Il caso
La sentenza in esame, trae origine dalle richieste di un correntista,
il quale aveva citato in giudizio il proprio Istituto di credito, chiedendone
la condanna alla restituzione delle somme indebitamente percepite con
l’applicazione di interessi debitori ultra-legali la cui misura non era stata
concordata per iscritto, la capitalizzazione trimestrale e la commissione di
massimo scoperto non pattuita. La Banca convenuta, aveva chiesto il rigetto
della domanda, eccependo la decadenza per mancata contestazione degli estratti
conto, l'irripetibilità del pagamento degli interessi in misura ultra-legali,
quali obbligazioni naturali, la prescrizione decennale.
Il Giudice di prime cure aveva accolto la domanda con riferimento agli
interessi ultra-legali ed all'anatocismo, condannando la Banca convenuta a
pagare oltre interessi e spese. Avverso tale sentenza il cliente aveva proposto
appello a cui ha resistito la Banca appellata, proponendo appello incidentale.
La Corte territoriale, aveva rigettato gli appelli presentati da entrambe le
parti, rideterminando anche l'importo dell'indebito; gli eredi dell’appellante
principale, nel frattempo deceduto, hanno proposto ricorso per cassazione.
La sentenza
Con il primo motivo, sollevato ex art. 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti
hanno denunciato la violazione o falsa applicazione di legge in relazione sia
all'art. 2697 c.c., comma 2, che all'eccezione di prescrizione sollevata dalla
Banca. In particolare, hanno rilevato che non gravava sugli stessi ricorrenti
l’onere di provare l'esistenza di un contratto di apertura di credito e la
natura ripristinatoria delle rimesse, bensì spettava alla Banca dover
dimostrare i presupposti dell’eccezione di prescrizione, sollevata dalla
convenuta, dunque la conseguente, asserita inesistenza di una apertura di
credito e la natura solutoria delle rimesse.
A tal proposito, la Suprema Corte ha richiamato la sentenza n. 24418
del 2010, secondo cui la prescrizione del diritto alla restituzione ha una
differente decorrenza a seconda del versamento effettuato, di tipo solutorio o
ripristinatorio. In merito a ciò, era sorta la questione se, nel formulare
l'eccezione di prescrizione, la banca dovesse necessariamente indicare il
termine iniziale del decorso della prescrizione, e cioè l'esistenza di singoli
versamenti solutori, a partire dai quali l'inerzia del titolare del diritto
poteva venire in rilievo, oppure potesse limitarsi ad opporre tale inerzia,
spettando poi al giudice verificarne effettività e durata, in base alla norma
applicabile al caso concreto.
Da tali considerazioni è scaturito un contrasto giurisprudenziale fra
opposti indirizzi, solo di recente risolto dalla sentenza n. 15895 del 13/06/2019
delle Sezioni Unite della Cassazione, che hanno stabilito che, in tema di
prescrizione estintiva, l'onere di allegazione gravante sull'istituto di
credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l'eccezione di prescrizione
al correntista che abbia esperito l'azione di ripetizione di somme
indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da
apertura di credito, è soddisfatto con l'affermazione dell'inerzia del titolare
del diritto, senza l'indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute
prescritte. Ad avviso delle Sezioni Unite, va distinto l’onere di allegazione
del convenuto a seconda che si sia in presenza di eccezioni in senso stretto, o
eccezioni in senso lato: nel primo caso, i fatti estintivi, modificativi o impeditivi,
possono esser introdotti nel processo solo dalla parte, mentre nel secondo
sussiste il potere-dovere di rilievo da parte dell’ufficio.
Orbene, l’onere di allegazione va distinto dall’onere della prova, in
quanto il primo riguarda la delimitazione del thema decidendum mentre il
secondo, costituisce per il giudice regola di definizione del processo;
pertanto, l’aver assolto all’onere di allegazione non vuol dire aver proposto
una domanda o un’eccezione fondata, in quanto poi l’allegazione va provata
dalla parte cui, per legge, incombe il relativo onere, e le risultanze
probatorie devono poi esser valutate, in fatto e in diritto, dal giudice.
Tra l’altro, le Sezioni Unite, con la sentenza n. 10955 del 2002,
avevano chiarito che, l’elemento costitutivo della prescrizione estintiva, è
l'inerzia del titolare del diritto fatto valere in giudizio, mentre la
determinazione della durata di detta inerzia, necessaria per il verificarsi
dell'effetto estintivo, è come una quaestio iuris riguardante l'identificazione
del diritto e del regime prescrizionale previsto dalla legge; riservando alla
parte la possibilità di sollevare l'eccezione - implica che ad essa sia fatto
onere soltanto di allegare tale elemento costitutivo e di manifestare la
volontà di profittare di quell'effetto, e non anche di indicare direttamente o
indirettamente, le norme applicabili, la cui identificazione spetta solo al
giudice. Pertanto, in tema di onere di allegazione, in generale, e di onere di
allegazione riferito all’eccezione di prescrizione, non spetta alla banca
indicare il dies a quo del decorso della prescrizione; in effetti, l'elemento
qualificante dell'eccezione di prescrizione è l'allegazione dell'inerzia del
titolare del diritto, che costituisce, l’elemento principale, al quale la legge
collega l’effetto estintivo.
In conclusione, non è la banca a dover provare l’inesistenza di
apertura di credito, o la natura solutoria delle rimesse, essendo sufficiente
alla medesima, eccepire il decorso del tempo e far valere la prescrizione dall'annotazione
delle singole rimesse.
Con la seconda parte del motivo di censura formulato nel ricorso, i
ricorrenti avevano rilevato che, per provare la stipulazione di un contratto
bancario di apertura di credito risalente al 1990, non era necessaria la forma
scritta.
A tal riguardo, la Cassazione ha precisato che, l'obbligo della forma
scritta per i contratti relativi alle operazioni ed ai servizi bancari è stato
stabilito dalla L. n. 154 del 1992, art. 3, e prima della sua entrata in
vigore, il contratto di apertura di credito veniva considerato un contratto a
forma libera, suscettibile di conclusione anche per fatti concludenti.
Tuttavia, i ricorrenti non hanno contrastato l'affermazione della Corte
di merito che ha escluso che con l'atto di appello, con cui si era limitato ad
affermare l'esistenza di una "apertura di credito rotativa", il loro
dante causa, l'originario attore ed appellante, avesse tempestivamente dedotto
gli elementi sulla base dei quali era stata solo successivamente argomentata criticamente
negli scritti conclusionali l'esistenza dell'affidamento in conto corrente.
Pertanto, la Cassazione ha ritenuto infondata anche tale censura.
Ulteriore denuncia mossa dagli istanti, riguardava la violazione
dell'art. 111 Cost. e art. 101 c.p.c. e dei principi del giusto processo,
nonché degli artt. 61, 101 e 191 c.p.c., nonché vizio di ultra-petizione e
violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c., con conseguente nullità della sentenza
anche in relazione all'art. 132 c.p.c., n. 4.
La Suprema Corte ha rilevato che i ricorrenti non hanno confutato la
esplicita motivazione sul punto offerta dalla Corte distrettuale, secondo la
quale non si era verificata alcuna violazione del principio del contraddittorio
e nessuna missione esplorativa poteva essere rimproverata alla disposizione
della consulenza tecnica, diretta a ricercare elementi a favore della tesi
attorea dell'esistenza di un rapporto di affidamento in atto sul conto
corrente.
Alla luce delle suesposte argomentazioni, la Cassazione ha rigettato il
ricorso e condannato i ricorrenti al pagamento delle spese di lite in favore
della controricorrente.
(fonte Altalex quotidiano d'informazione giuridica)Per chi desidera la sentenza la possiamo inviare via e-mail rilasciando un indirizzo.