto, in accoglimento del primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla Corte aquilana, in diversa composizione, per l’esame del merito, perché nel caso in esame la nullità della notifica della sentenza effettuata in cancelleria è inidonea a far decorrere il termine breve per la sua impugnazione – con conseguente validità della notifica dell’appello effettuata dallo I. nel termine lungo di cui all’art. 327 cod. proc. civ. – in applicazione del seguente principio di diritto: “allorché, nell’ipotesi prevista dall’art. 82 R.D. n. 37/1934, l’avvocato che eserciti fuori della circoscrizione del Tribunale al quale è assegnato elegga domicilio presso un avvocato che non assume anche la veste di difensore per mancanza di conferimento della procura al medesimo, tale elezione di domicilio – atto autonomo dal conferimento della procura – conserva efficacia ed è vincolante – ove non revocata con atto comunicato alla controparte e all’ufficio – fino a quando il domicilio risulti concretamente idoneo ad assolvere alla funzione sua propria, senza che rilevi la cancellazione del domiciliatario dall’albo degli avvocati; ne consegue che soltanto nell’ipotesi in cui si verifichi l’impossibilità di effettuare le comunicazioni e le notificazioni nel luogo eletto (come in caso di morte o di irreperibilità del domiciliatario), esse possono essere effettuate presso la cancelleria – e ciò anche in relazione alla notificazione della sentenza, ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione, diversamente essendo nulla la notifica effettuata in luogo diverso dal domicilio eletto”.
11. Il secondo motivo – riproduttivo dei motivi di appello, non esaminati – deve intendersi assorbito.
12. La Corte di rinvio provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
la Corte accoglie il primo motivo, cassa in relazione e rinvia alla Corte di Appello de L’Aquila, in diversa composizione, che provvedere anche sulle spese del presente giudizio.

Societario: sulla responsabilita' dell'amministratore unico di una S.r.l.

Tribunale di Piacenza
Sentenza
n. 414 del 25 maggio 2015 
C. G. E.
( avv. V. Bardugoni del Foro di Piacenza) contro R. R. contumace
FATTO E DIRITTO
Con atto di citazione ritualmente notificato C. G. E., dopo aver premesso di essere socio per una quota del valore di euro 12.000,00 della società X. Costruzioni s.r.l., con sede legale in Casalpusterlengo (LO), della quale era all’epoca a sua volta socia R. R., titolare di una quota di euro 26.000,00, nonché C. D., per una quota del valore di euro 12.000,00, esponeva che la socia di maggioranza , odierna convenuta, aveva ricoperto la carica di amministratore unico della società a far tempo dalla data del 2 giugno 2007 fino al 25 ottobre 2012.
Assumeva, quindi, che, a seguito di accertamento fiscale al quale era stata sottoposta la società nel 2010, in data 14 agosto 2012 gli erano stati notificati dall’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Piacenza, Ufficio Controlli, tre avvisi di accertamento relativi agli anni 2007, 2008 e 2009.
In essi l’Agenzia, avendo rilevato che negli anni di riferimento la società aveva esposto costi indeducibili, aveva contestato ai soci la percezione di un reddito di capitale non dichiarato computato in misura percentuale, a titolo di utili extra bilancio, in considerazione della ristretta base partecipativa della società che, all’epoca, risultava costituita solo da due soci.
All’esito di tali prospettazioni C. G. E. esponeva che, poiché, in realtà, negli anni in questione la società non aveva mai distribuito utili di sorta ai soci, con la conseguenza che l’attore non aveva percepito alcun reddito da dichiarare, le conseguenze di natura economica a lui derivanti dagli accertamenti indicati dovevano essere addebitate all’amministratore unico dell’epoca, R. R., la quale, agendo con assoluta autonomia, non aveva mai informato i soci dell’andamento degli accertamenti subiti dalla società né, tanto meno, aveva mai messo a loro disposizione tutti i documenti contabili e i libri sociali della stessa nonostante le reiterate richieste dei soci, in palese violazione degli obblighi di diligenza e di correttezza esistenti a carico dell’amministratore di una società di capitali.
A conferma di ciò l’attore evidenziava come, all’esito dell’assemblea sociale tenutasi in data 25 ottobre 2012, la convenuta, avesse rassegnato le proprie dimissioni non avendo saputo fornire giustificazione di sorta del suo operato.
Sulla base di tali prospettazioni C. G. E. assumeva che, con specifico riguardo alla vicenda in esame, sussistevano tutti i presupposti di legge per richiedere la condanna dell’amministratore a risarcire tutti i danni da lui direttamente subiti nella sua qualità di socio , quantificati nella somma degli importi induttivamente accertati a suo carico dall’Agenzia delle Entrate a titolo di reddito non dichiarato, ai sensi della previsione di cui all’art 2476 comma VI c.c.
Nel giudizio la convenuta non si costituiva. Non ammesse dal G.I. le prove orali dedotte dall’attore, all’udienza del giorno 10 marzo 2015 la sua difesa precisava le conclusioni e il G.I., concessi i termini di legge per il deposito della comparsa conclusionale, tratteneva la causa per la decisione collegiale.
All’esito del procedimento ritiene il Tribunale di dover, in primo luogo, sulla base della documentazione prodotta, ricostruire le vicende sociali della società X. Costruzioni s.r.l.
In data 1° marzo 2006 veniva costituita la società in esame che iniziava ad operare dal 23 maggio 2007. Dalla costituzione fino al 2009 risultano essere stati suoi soci C. G. E., per la quota di euro 45.000,00, e C. D., per la quota minoritaria di euro 5.000,00.
Amministratore unico della società, verosimilmente, dalla data di costituzione, fino al 27 giugno 2007 (doc 2 attore) veniva nominato lo stesso socio di maggioranza, mentre, come da verbale dell’assemblea tenutasi in tale data, a far tempo da essa, pur permanendo l’intero capitale sociale in capo ai medesimi due soci iniziali, con percentuali invariate, veniva nominato nuovo amministratore unico R. R., soggetto estraneo alla compagine societaria, alla quale venivano attribuiti “ tutti i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione con facoltà di compiere tutti gli atti ritenuti opportuni per l’attuazione e il raggiungimento degli scopi sociali, esclusi soltanto quelli che la legge riserva in modo inderogabile alla decisione dei soci”.
In epoca successiva, forse dal 21 giugno 2012 , (pagina 6 della visura in atti) non meglio individuabile sulla base dei documenti prodotti, interveniva tra i soci una modifica nella suddivisione delle quote sociali dal momento che, come attestato dal verbale di assemblea del 25 ottobre 2012 (doc 3 attore), risulta che a tale data erano soci della X. Costruzioni s.r.l. C. G. E., per la quota non più di 45.000,00 euro, ma per la quota minore di euro 12.000,00, C. D., non più per la quota di 5.000,00 euro, ma per quella maggiore di euro 12.000,00 e, quale nuovo socio, R. R., per la quota di euro 26.000,00 all’evidenza a lei ceduta dal socio di maggioranza C. G. E..
A far tempo da tale data, a seguito di espressa richiesta dei soci di minoranza, l’amministratore unico rassegnava le proprie dimissioni; assumeva successivamente la carica di Amministratore unico nuovamente l’attore fino alla data del giorno 11 aprile 2013 quando il Tribunale di Piacenza dichiarava il fallimento della società (doc 7 attore).
Sempre dai documenti prodotti risulta, ancora, che, all’esito di accesso della Guardia di Finanza presso la società, intervenuto nel corso del 2010, quando era amministratore unico la convenuta e soci l’attore e C. D., veniva accertata, in via induttiva, a carico della società, l’esposizione di costi non deducibili relativi all’anno 2007, pari ad euro 912.180,00, per l’anno 2008, pari ad euro 935.771,00 e per l’anno 2009, pari ad euro 437.660,00.
Sul punto pare opportuno evidenziare come negli avvisi di accertamento notificati all’attore quale socio di maggioranza con riferimento a tali anni, l’Ufficio avesse chiaramente precisato come le contestazioni a lui mosse traessero origine, in punto di fatto, dalle indagini svolte a carico della società secondo le modalità descritte nei relativi avvisi di accertamento a lei diretti e richiamati per relazione in quelli notificati al socio, il quale peraltro non risulta averli prodotti in giudizio.
Con specifico riferimento, quindi, agli avvisi di accertamenti a lui tutti contestualmente notificati in data 14 agosto 2012, dopo che alla società erano stati notificati autonomi avvisi di accertamento in data 4 luglio 2012, si evidenzia ancora, che, in virtù di un ragionamento induttivo e presuntivo, l’Agenzia delle Entrate contestava , attesa la quantificazione di costi indeducibili, l’esistenza pro quota, avendo la società all’epoca una ristretta base di partecipazione societaria, ridotta solo a due soci, uno dei quali, l’attore in misura pari al 95%, la percezione di redditi da impresa mai dichiarati, non avendo il socio presentato dichiarazione dei redditi delle persone fisiche e, sulla base di tale assunto, determinava le sanzioni amministrative irrogabili all’attore per tali omissioni, in misura complessiva, con riferimento ai tre anni di riferimento e tenuto conto dei limiti del cumulo giuridico, in euro 556..195,67 importo che il contribuente avrebbe anche potuto corrispondere, in mancanza di sua opposizione da esercitare nei termini indicati negli stessi avvisi, nelle opportune sedi, anche in via notevolmente ridotta ovvero in forma rateizzata.
Così ricostruita la fattispecie in punto di fatto, ne consegue, lasciando per un momento impregiudicata ogni ulteriore valutazione con riferimento alla sussistenza nel caso di specie dei presupposti per l’applicazione della previsione di cui all’art 2476 comma VI c.c., come certamente il tema del contendere, anche nell’ipotesi più favorevole all’attore, debba essere circoscritto esclusivamente agli importi a lui richiesti a titolo di sanzione amministrativa per le omissioni a lui addebitate e non certamente, come invece prospettato, alla somma degli importi da reddito non dichiarato come quantificato in atto introduttivo.
Tanto precisato, si rileva, quindi, che, secondo la previsione invocata dalla sua difesa e secondo la costante giurisprudenza di Legittimità formatasi in tema, sussiste una assoluta identità tra la disposizione di cui all’art 2476 comma VI c.c. e quella di cui all’art 2395 c.c. nella parte in cui fa salvo il diritto del singolo socio di agire direttamente contro l’amministratore della società che abbia causato a lui un danno immediato e diretto.
In particolare si è affermato che “ in tema di azioni nei confronti dell’amministratore di società, a norma dell’art 2395 c.c., il terzo o il socio è legittimato, anche dopo il fallimento, della società all’esperimento dell’azione di natura aquiliana per ottenere il risarcimento dei danni subiti nella propria sfera individuale, in conseguenza di atti dolosi o colposi compiuti dall’amministratore, solo se questi siano conseguenza immediata e diretta del comportamento denunciato e non il mero riflesso del pregiudizio che abbia colpito l’ente, ovvero il ceto creditorio per effetto della cattiva gestione, dovendosi proporre, altrimenti, l’azione contrattuale di cui all’art 2394 c.c. esperibile in caso di fallimento della società, dal curatore , ai sensi dell’art 146 della Legge Fallimentare“ (Cass.sez.I, 10 aprile 2014, 8458; ).
Ed, ancora, si è ribadito che “i soci di una società di capitali non hanno titolo al risarcimento dei danni che costituiscano mero riflesso del pregiudizio arrecato da terzi alla società, in quanto siano una mera porzione di quello stesso danno subito dalla società e risarcibile in favore della stessa, con conseguente reintegrazione indiretta a favore del socio; pertanto, un danno non può considerarsi giuridicamente riflesso quando tale possibilità non sussista, come per i danni arrecati alla sfera personale del socio (diritto all’onore o alla reputazione) o per taluni danni patrimoniali come quelli derivanti dalla perdita di opportunità personali, economiche e lavorative, o dalla riduzione del cosiddetto merito creditizio, i quali vanno risarciti al socio dal terzo responsabile “ (Cass. sez. I, 11 dicembre 2013, 27733; Cass. sez. III, 22 marzo 2012, 4548; Cass. sez. III, 22 marzo 2011, 6558; Cass. sez. I, 23 giugno 2010, 15220;).
Ne consegue che, attesa la natura indubbiamente aquiliana dell’azione di cui all’art 2395 c.c. ovvero, quanto alle società a responsabilità limitata, di cui all’art 2476 comma VI c.c., connotata da profili di specialità rispetto alla previsione generale dell’art 2043 c.c., in considerazione della qualità del soggetto danneggiato e della qualità del soggetto danneggiante, grava sull’attore fornire rigoR. prova sia del danno concretamente subito, sia della natura colposa o addirittura dolosa della condotta dell’amministratore, sia del nesso causale esistente tra condotta ed evento, dal momento che, altrimenti, qualora il danno prospettato risulti essere mera conseguenza riflessa del danno patito dalla società certamente si esce dalla previsione invocata .
Nel caso di specie tale puntualizzazione appare ancor più rilevante non appena si consideri come, essendo intervenuto nelle more il fallimento, in presenza di un danno meramente indiretto, ogni ulteriore azione dovrebbe essere esercitata in ipotesi dal Curatore fallimentare.
Tanto precisato, ritiene il Tribunale che nel caso di specie sia astrattamente configurabile un danno diretto al patrimonio del socio qualora il comportamento colposo dell’amministratore unico, che abbia esposto nella gestione della società costi effettivamente indeducibili abbia determinato a carico del singolo socio l’applicazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, di sanzioni per redditi d’impresa percepiti e non dichiarati . derivando da tale condotta un danno diretto al patrimonio del socio chiamato a corrispondere tale somme per la propria omessa dichiarazione di redditi (in termini Tribunale di Napoli, 7 novembre 2013 in wwwilcaso.it con riferimento ad una ipotesi nella quale il singolo socio lamentava di aver patito accertamenti dall’Erario a seguito di omesse denuncie di entrate derivanti dalla sua partecipazione sociale,accertate a seguito di indagini svolte dall’Agenzia delle Entrate nei confronti della stessa società).
In tale ipotesi, invero, il socio non lamenta di aver subito una quota del danno a sua volta patito della società, circostanza che attesterebbe la natura riflessa del danno prospettato, ma lamenta un danno personale al proprio patrimonio avendogli l’Ente richiesto, in considerazione della ristretta base partecipativa della società all’epoca, il pagamento di una sanzione per un reddito che avrebbe effettivamente percepito, incamerato personalmente e consapevolmente, in quanto socio di maggioranza, e che non avrebbe, peraltro, dichiarato.
Sul punto si deve, infatti, considerare, come anche evidenziato negli accertamenti in contestazione, come il contribuente ben possa contestare quanto a lui addebitato a prescindere da qualsivoglia esito dell’accertamento relativo alla società, non trattandosi di una conseguenza indiretta del primo ma di accertamenti tra di loro autonomi (Cass 2005/20851;Cass. 2003/16885;).
Ciò precisato, ritiene peraltro, il Tribunale che, nel caso di specie, parte attrice non abbia assolto all’onere probatorio su di lei gravante.
Con specifico riguardo al danno da lei asseritamente patito appare dirimente la circostanza secondo la quale C. G. E. si è limitato a produrre gli avvisi di accertamento di omessa dichiarazione dei redditi e di comminatoria delle relative sanzioni amministrative, senza invece documentare di aver effettivamente corrisposto le somme a lui richieste, ovvero di aver subito procedure esecutive, né, tanto meno ha provato di aver richiesto il pagamento in forma ridotta, come ben possibile, ovvero, di aver impugnato nelle opportune sedi contenziose l’accertamento medesimo fondato su valutazioni presuntive come tali certamente sindacabili .
Ne consegue, pertanto, che l’attore non ha provato quale danno in concreto abbia subito a seguito delle iniziative esposte non potendosi certamente equiparare a prova del danno la semplice richiesta di pagamento da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Se, dunque, già tale valutazione è nel caso di specie suffiente per il rigetto delle domande articolate in atti, si osserva, ancora, per completezza, che C. G. E. neppure ha provato in concreto in cosa sia consistita la condotta colposa o forse a suo avviso dolosa posta in essere dall’amministratore dell’epoca R. R..
Sul punto occorre considerare che la sua difesa non ha prodotto gli accertamenti eseguiti dalla Guardia di Finanza nei confronti della società con la conseguenza che non è stato provato da quali elementi di fatto sia emersa la natura indeducibile dei costi esposti dalla stessa; oltre a ciò si evidenzia che di regola i costi affrontati dalla società vengono esposti e vengono valutati dall’assemblea sociale in sede di approvazione del bilancio e nel caso di specie non avendo l’attore neppur allegato che la società non abbia provveduto a tali incombenti, si deve ritenere che tutti i bilanci siano stati regolarmente esaminati ed approvati anche da lui quale socio di maggioranza della s.r.l.
Né, per una differente valutazione, può avere valore risolutivo la circostanza da questi prospettata secondo la quale R. R. più volte sollecitata si sarebbe costantemente rifiutata nel corso del tempo di consentire al socio l’esame dei documenti contabili della società, determinandosi a presentare le proprie dimissioni nell’ottobre del 2012. Tale circostanza non può essere ritenuta provata sulla base della scelta della convenuta di dimettersi rimanendo socia della s.r.l. ovvero sulla base delle prove orali dedotte, consistite nel solo l’interrogatorio formale della stessa non appena si consideri come esso non sia stato ammesso in quanto relativo a circostanze prive di riferimento temporale, di contenuto valutativo ed assolutamente indeterminate. Si deve, inoltre, considerare come l’attore, nella sua veste di socio, di maggioranza fino al 2010 ben avrebbe potuto utilizzare nell’esercizio dei suoi poteri di controllo e di informazione, i rimedi previsti per ottenere anche coattivamente l’esibizione dei documenti sociali asseritamente a lui mai mostrati dall’amministratore unico.
Da ultimo ai presenti fini pare significativa anche la circostanza secondo la quale C. G. E., piuttosto che determinarsi a contrastare nelle opportune sedi tributarie un accertamento di natura semplicemente induttiva, fondato sul presupposto della base ristretta di partecipazione dei soci alla s.r.l., (all’epoca solo due) in presenza della quale si presume la piena conoscenza e la piena condivisione da parte loro della gestione affidata all’amministratore, (Cass.26428/2010;), presunzione che la stessa Corte di Legittimità precisa essere superabile con la prova contraria da parte del contribuente che dimostri di non aver comunque introitato utile di sorta, (Cass.sez.V, 29 gennaio 2010, 1906; Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia, 7 ottobre 2013; Commissione Tributaria Provinciale di Parma, sentenza n 97 del 2013; ) abbia preferito agire direttamente nei riguardi dell’amministratore dando per provato un nesso causale in realtà non dimostrato.
All’esito delle valutazioni esposte, si impone, pertanto, conclusivamente, il rigetto della domanda articolata in atti.
Non essendosi R. R. costituita nel giudizio, si dichiarano irripetibili le spese processuali.
P.Q.M.
 
IL TRIBUNALE DI PIACENZA definitivamente pronunciando così provvede:
 
RIGETTA
 
le domande articolate da C. G. E. nei confronti di R. R.;
 
DICHIARA
 
irripetibili le spese processuali;
Piacenza, 21 maggio 2015
Il Presidente relatore

Societario: sulla responsabilita' dell'amministratore unico di una S.r.l.

Societario: sulla responsabilita' dell'amministratore unico di una S.r.l.

Tribunale di Piacenza
Sentenza
n. 414 del 25 maggio 2015 
C. G. E.
( avv. V. Bardugoni del Foro di Piacenza) contro R. R. contumace
FATTO E DIRITTO
Con atto di citazione ritualmente notificato C. G. E., dopo aver premesso di essere socio per una quota del valore di euro 12.000,00 della società X. Costruzioni s.r.l., con sede legale in Casalpusterlengo (LO), della quale era all’epoca a sua volta socia R. R., titolare di una quota di euro 26.000,00, nonché C. D., per una quota del valore di euro 12.000,00, esponeva che la socia di maggioranza , odierna convenuta, aveva ricoperto la carica di amministratore unico della società a far tempo dalla data del 2 giugno 2007 fino al 25 ottobre 2012.
Assumeva, quindi, che, a seguito di accertamento fiscale al quale era stata sottoposta la società nel 2010, in data 14 agosto 2012 gli erano stati notificati dall’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Piacenza, Ufficio Controlli, tre avvisi di accertamento relativi agli anni 2007, 2008 e 2009.
In essi l’Agenzia, avendo rilevato che negli anni di riferimento la società aveva esposto costi indeducibili, aveva contestato ai soci la percezione di un reddito di capitale non dichiarato computato in misura percentuale, a titolo di utili extra bilancio, in considerazione della ristretta base partecipativa della società che, all’epoca, risultava costituita solo da due soci.
All’esito di tali prospettazioni C. G. E. esponeva che, poiché, in realtà, negli anni in questione la società non aveva mai distribuito utili di sorta ai soci, con la conseguenza che l’attore non aveva percepito alcun reddito da dichiarare, le conseguenze di natura economica a lui derivanti dagli accertamenti indicati dovevano essere addebitate all’amministratore unico dell’epoca, R. R., la quale, agendo con assoluta autonomia, non aveva mai informato i soci dell’andamento degli accertamenti subiti dalla società né, tanto meno, aveva mai messo a loro disposizione tutti i documenti contabili e i libri sociali della stessa nonostante le reiterate richieste dei soci, in palese violazione degli obblighi di diligenza e di correttezza esistenti a carico dell’amministratore di una società di capitali.
A conferma di ciò l’attore evidenziava come, all’esito dell’assemblea sociale tenutasi in data 25 ottobre 2012, la convenuta, avesse rassegnato le proprie dimissioni non avendo saputo fornire giustificazione di sorta del suo operato.
Sulla base di tali prospettazioni C. G. E. assumeva che, con specifico riguardo alla vicenda in esame, sussistevano tutti i presupposti di legge per richiedere la condanna dell’amministratore a risarcire tutti i danni da lui direttamente subiti nella sua qualità di socio , quantificati nella somma degli importi induttivamente accertati a suo carico dall’Agenzia delle Entrate a titolo di reddito non dichiarato, ai sensi della previsione di cui all’art 2476 comma VI c.c.
Nel giudizio la convenuta non si costituiva. Non ammesse dal G.I. le prove orali dedotte dall’attore, all’udienza del giorno 10 marzo 2015 la sua difesa precisava le conclusioni e il G.I., concessi i termini di legge per il deposito della comparsa conclusionale, tratteneva la causa per la decisione collegiale.
All’esito del procedimento ritiene il Tribunale di dover, in primo luogo, sulla base della documentazione prodotta, ricostruire le vicende sociali della società X. Costruzioni s.r.l.
In data 1° marzo 2006 veniva costituita la società in esame che iniziava ad operare dal 23 maggio 2007. Dalla costituzione fino al 2009 risultano essere stati suoi soci C. G. E., per la quota di euro 45.000,00, e C. D., per la quota minoritaria di euro 5.000,00.
Amministratore unico della società, verosimilmente, dalla data di costituzione, fino al 27 giugno 2007 (doc 2 attore) veniva nominato lo stesso socio di maggioranza, mentre, come da verbale dell’assemblea tenutasi in tale data, a far tempo da essa, pur permanendo l’intero capitale sociale in capo ai medesimi due soci iniziali, con percentuali invariate, veniva nominato nuovo amministratore unico R. R., soggetto estraneo alla compagine societaria, alla quale venivano attribuiti “ tutti i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione con facoltà di compiere tutti gli atti ritenuti opportuni per l’attuazione e il raggiungimento degli scopi sociali, esclusi soltanto quelli che la legge riserva in modo inderogabile alla decisione dei soci”.
In epoca successiva, forse dal 21 giugno 2012 , (pagina 6 della visura in atti) non meglio individuabile sulla base dei documenti prodotti, interveniva tra i soci una modifica nella suddivisione delle quote sociali dal momento che, come attestato dal verbale di assemblea del 25 ottobre 2012 (doc 3 attore), risulta che a tale data erano soci della X. Costruzioni s.r.l. C. G. E., per la quota non più di 45.000,00 euro, ma per la quota minore di euro 12.000,00, C. D., non più per la quota di 5.000,00 euro, ma per quella maggiore di euro 12.000,00 e, quale nuovo socio, R. R., per la quota di euro 26.000,00 all’evidenza a lei ceduta dal socio di maggioranza C. G. E..
A far tempo da tale data, a seguito di espressa richiesta dei soci di minoranza, l’amministratore unico rassegnava le proprie dimissioni; assumeva successivamente la carica di Amministratore unico nuovamente l’attore fino alla data del giorno 11 aprile 2013 quando il Tribunale di Piacenza dichiarava il fallimento della società (doc 7 attore).
Sempre dai documenti prodotti risulta, ancora, che, all’esito di accesso della Guardia di Finanza presso la società, intervenuto nel corso del 2010, quando era amministratore unico la convenuta e soci l’attore e C. D., veniva accertata, in via induttiva, a carico della società, l’esposizione di costi non deducibili relativi all’anno 2007, pari ad euro 912.180,00, per l’anno 2008, pari ad euro 935.771,00 e per l’anno 2009, pari ad euro 437.660,00.
Sul punto pare opportuno evidenziare come negli avvisi di accertamento notificati all’attore quale socio di maggioranza con riferimento a tali anni, l’Ufficio avesse chiaramente precisato come le contestazioni a lui mosse traessero origine, in punto di fatto, dalle indagini svolte a carico della società secondo le modalità descritte nei relativi avvisi di accertamento a lei diretti e richiamati per relazione in quelli notificati al socio, il quale peraltro non risulta averli prodotti in giudizio.
Con specifico riferimento, quindi, agli avvisi di accertamenti a lui tutti contestualmente notificati in data 14 agosto 2012, dopo che alla società erano stati notificati autonomi avvisi di accertamento in data 4 luglio 2012, si evidenzia ancora, che, in virtù di un ragionamento induttivo e presuntivo, l’Agenzia delle Entrate contestava , attesa la quantificazione di costi indeducibili, l’esistenza pro quota, avendo la società all’epoca una ristretta base di partecipazione societaria, ridotta solo a due soci, uno dei quali, l’attore in misura pari al 95%, la percezione di redditi da impresa mai dichiarati, non avendo il socio presentato dichiarazione dei redditi delle persone fisiche e, sulla base di tale assunto, determinava le sanzioni amministrative irrogabili all’attore per tali omissioni, in misura complessiva, con riferimento ai tre anni di riferimento e tenuto conto dei limiti del cumulo giuridico, in euro 556..195,67 importo che il contribuente avrebbe anche potuto corrispondere, in mancanza di sua opposizione da esercitare nei termini indicati negli stessi avvisi, nelle opportune sedi, anche in via notevolmente ridotta ovvero in forma rateizzata.
Così ricostruita la fattispecie in punto di fatto, ne consegue, lasciando per un momento impregiudicata ogni ulteriore valutazione con riferimento alla sussistenza nel caso di specie dei presupposti per l’applicazione della previsione di cui all’art 2476 comma VI c.c., come certamente il tema del contendere, anche nell’ipotesi più favorevole all’attore, debba essere circoscritto esclusivamente agli importi a lui richiesti a titolo di sanzione amministrativa per le omissioni a lui addebitate e non certamente, come invece prospettato, alla somma degli importi da reddito non dichiarato come quantificato in atto introduttivo.
Tanto precisato, si rileva, quindi, che, secondo la previsione invocata dalla sua difesa e secondo la costante giurisprudenza di Legittimità formatasi in tema, sussiste una assoluta identità tra la disposizione di cui all’art 2476 comma VI c.c. e quella di cui all’art 2395 c.c. nella parte in cui fa salvo il diritto del singolo socio di agire direttamente contro l’amministratore della società che abbia causato a lui un danno immediato e diretto.
In particolare si è affermato che “ in tema di azioni nei confronti dell’amministratore di società, a norma dell’art 2395 c.c., il terzo o il socio è legittimato, anche dopo il fallimento, della società all’esperimento dell’azione di natura aquiliana per ottenere il risarcimento dei danni subiti nella propria sfera individuale, in conseguenza di atti dolosi o colposi compiuti dall’amministratore, solo se questi siano conseguenza immediata e diretta del comportamento denunciato e non il mero riflesso del pregiudizio che abbia colpito l’ente, ovvero il ceto creditorio per effetto della cattiva gestione, dovendosi proporre, altrimenti, l’azione contrattuale di cui all’art 2394 c.c. esperibile in caso di fallimento della società, dal curatore , ai sensi dell’art 146 della Legge Fallimentare“ (Cass.sez.I, 10 aprile 2014, 8458; ).
Ed, ancora, si è ribadito che “i soci di una società di capitali non hanno titolo al risarcimento dei danni che costituiscano mero riflesso del pregiudizio arrecato da terzi alla società, in quanto siano una mera porzione di quello stesso danno subito dalla società e risarcibile in favore della stessa, con conseguente reintegrazione indiretta a favore del socio; pertanto, un danno non può considerarsi giuridicamente riflesso quando tale possibilità non sussista, come per i danni arrecati alla sfera personale del socio (diritto all’onore o alla reputazione) o per taluni danni patrimoniali come quelli derivanti dalla perdita di opportunità personali, economiche e lavorative, o dalla riduzione del cosiddetto merito creditizio, i quali vanno risarciti al socio dal terzo responsabile “ (Cass. sez. I, 11 dicembre 2013, 27733; Cass. sez. III, 22 marzo 2012, 4548; Cass. sez. III, 22 marzo 2011, 6558; Cass. sez. I, 23 giugno 2010, 15220;).
Ne consegue che, attesa la natura indubbiamente aquiliana dell’azione di cui all’art 2395 c.c. ovvero, quanto alle società a responsabilità limitata, di cui all’art 2476 comma VI c.c., connotata da profili di specialità rispetto alla previsione generale dell’art 2043 c.c., in considerazione della qualità del soggetto danneggiato e della qualità del soggetto danneggiante, grava sull’attore fornire rigoR. prova sia del danno concretamente subito, sia della natura colposa o addirittura dolosa della condotta dell’amministratore, sia del nesso causale esistente tra condotta ed evento, dal momento che, altrimenti, qualora il danno prospettato risulti essere mera conseguenza riflessa del danno patito dalla società certamente si esce dalla previsione invocata .
Nel caso di specie tale puntualizzazione appare ancor più rilevante non appena si consideri come, essendo intervenuto nelle more il fallimento, in presenza di un danno meramente indiretto, ogni ulteriore azione dovrebbe essere esercitata in ipotesi dal Curatore fallimentare.
Tanto precisato, ritiene il Tribunale che nel caso di specie sia astrattamente configurabile un danno diretto al patrimonio del socio qualora il comportamento colposo dell’amministratore unico, che abbia esposto nella gestione della società costi effettivamente indeducibili abbia determinato a carico del singolo socio l’applicazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, di sanzioni per redditi d’impresa percepiti e non dichiarati . derivando da tale condotta un danno diretto al patrimonio del socio chiamato a corrispondere tale somme per la propria omessa dichiarazione di redditi (in termini Tribunale di Napoli, 7 novembre 2013 in wwwilcaso.it con riferimento ad una ipotesi nella quale il singolo socio lamentava di aver patito accertamenti dall’Erario a seguito di omesse denuncie di entrate derivanti dalla sua partecipazione sociale,accertate a seguito di indagini svolte dall’Agenzia delle Entrate nei confronti della stessa società).
In tale ipotesi, invero, il socio non lamenta di aver subito una quota del danno a sua volta patito della società, circostanza che attesterebbe la natura riflessa del danno prospettato, ma lamenta un danno personale al proprio patrimonio avendogli l’Ente richiesto, in considerazione della ristretta base partecipativa della società all’epoca, il pagamento di una sanzione per un reddito che avrebbe effettivamente percepito, incamerato personalmente e consapevolmente, in quanto socio di maggioranza, e che non avrebbe, peraltro, dichiarato.
Sul punto si deve, infatti, considerare, come anche evidenziato negli accertamenti in contestazione, come il contribuente ben possa contestare quanto a lui addebitato a prescindere da qualsivoglia esito dell’accertamento relativo alla società, non trattandosi di una conseguenza indiretta del primo ma di accertamenti tra di loro autonomi (Cass 2005/20851;Cass. 2003/16885;).
Ciò precisato, ritiene peraltro, il Tribunale che, nel caso di specie, parte attrice non abbia assolto all’onere probatorio su di lei gravante.
Con specifico riguardo al danno da lei asseritamente patito appare dirimente la circostanza secondo la quale C. G. E. si è limitato a produrre gli avvisi di accertamento di omessa dichiarazione dei redditi e di comminatoria delle relative sanzioni amministrative, senza invece documentare di aver effettivamente corrisposto le somme a lui richieste, ovvero di aver subito procedure esecutive, né, tanto meno ha provato di aver richiesto il pagamento in forma ridotta, come ben possibile, ovvero, di aver impugnato nelle opportune sedi contenziose l’accertamento medesimo fondato su valutazioni presuntive come tali certamente sindacabili .
Ne consegue, pertanto, che l’attore non ha provato quale danno in concreto abbia subito a seguito delle iniziative esposte non potendosi certamente equiparare a prova del danno la semplice richiesta di pagamento da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Se, dunque, già tale valutazione è nel caso di specie suffiente per il rigetto delle domande articolate in atti, si osserva, ancora, per completezza, che C. G. E. neppure ha provato in concreto in cosa sia consistita la condotta colposa o forse a suo avviso dolosa posta in essere dall’amministratore dell’epoca R. R..
Sul punto occorre considerare che la sua difesa non ha prodotto gli accertamenti eseguiti dalla Guardia di Finanza nei confronti della società con la conseguenza che non è stato provato da quali elementi di fatto sia emersa la natura indeducibile dei costi esposti dalla stessa; oltre a ciò si evidenzia che di regola i costi affrontati dalla società vengono esposti e vengono valutati dall’assemblea sociale in sede di approvazione del bilancio e nel caso di specie non avendo l’attore neppur allegato che la società non abbia provveduto a tali incombenti, si deve ritenere che tutti i bilanci siano stati regolarmente esaminati ed approvati anche da lui quale socio di maggioranza della s.r.l.
Né, per una differente valutazione, può avere valore risolutivo la circostanza da questi prospettata secondo la quale R. R. più volte sollecitata si sarebbe costantemente rifiutata nel corso del tempo di consentire al socio l’esame dei documenti contabili della società, determinandosi a presentare le proprie dimissioni nell’ottobre del 2012. Tale circostanza non può essere ritenuta provata sulla base della scelta della convenuta di dimettersi rimanendo socia della s.r.l. ovvero sulla base delle prove orali dedotte, consistite nel solo l’interrogatorio formale della stessa non appena si consideri come esso non sia stato ammesso in quanto relativo a circostanze prive di riferimento temporale, di contenuto valutativo ed assolutamente indeterminate. Si deve, inoltre, considerare come l’attore, nella sua veste di socio, di maggioranza fino al 2010 ben avrebbe potuto utilizzare nell’esercizio dei suoi poteri di controllo e di informazione, i rimedi previsti per ottenere anche coattivamente l’esibizione dei documenti sociali asseritamente a lui mai mostrati dall’amministratore unico.
Da ultimo ai presenti fini pare significativa anche la circostanza secondo la quale C. G. E., piuttosto che determinarsi a contrastare nelle opportune sedi tributarie un accertamento di natura semplicemente induttiva, fondato sul presupposto della base ristretta di partecipazione dei soci alla s.r.l., (all’epoca solo due) in presenza della quale si presume la piena conoscenza e la piena condivisione da parte loro della gestione affidata all’amministratore, (Cass.26428/2010;), presunzione che la stessa Corte di Legittimità precisa essere superabile con la prova contraria da parte del contribuente che dimostri di non aver comunque introitato utile di sorta, (Cass.sez.V, 29 gennaio 2010, 1906; Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia, 7 ottobre 2013; Commissione Tributaria Provinciale di Parma, sentenza n 97 del 2013; ) abbia preferito agire direttamente nei riguardi dell’amministratore dando per provato un nesso causale in realtà non dimostrato.
All’esito delle valutazioni esposte, si impone, pertanto, conclusivamente, il rigetto della domanda articolata in atti.
Non essendosi R. R. costituita nel giudizio, si dichiarano irripetibili le spese processuali.
P.Q.M.
 
IL TRIBUNALE DI PIACENZA definitivamente pronunciando così provvede:
 
RIGETTA
 
le domande articolate da C. G. E. nei confronti di R. R.;
 
DICHIARA
 
irripetibili le spese processuali;
Piacenza, 21 maggio 2015
Il Presidente relatore

05/01/16

Leasing immobiliare sulla prima casa (Legge di Stabilità)



Leasing immobiliare sulla prima casa, come funziona  6 gennaio 2016

La legge di Stabilità ha esteso il leasing immobiliare alle persone fisiche. Le nuove norme si applicano dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2020. Secondo quanto stabilito, con il contratto di leasing immobiliare la banca o l’intermediario si obbligano ad acquistare l'immobile o farlo costruire, su scelta e indicazione del soggetto utilizzatore, a disposizione del quale l’immobile è posto per un dato tempo e verso un corrispettivo che deve tener conto del prezzo di acquisto o di costruzione e della durata del contratto. Alla scadenza del contratto l’utilizzatore ha la facoltà di acquistare la proprietà del bene a un prezzo prestabilito. Vediamo, come riportato su giornali specializzati e qui riassunto, cosa dice la disciplina civilistica e fiscale per la locazione finanziaria di immobili adibiti ad uso abitativo.
Divieto di azione revocatoria fallimentare
All’acquisto dell’immobile oggetto del contratto di leasing immobiliare si applica il divieto di azione revocatoria fallimentare (ai sensi dell'articolo 67, comma 3, lettera a) l.fall.).
Le conseguenze della risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore
In tal caso il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a corrispondere quanto ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene avvenute a valori di mercato, dedotte alcune somme. L’eventuale differenza negativa è corrisposta dall’utilizzatore al concedente.
Obblighi di trasparenza e pubblicità
Sono previsti specifici obblighi di trasparenza e pubblicità per le attività di vendita e ricollocazione del bene. E’ possibile chiedere la sospensione del pagamento dei corrispettivi periodici per non più di una volta e per un periodo massimo complessivo non superiore a dodici mesi nel corso dell’esecuzione del contratto medesimo, con proroga automatica del contratto per il corrispondente periodo; il beneficio della sospensione è subordinato a specifici eventi intervenuti successivamente alla stipula del contratto, in particolare la cessazione del rapporto di lavoro subordinato.
Le modalità di ripresa dei pagamenti al termine della sospensione
La sospensione non comporta l’applicazione di alcuna commissione o spesa di istruttoria ed avviene senza richiesta di garanzie aggiuntive. Si consente all’intermediario, per il rilascio dell’immobile, di agire con il procedimento per convalida di sfratto.
La disciplina fiscale
Sono deducibili a fini Irpef nella misura del 19% i seguenti costi, relativi al contratto di locazione finanziaria: si tratta dei canoni e dei relativi oneri accessori, per un importo non superiore a 8.000 euro, nonché del costo di acquisto dell’immobile all’esercizio dell’opzione finale, per un importo non superiore a 20.000 euro, ove le spese siano sostenute da giovani di età inferiore a 35 anni, con un reddito complessivo non superiore a 55.000 euro all’atto della stipula del contratto di locazione finanziaria e non titolari di diritti di proprietà su immobili a destinazione abitativa. La detrazione spetta alle medesime condizioni previste per la detrazione degli interessi passivi sui mutui contratti per l’abitazione principale.
Per i soggetti di età pari o superiore a 35 anni, ferme restando le altre condizioni richieste con le norme in esame, l’importo massimo detraibile a fini Irpef è dimezzato: al massimo 4.000 euro per i canoni e 10.000 euro per il costo di acquisto.
Le agevolazioni relative all’imposta di registro
Si assoggettano ad imposta di registro in misura proporzionale anche le cessioni, da parte degli utilizzatori, di contratti di locazione finanziaria aventi ad oggetto gli immobili ad uso abitativo (quindi non solo ad uso strumentale), ancorché assoggettati a Iva.
L’imposta si applica nella misura dell’1,5% per gli atti di trasferimento, nei confronti di banche ed intermediari che esercitano attività di leasing finanziario, di abitazioni non di lusso, acquisite in locazione finanziaria a specifiche condizioni (ovvero a quelle previste anche per le agevolazioni sull’acquisto della prima casa).
L’aliquota dell’imposta di registro è pari all’1,5% - e non del 4% come previsto per le cessioni di leasing di beni strumentali - sugli atti relativi alle cessioni, da parte degli utilizzatori, di contratti di locazione finanziaria relativi a immobili “non di lusso”, nei confronti di soggetti per i quali ricorrono le stesse condizioni richieste per le agevolazioni (sempre ai fini delle imposte di registro) per l’acquisto della prima casa, ancorché assoggettati a Iva. Fuori da tali condizioni, gli atti relativi a cessioni di leasing sono soggette a imposta nella misura piena del 9%.

Cassazione Ordinanza 16/7/2015 n. 14995 aliquote agevolate imposta registro

Aliquote agevolate imposta di registro
Cassazione si è espressa sulle aliquote agevolate delle imposte di registro, catastali ed ipotecarie con riferimento ai trasferimenti di beni immobili situati in aree soggette a piani particolareggiati, a condizione che l'utilizzazione edificatoria avvenga entro cinque anni dal trasferimento. Il beneficio di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 33, comma 3, si applica anche nel caso in cui, al momento della registrazione dell'atto di trasferimento, pur sussistendo l'inserimento dell'immobile in un piano particolareggiato, non sia stata ancora stipulata la convenzione attuativa con il Comune, come indicato nella L. n. 350 del 2003, art. 2.
leggi ordinanza del 16 luglio 2015 14995 della cassazione Sezione VI Civile sottosez. T
ha pronunciato la seguente:


Ordinanza 16/7/2015 n. 14995
sul ricorso 1391/2014 proposto da:
X SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del suo liquidatore e legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA.... , presso lo studio dell'avvocato PATRIZIA... , rappresentata e difesa dagli avvocati FRANCESCO.... , RAFFAELE ..... giusta procura a margine del ricorso;
 - ricorrente -
 contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
 - controricorrenti -
avverso la sentenza n. 51/2/2012 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di ANCONA, depositata il 23/11/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/04/2015 dal Consigliere Relatore Dott. X.

Svolgimento del processo - Motivi della decisione
 rilevato che, ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c., è stata depositata in cancelleria la relazione di seguito integralmente trascritta:

"La X. . ricorre contro l'Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n. 51/2/2012 con cui la Commissione Tributaria Regionale delle Marche, confermando la sentenza di primo grado, ha negato il diritto della contribuente di fruire del beneficio di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 33, comma 3, relativamente alle imposte di registro ipotecarie e catastali dovute su un contratto di acquisto di un area edificabile compresa in piani attuativi particolareggiati di iniziativa privata. Secondo la Commissione Tributaria Regionale la contribuente non poteva giovarsi del disposto della L. n. 388 del 2000, art. 33, comma 3, perchè al momento della stipula del contratto di compravendita dell'area non era stata ancor sottoscritta la convenzione di lottizzazione necessaria per poter fruire del predetto beneficio.
In ricorso si fonda su un unico motivo concernente la violazione e la falsa applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 30, e art. 33, comma 3, della L. n. 350 del 2003, art. 2, della L. n. 1150 del 1942, art. 28, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). In base a tali disposizioni, secondo la ricorrente, per la fruizione dell'agevolazione in questione non sarebbe necessario che la stipula della convenzione di lottizzazione preceda l'atto di trasferimento.
L'Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.

Il ricorso appare manifestamente fondato. L'assunto, sul quale si fonda la decisione della sentenza gravata, secondo cui il beneficio fiscale di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 33, comma 3, sarebbe applicabile ai soli trasferimenti di beni immobili avvenuti dopo la sottoscrizione della convenzione di lottizzazione, non può infarti essere condiviso. Tale assunto, pur riscontrabile in un indirizzo minoritario di questa di questa Corte (tra cui oid. n. 22230/2011) risulta contraddetto dalla prevalente giurisprudenza di legittimità, a cui il relatore propone di dare conferma e seguito, che ha chiarito che il beneficio di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 33, comma 3, (che prevede aliquote agevolate delle imposte di registro, catastali ed ipotecarie con riferimento ai trasferimenti di beni immobili situati in aree soggette a piani particolareggiati comunque denominati, a condizione che l'utilizzazione edificatoria avvenga entro cinque anni dal trasferimento) si applica anche nel caso in cui, al momento della registrazione dell'atto di trasferimento, pur sussistendo l'inserimento dell'immobile in un piano particolareggiato, non sia stata ancora stipulata la convenzione attuativa con il Comune, come indicato nella L. n. 350 del 2003, art. 2; sempreché sia rispettato il termine quinquennale per l'utilizzazione edificatoria. Si vedano, in termini, le sentenze nn. 20864/10, 7898/12, 11068/13 e 14732/14, nella quale ultima si chiarisce che il disposto della L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 30, (secondo cui le agevolazioni in questione si applicano, in ogni caso, a seguito della sottoscrizione della convenzione con il soggetto attuatore) non stabilisce che la sottoscrizione della convenzione deve precedere l'atto di disposizione, ma sancisce che comunque la sottoscrizione della convenzione da diritto alla agevolazione.
Si propone l'accoglimento del ricorso e la cassazione con rinvio della sentenza gravata".
che l'Agenzia delle entrate si è costituita; che la relazione è stata notificata alle parti; che non sono state depositate memorie difensive;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide gli argomenti esposti nella relazione;
che, pertanto, si deve accogliere il ricorso e cassare con rinvio la sentenza gravata.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza gravata e rinvia ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale delle Marche, che regolerà anche le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 22 aprile 2015.
Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2015

Agenzia delle Entrate e prescrizione dei crediti

Agenzia delle Entrate e prescrizione dei crediti: cos'è, come funziona e cosa fare Cos'è la prescrizione? La prescrizione è un istit...