18/02/18

Finanziamento soci: salvo prova contraria, è considerato oneroso e con interessi passivi soggetti a ritenuta

fonte ipsoa
Con l’ordinanza n. 3819, depositata in data 16 febbraio 2018, la Cassazione ha precisato che i finanziamenti dei soci alla società si presumono onerosi, con conseguente necessità dell’applicazione della relativa ritenuta di acconto sugli interessi passivi. Ciò non solo quando la corresponsione di tali interessi sia effettiva, ma anche quando sia solamente presunta. Il contribuente può in ogni caso fornire la prova contraria in merito alla gratuità dell’operazione posta in essere.
L’Ufficio notificava ad una Srl atto impositivo ai fini delle imposte dirette ed Iva, contenenti rilievi, tra l’altro, sull’errata applicazione del c.d. “regime del margine” (trattandosi di rivendita di autoveicoli usati) e sulla contabilizzazione di alcuni interessi passivi, che l’Agenzia ha presunto corrisposti ai soci, che non avevano scontato la prescritta ritenuta d’acconto.
La contribuente impugnava l’atto innanzi alla CTP che però respingeva il ricorso.
L’appello era invece accolto totalmente dalla CTR la quale, in relazione all’obbligo di ritenuta sugli interessi precisava che non vi era prova che i finanziamenti dei soci fossero fruttiferi, mentre per il regime del margine riteneva che la società non avesse il dovere di indagare sulla provenienza del bene e sulle vicende fiscali che ne avevano accompagnato la circolazione.
L’Ufficio ricorreva per Cassazione, censurando tutti i punti della sentenza di secondo grado: con specifico riferimento alla vicenda degli interessi passivi sui finanziamenti dei soci, l’Agenzia riteneva di potersi avvalere della presunzione di onerosità degli stessi con conseguente possibilità di recuperare la relativa ritenuta d’acconto.

La decisione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3819, depositata il 16 febbraio 2018, ha ritenuto fondate le doglianze dell’Amministrazione.
Come già precedentemente statuito dalla giurisprudenza di legittimità, la dimostrazione della mancata percezione di interessi attivi sulle somme concesse a mutuo/finanziamento incombe sul contribuente, atteso il carattere normalmente oneroso di tali operazioni, così come previsto sia dalla disciplina del mutuo (art. 1815 c.c.) che dal TUIR (art. 45).
Ne consegue che la società che ha ricevuto il finanziamento dai propri soci è obbligata ad effettuare la ritenuta d’acconto sugli interessi corrispettivi dovuti (art. 26 DPR 600/1973). Ciò, precisa la Suprema Corte, non solo quando la corresponsione di tali interessi è concretamente avvenuta, ma anche quando la stessa sia soltanto presunta dalla legge.
Nella specie, pertanto, l’Ufficio aveva correttamente applicato la presunzione di onerosità del mutuo: in assenza di prova contraria fornita dalla contribuente, appariva dunque legittima la ripresa a tassazione della ritenuta di acconto non versata.
Anche in riferimento al rilievo sul regime del margine l’operato dell’Agenzia è stato ritenuto corretto, atteso che è il contribuente/cessionario che deve dimostrare la propria buona fede in merito al fatto che il proprio acquisto si iscriveva nell’ambito di una frode Iva. Nella specie la società non aveva usato la necessaria diligenza, non avendo nemmeno verificato la “storia” dei passaggi di proprietà del veicolo in questione: senza necessità di particolari doti investigative, era agevole rendersi conto dell’irregolarità dei passaggi a monte.

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