17/04/20

CORTE SUP. DI CASSAZ. SEZ.I CIV. Sentenza 28/2/2020, n. 5610


Il caso
La sentenza in esame, trae origine dalle richieste di un correntista, il quale aveva citato in giudizio il proprio Istituto di credito, chiedendone la condanna alla restituzione delle somme indebitamente percepite con l’applicazione di interessi debitori ultra-legali la cui misura non era stata concordata per iscritto, la capitalizzazione trimestrale e la commissione di massimo scoperto non pattuita. La Banca convenuta, aveva chiesto il rigetto della domanda, eccependo la decadenza per mancata contestazione degli estratti conto, l'irripetibilità del pagamento degli interessi in misura ultra-legali, quali obbligazioni naturali, la prescrizione decennale.

Il Giudice di prime cure aveva accolto la domanda con riferimento agli interessi ultra-legali ed all'anatocismo, condannando la Banca convenuta a pagare oltre interessi e spese. Avverso tale sentenza il cliente aveva proposto appello a cui ha resistito la Banca appellata, proponendo appello incidentale. La Corte territoriale, aveva rigettato gli appelli presentati da entrambe le parti, rideterminando anche l'importo dell'indebito; gli eredi dell’appellante principale, nel frattempo deceduto, hanno proposto ricorso per cassazione.

La sentenza
Con il primo motivo, sollevato ex art. 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti hanno denunciato la violazione o falsa applicazione di legge in relazione sia all'art. 2697 c.c., comma 2, che all'eccezione di prescrizione sollevata dalla Banca. In particolare, hanno rilevato che non gravava sugli stessi ricorrenti l’onere di provare l'esistenza di un contratto di apertura di credito e la natura ripristinatoria delle rimesse, bensì spettava alla Banca dover dimostrare i presupposti dell’eccezione di prescrizione, sollevata dalla convenuta, dunque la conseguente, asserita inesistenza di una apertura di credito e la natura solutoria delle rimesse.

A tal proposito, la Suprema Corte ha richiamato la sentenza n. 24418 del 2010, secondo cui la prescrizione del diritto alla restituzione ha una differente decorrenza a seconda del versamento effettuato, di tipo solutorio o ripristinatorio. In merito a ciò, era sorta la questione se, nel formulare l'eccezione di prescrizione, la banca dovesse necessariamente indicare il termine iniziale del decorso della prescrizione, e cioè l'esistenza di singoli versamenti solutori, a partire dai quali l'inerzia del titolare del diritto poteva venire in rilievo, oppure potesse limitarsi ad opporre tale inerzia, spettando poi al giudice verificarne effettività e durata, in base alla norma applicabile al caso concreto.

Da tali considerazioni è scaturito un contrasto giurisprudenziale fra opposti indirizzi, solo di recente risolto dalla sentenza n. 15895 del 13/06/2019 delle Sezioni Unite della Cassazione, che hanno stabilito che, in tema di prescrizione estintiva, l'onere di allegazione gravante sull'istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l'eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l'azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da apertura di credito, è soddisfatto con l'affermazione dell'inerzia del titolare del diritto, senza l'indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte. Ad avviso delle Sezioni Unite, va distinto l’onere di allegazione del convenuto a seconda che si sia in presenza di eccezioni in senso stretto, o eccezioni in senso lato: nel primo caso, i fatti estintivi, modificativi o impeditivi, possono esser introdotti nel processo solo dalla parte, mentre nel secondo sussiste il potere-dovere di rilievo da parte dell’ufficio.

Orbene, l’onere di allegazione va distinto dall’onere della prova, in quanto il primo riguarda la delimitazione del thema decidendum mentre il secondo, costituisce per il giudice regola di definizione del processo; pertanto, l’aver assolto all’onere di allegazione non vuol dire aver proposto una domanda o un’eccezione fondata, in quanto poi l’allegazione va provata dalla parte cui, per legge, incombe il relativo onere, e le risultanze probatorie devono poi esser valutate, in fatto e in diritto, dal giudice.

Tra l’altro, le Sezioni Unite, con la sentenza n. 10955 del 2002, avevano chiarito che, l’elemento costitutivo della prescrizione estintiva, è l'inerzia del titolare del diritto fatto valere in giudizio, mentre la determinazione della durata di detta inerzia, necessaria per il verificarsi dell'effetto estintivo, è come una quaestio iuris riguardante l'identificazione del diritto e del regime prescrizionale previsto dalla legge; riservando alla parte la possibilità di sollevare l'eccezione - implica che ad essa sia fatto onere soltanto di allegare tale elemento costitutivo e di manifestare la volontà di profittare di quell'effetto, e non anche di indicare direttamente o indirettamente, le norme applicabili, la cui identificazione spetta solo al giudice. Pertanto, in tema di onere di allegazione, in generale, e di onere di allegazione riferito all’eccezione di prescrizione, non spetta alla banca indicare il dies a quo del decorso della prescrizione; in effetti, l'elemento qualificante dell'eccezione di prescrizione è l'allegazione dell'inerzia del titolare del diritto, che costituisce, l’elemento principale, al quale la legge collega l’effetto estintivo.

In conclusione, non è la banca a dover provare l’inesistenza di apertura di credito, o la natura solutoria delle rimesse, essendo sufficiente alla medesima, eccepire il decorso del tempo e far valere la prescrizione dall'annotazione delle singole rimesse.

Con la seconda parte del motivo di censura formulato nel ricorso, i ricorrenti avevano rilevato che, per provare la stipulazione di un contratto bancario di apertura di credito risalente al 1990, non era necessaria la forma scritta.

A tal riguardo, la Cassazione ha precisato che, l'obbligo della forma scritta per i contratti relativi alle operazioni ed ai servizi bancari è stato stabilito dalla L. n. 154 del 1992, art. 3, e prima della sua entrata in vigore, il contratto di apertura di credito veniva considerato un contratto a forma libera, suscettibile di conclusione anche per fatti concludenti.

Tuttavia, i ricorrenti non hanno contrastato l'affermazione della Corte di merito che ha escluso che con l'atto di appello, con cui si era limitato ad affermare l'esistenza di una "apertura di credito rotativa", il loro dante causa, l'originario attore ed appellante, avesse tempestivamente dedotto gli elementi sulla base dei quali era stata solo successivamente argomentata criticamente negli scritti conclusionali l'esistenza dell'affidamento in conto corrente. Pertanto, la Cassazione ha ritenuto infondata anche tale censura.

Ulteriore denuncia mossa dagli istanti, riguardava la violazione dell'art. 111 Cost. e art. 101 c.p.c. e dei principi del giusto processo, nonché degli artt. 61, 101 e 191 c.p.c., nonché vizio di ultra-petizione e violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c., con conseguente nullità della sentenza anche in relazione all'art. 132 c.p.c., n. 4.

La Suprema Corte ha rilevato che i ricorrenti non hanno confutato la esplicita motivazione sul punto offerta dalla Corte distrettuale, secondo la quale non si era verificata alcuna violazione del principio del contraddittorio e nessuna missione esplorativa poteva essere rimproverata alla disposizione della consulenza tecnica, diretta a ricercare elementi a favore della tesi attorea dell'esistenza di un rapporto di affidamento in atto sul conto corrente.

Alla luce delle suesposte argomentazioni, la Cassazione ha rigettato il ricorso e condannato i ricorrenti al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente.

(fonte Altalex quotidiano d'informazione giuridica)

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