05/10/17

Concordato con continuità aziendale incompatibile con l'affitto


Concordato con continuità aziendale incompatibile con l'affitto (Corte d'Appello, Firenze - Sentenza 05/04/2017).

L’ammissibilità dell’affitto d’azienda nell’ambito del concordato preventivo con continuità aziendale è oggetto di un contrasto interpretativo consolidatosi in due filoni interpretativi.
Secondo i fautori della concezione soggettiva, l’affitto d’azienda non è compatibile con il concordato preventivo in continuità aziendale ex art. 186-bis l. fall.
Da un punto di vista letterale, il legislatore all’art. 186 bis non cita tra le circostanze che ammettono la continuità imprenditoriale l’affitto d’azienda. Il concordato con continuità aziendale, inoltre, presuppone l’assunzione del rischio d’impresa in capo ai creditori; rischio del tutto assente nella fattispecie dell’affitto in quanto colui che affitta il complesso aziendale percepisce unicamente canoni periodici. Infine, l’affitto d’azienda non sarebbe ammissibile in tale peculiare fattispecie concordataria, in quanto l’attestazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività implicherebbe che il soddisfacimento dei creditori avvenga attraverso i profitti generati dall’azienda ceduta.
Secondo una differente concezione oggettiva, invece, l’affitto d’azienda preordinato alla successiva compravendita è compatibile con il concordato con continuità aziendale ex art. 186-bis l.fall.

Invero, nell’ambito del procedimento di concordato con continuità, ciò che conta è l’oggettiva prosecuzione dell’attività aziendale, indipendentemente se essa faccia capo direttamente all’imprenditore o indirettamente a un terzo. L’affitto d’azienda va inquadrato nella sua funzionalità rispetto alla futura alienazione, in quanto strumento finalizzato a evitare la perdita di funzionalità del complesso aziendale e dei suoi valori economici.
Tale assunto sarebbe corroborato dalla natura funzionale dell’affitto rispetto alla futura alienazione, in quanto strumento di transito finalizzato a evitare la perdita di funzionalità del complesso aziendale e dei suoi valori economici.
In relazione al caso di specie, la Corte di appello di Firenze ha aderito all’impostazione giurisprudenziale soggettiva alla luce delle peculiari circostanze del caso sottoposto alla sua attenzione.
Più nello specifico, una S.r.l. aveva presentato al Tribunale di Firenze una proposta concordataria calibrata sulla cessione di due immobili destinati ad albergo-ristorante. Al momento della presentazione della domanda, il complesso aziendale era  già gestito in affitto da una terza società nell’ambito di un contratto destinato a concludersi nel 2021, in forza di pregresse scelte imprenditoriali del debitore.
Il giudice di primo grado qualificava detta proposta come concordato “misto” con una componente liquidatoria e una componente di continuità indiretta, in forza del preesistente contratto di affitto.
Dichiarato il fallimento in primo grado, la società - sostenendo la natura esclusivamente liquidatoria, in luogo della natura mista, della proposta concordataria - agiva davanti alla Corte di appello che ne accoglieva le doglianze.
I giudici ritenevano che non fosse condivisibile la natura mista della proposta concordataria, sulla base della mera presunzione del collegamento funzionale dell’affitto d’azienda con la futura cessione.
Ciò in quanto sebbene nel ricorso non fosse esplicitamente menzionata la cessazione dell’attività alberghiera e di ristorazione, quest’ultima era chiaramente deducibile dalla ratio e dal contenuto della proposta in cui si esplicitava la necessità di liquidare gli assets aziendali.
Aderendo alle coordinate della concezione soggettiva, la Corte riteneva che un concordato preventivo non potesse qualificarsi come proposto ai sensi dell’art. 186-bis l.fall. qualora fosse in corso un contratto di affitto di azienda, soprattutto considerando che quest’ultimo era riferibile a una scelta imprenditoriale antecedente alla procedura concordataria.
Invero, tale conclusione sarebbe corroborata non solo dal dato testuale dell’art. 186-bis l. fall. non allude alla fattispecie dell’affitto d’azienda ma, altresì, dall’impossibilità di individuare la garanzia del soddisfacimento del ceto creditorio attraverso i profitti generati dall’impresa ceduta.
Una differente scelta interpretativa - secondo i giudici -  giungerebbe al risultato di sminuire la portata dell’art. 186-bis comma 2 lett. a) nella parte in cui prescrive l’obbligo di indicare i costi e i ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività.

Rif.: Altalex

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