Tribunale di Piacenza
Sentenza n. 414 del 25 maggio 2015
C. G. E.
( avv. V. Bardugoni del Foro di Piacenza) contro R. R. contumace
FATTO E DIRITTO
Con atto di citazione ritualmente notificato C. G. E., dopo aver premesso di essere socio per una quota del valore di euro 12.000,00 della società X. Costruzioni s.r.l., con sede legale in Casalpusterlengo (LO), della quale era all’epoca a sua volta socia R. R., titolare di una quota di euro 26.000,00, nonché C. D., per una quota del valore di euro 12.000,00, esponeva che la socia di maggioranza , odierna convenuta, aveva ricoperto la carica di amministratore unico della società a far tempo dalla data del 2 giugno 2007 fino al 25 ottobre 2012. Assumeva, quindi, che, a seguito di accertamento fiscale al quale era stata sottoposta la società nel 2010, in data 14 agosto 2012 gli erano stati notificati dall’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Piacenza, Ufficio Controlli, tre avvisi di accertamento relativi agli anni 2007, 2008 e 2009.
In essi l’Agenzia, avendo rilevato che negli anni di riferimento la società aveva esposto costi indeducibili, aveva contestato ai soci la percezione di un reddito di capitale non dichiarato computato in misura percentuale, a titolo di utili extra bilancio, in considerazione della ristretta base partecipativa della società che, all’epoca, risultava costituita solo da due soci.
All’esito di tali prospettazioni C. G. E. esponeva che, poiché, in realtà, negli anni in questione la società non aveva mai distribuito utili di sorta ai soci, con la conseguenza che l’attore non aveva percepito alcun reddito da dichiarare, le conseguenze di natura economica a lui derivanti dagli accertamenti indicati dovevano essere addebitate all’amministratore unico dell’epoca, R. R., la quale, agendo con assoluta autonomia, non aveva mai informato i soci dell’andamento degli accertamenti subiti dalla società né, tanto meno, aveva mai messo a loro disposizione tutti i documenti contabili e i libri sociali della stessa nonostante le reiterate richieste dei soci, in palese violazione degli obblighi di diligenza e di correttezza esistenti a carico dell’amministratore di una società di capitali.
A conferma di ciò l’attore evidenziava come, all’esito dell’assemblea sociale tenutasi in data 25 ottobre 2012, la convenuta, avesse rassegnato le proprie dimissioni non avendo saputo fornire giustificazione di sorta del suo operato.
Sulla base di tali prospettazioni C. G. E. assumeva che, con specifico riguardo alla vicenda in esame, sussistevano tutti i presupposti di legge per richiedere la condanna dell’amministratore a risarcire tutti i danni da lui direttamente subiti nella sua qualità di socio , quantificati nella somma degli importi induttivamente accertati a suo carico dall’Agenzia delle Entrate a titolo di reddito non dichiarato, ai sensi della previsione di cui all’art 2476 comma VI c.c.
Nel giudizio la convenuta non si costituiva. Non ammesse dal G.I. le prove orali dedotte dall’attore, all’udienza del giorno 10 marzo 2015 la sua difesa precisava le conclusioni e il G.I., concessi i termini di legge per il deposito della comparsa conclusionale, tratteneva la causa per la decisione collegiale.
All’esito del procedimento ritiene il Tribunale di dover, in primo luogo, sulla base della documentazione prodotta, ricostruire le vicende sociali della società X. Costruzioni s.r.l.
In data 1° marzo 2006 veniva costituita la società in esame che iniziava ad operare dal 23 maggio 2007. Dalla costituzione fino al 2009 risultano essere stati suoi soci C. G. E., per la quota di euro 45.000,00, e C. D., per la quota minoritaria di euro 5.000,00.
Amministratore unico della società, verosimilmente, dalla data di costituzione, fino al 27 giugno 2007 (doc 2 attore) veniva nominato lo stesso socio di maggioranza, mentre, come da verbale dell’assemblea tenutasi in tale data, a far tempo da essa, pur permanendo l’intero capitale sociale in capo ai medesimi due soci iniziali, con percentuali invariate, veniva nominato nuovo amministratore unico R. R., soggetto estraneo alla compagine societaria, alla quale venivano attribuiti “ tutti i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione con facoltà di compiere tutti gli atti ritenuti opportuni per l’attuazione e il raggiungimento degli scopi sociali, esclusi soltanto quelli che la legge riserva in modo inderogabile alla decisione dei soci”.
In epoca successiva, forse dal 21 giugno 2012 , (pagina 6 della visura in atti) non meglio individuabile sulla base dei documenti prodotti, interveniva tra i soci una modifica nella suddivisione delle quote sociali dal momento che, come attestato dal verbale di assemblea del 25 ottobre 2012 (doc 3 attore), risulta che a tale data erano soci della X. Costruzioni s.r.l. C. G. E., per la quota non più di 45.000,00 euro, ma per la quota minore di euro 12.000,00, C. D., non più per la quota di 5.000,00 euro, ma per quella maggiore di euro 12.000,00 e, quale nuovo socio, R. R., per la quota di euro 26.000,00 all’evidenza a lei ceduta dal socio di maggioranza C. G. E..
A far tempo da tale data, a seguito di espressa richiesta dei soci di minoranza, l’amministratore unico rassegnava le proprie dimissioni; assumeva successivamente la carica di Amministratore unico nuovamente l’attore fino alla data del giorno 11 aprile 2013 quando il Tribunale di Piacenza dichiarava il fallimento della società (doc 7 attore).
Sempre dai documenti prodotti risulta, ancora, che, all’esito di accesso della Guardia di Finanza presso la società, intervenuto nel corso del 2010, quando era amministratore unico la convenuta e soci l’attore e C. D., veniva accertata, in via induttiva, a carico della società, l’esposizione di costi non deducibili relativi all’anno 2007, pari ad euro 912.180,00, per l’anno 2008, pari ad euro 935.771,00 e per l’anno 2009, pari ad euro 437.660,00.
Sul punto pare opportuno evidenziare come negli avvisi di accertamento notificati all’attore quale socio di maggioranza con riferimento a tali anni, l’Ufficio avesse chiaramente precisato come le contestazioni a lui mosse traessero origine, in punto di fatto, dalle indagini svolte a carico della società secondo le modalità descritte nei relativi avvisi di accertamento a lei diretti e richiamati per relazione in quelli notificati al socio, il quale peraltro non risulta averli prodotti in giudizio.
Con specifico riferimento, quindi, agli avvisi di accertamenti a lui tutti contestualmente notificati in data 14 agosto 2012, dopo che alla società erano stati notificati autonomi avvisi di accertamento in data 4 luglio 2012, si evidenzia ancora, che, in virtù di un ragionamento induttivo e presuntivo, l’Agenzia delle Entrate contestava , attesa la quantificazione di costi indeducibili, l’esistenza pro quota, avendo la società all’epoca una ristretta base di partecipazione societaria, ridotta solo a due soci, uno dei quali, l’attore in misura pari al 95%, la percezione di redditi da impresa mai dichiarati, non avendo il socio presentato dichiarazione dei redditi delle persone fisiche e, sulla base di tale assunto, determinava le sanzioni amministrative irrogabili all’attore per tali omissioni, in misura complessiva, con riferimento ai tre anni di riferimento e tenuto conto dei limiti del cumulo giuridico, in euro 556..195,67 importo che il contribuente avrebbe anche potuto corrispondere, in mancanza di sua opposizione da esercitare nei termini indicati negli stessi avvisi, nelle opportune sedi, anche in via notevolmente ridotta ovvero in forma rateizzata.
Così ricostruita la fattispecie in punto di fatto, ne consegue, lasciando per un momento impregiudicata ogni ulteriore valutazione con riferimento alla sussistenza nel caso di specie dei presupposti per l’applicazione della previsione di cui all’art 2476 comma VI c.c., come certamente il tema del contendere, anche nell’ipotesi più favorevole all’attore, debba essere circoscritto esclusivamente agli importi a lui richiesti a titolo di sanzione amministrativa per le omissioni a lui addebitate e non certamente, come invece prospettato, alla somma degli importi da reddito non dichiarato come quantificato in atto introduttivo.
Tanto precisato, si rileva, quindi, che, secondo la previsione invocata dalla sua difesa e secondo la costante giurisprudenza di Legittimità formatasi in tema, sussiste una assoluta identità tra la disposizione di cui all’art 2476 comma VI c.c. e quella di cui all’art 2395 c.c. nella parte in cui fa salvo il diritto del singolo socio di agire direttamente contro l’amministratore della società che abbia causato a lui un danno immediato e diretto.
In particolare si è affermato che “ in tema di azioni nei confronti dell’amministratore di società, a norma dell’art 2395 c.c., il terzo o il socio è legittimato, anche dopo il fallimento, della società all’esperimento dell’azione di natura aquiliana per ottenere il risarcimento dei danni subiti nella propria sfera individuale, in conseguenza di atti dolosi o colposi compiuti dall’amministratore, solo se questi siano conseguenza immediata e diretta del comportamento denunciato e non il mero riflesso del pregiudizio che abbia colpito l’ente, ovvero il ceto creditorio per effetto della cattiva gestione, dovendosi proporre, altrimenti, l’azione contrattuale di cui all’art 2394 c.c. esperibile in caso di fallimento della società, dal curatore , ai sensi dell’art 146 della Legge Fallimentare“ (Cass.sez.I, 10 aprile 2014, 8458; ).
Ed, ancora, si è ribadito che “i soci di una società di capitali non hanno titolo al risarcimento dei danni che costituiscano mero riflesso del pregiudizio arrecato da terzi alla società, in quanto siano una mera porzione di quello stesso danno subito dalla società e risarcibile in favore della stessa, con conseguente reintegrazione indiretta a favore del socio; pertanto, un danno non può considerarsi giuridicamente riflesso quando tale possibilità non sussista, come per i danni arrecati alla sfera personale del socio (diritto all’onore o alla reputazione) o per taluni danni patrimoniali come quelli derivanti dalla perdita di opportunità personali, economiche e lavorative, o dalla riduzione del cosiddetto merito creditizio, i quali vanno risarciti al socio dal terzo responsabile “ (Cass. sez. I, 11 dicembre 2013, 27733; Cass. sez. III, 22 marzo 2012, 4548; Cass. sez. III, 22 marzo 2011, 6558; Cass. sez. I, 23 giugno 2010, 15220;).
Ne consegue che, attesa la natura indubbiamente aquiliana dell’azione di cui all’art 2395 c.c. ovvero, quanto alle società a responsabilità limitata, di cui all’art 2476 comma VI c.c., connotata da profili di specialità rispetto alla previsione generale dell’art 2043 c.c., in considerazione della qualità del soggetto danneggiato e della qualità del soggetto danneggiante, grava sull’attore fornire rigoR. prova sia del danno concretamente subito, sia della natura colposa o addirittura dolosa della condotta dell’amministratore, sia del nesso causale esistente tra condotta ed evento, dal momento che, altrimenti, qualora il danno prospettato risulti essere mera conseguenza riflessa del danno patito dalla società certamente si esce dalla previsione invocata .
Nel caso di specie tale puntualizzazione appare ancor più rilevante non appena si consideri come, essendo intervenuto nelle more il fallimento, in presenza di un danno meramente indiretto, ogni ulteriore azione dovrebbe essere esercitata in ipotesi dal Curatore fallimentare.
Tanto precisato, ritiene il Tribunale che nel caso di specie sia astrattamente configurabile un danno diretto al patrimonio del socio qualora il comportamento colposo dell’amministratore unico, che abbia esposto nella gestione della società costi effettivamente indeducibili abbia determinato a carico del singolo socio l’applicazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, di sanzioni per redditi d’impresa percepiti e non dichiarati . derivando da tale condotta un danno diretto al patrimonio del socio chiamato a corrispondere tale somme per la propria omessa dichiarazione di redditi (in termini Tribunale di Napoli, 7 novembre 2013 in wwwilcaso.it con riferimento ad una ipotesi nella quale il singolo socio lamentava di aver patito accertamenti dall’Erario a seguito di omesse denuncie di entrate derivanti dalla sua partecipazione sociale,accertate a seguito di indagini svolte dall’Agenzia delle Entrate nei confronti della stessa società).
In tale ipotesi, invero, il socio non lamenta di aver subito una quota del danno a sua volta patito della società, circostanza che attesterebbe la natura riflessa del danno prospettato, ma lamenta un danno personale al proprio patrimonio avendogli l’Ente richiesto, in considerazione della ristretta base partecipativa della società all’epoca, il pagamento di una sanzione per un reddito che avrebbe effettivamente percepito, incamerato personalmente e consapevolmente, in quanto socio di maggioranza, e che non avrebbe, peraltro, dichiarato.
Sul punto si deve, infatti, considerare, come anche evidenziato negli accertamenti in contestazione, come il contribuente ben possa contestare quanto a lui addebitato a prescindere da qualsivoglia esito dell’accertamento relativo alla società, non trattandosi di una conseguenza indiretta del primo ma di accertamenti tra di loro autonomi (Cass 2005/20851;Cass. 2003/16885;).
Ciò precisato, ritiene peraltro, il Tribunale che, nel caso di specie, parte attrice non abbia assolto all’onere probatorio su di lei gravante.
Con specifico riguardo al danno da lei asseritamente patito appare dirimente la circostanza secondo la quale C. G. E. si è limitato a produrre gli avvisi di accertamento di omessa dichiarazione dei redditi e di comminatoria delle relative sanzioni amministrative, senza invece documentare di aver effettivamente corrisposto le somme a lui richieste, ovvero di aver subito procedure esecutive, né, tanto meno ha provato di aver richiesto il pagamento in forma ridotta, come ben possibile, ovvero, di aver impugnato nelle opportune sedi contenziose l’accertamento medesimo fondato su valutazioni presuntive come tali certamente sindacabili .
Ne consegue, pertanto, che l’attore non ha provato quale danno in concreto abbia subito a seguito delle iniziative esposte non potendosi certamente equiparare a prova del danno la semplice richiesta di pagamento da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Se, dunque, già tale valutazione è nel caso di specie suffiente per il rigetto delle domande articolate in atti, si osserva, ancora, per completezza, che C. G. E. neppure ha provato in concreto in cosa sia consistita la condotta colposa o forse a suo avviso dolosa posta in essere dall’amministratore dell’epoca R. R..
Sul punto occorre considerare che la sua difesa non ha prodotto gli accertamenti eseguiti dalla Guardia di Finanza nei confronti della società con la conseguenza che non è stato provato da quali elementi di fatto sia emersa la natura indeducibile dei costi esposti dalla stessa; oltre a ciò si evidenzia che di regola i costi affrontati dalla società vengono esposti e vengono valutati dall’assemblea sociale in sede di approvazione del bilancio e nel caso di specie non avendo l’attore neppur allegato che la società non abbia provveduto a tali incombenti, si deve ritenere che tutti i bilanci siano stati regolarmente esaminati ed approvati anche da lui quale socio di maggioranza della s.r.l.
Né, per una differente valutazione, può avere valore risolutivo la circostanza da questi prospettata secondo la quale R. R. più volte sollecitata si sarebbe costantemente rifiutata nel corso del tempo di consentire al socio l’esame dei documenti contabili della società, determinandosi a presentare le proprie dimissioni nell’ottobre del 2012. Tale circostanza non può essere ritenuta provata sulla base della scelta della convenuta di dimettersi rimanendo socia della s.r.l. ovvero sulla base delle prove orali dedotte, consistite nel solo l’interrogatorio formale della stessa non appena si consideri come esso non sia stato ammesso in quanto relativo a circostanze prive di riferimento temporale, di contenuto valutativo ed assolutamente indeterminate. Si deve, inoltre, considerare come l’attore, nella sua veste di socio, di maggioranza fino al 2010 ben avrebbe potuto utilizzare nell’esercizio dei suoi poteri di controllo e di informazione, i rimedi previsti per ottenere anche coattivamente l’esibizione dei documenti sociali asseritamente a lui mai mostrati dall’amministratore unico.
Da ultimo ai presenti fini pare significativa anche la circostanza secondo la quale C. G. E., piuttosto che determinarsi a contrastare nelle opportune sedi tributarie un accertamento di natura semplicemente induttiva, fondato sul presupposto della base ristretta di partecipazione dei soci alla s.r.l., (all’epoca solo due) in presenza della quale si presume la piena conoscenza e la piena condivisione da parte loro della gestione affidata all’amministratore, (Cass.26428/2010;), presunzione che la stessa Corte di Legittimità precisa essere superabile con la prova contraria da parte del contribuente che dimostri di non aver comunque introitato utile di sorta, (Cass.sez.V, 29 gennaio 2010, 1906; Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia, 7 ottobre 2013; Commissione Tributaria Provinciale di Parma, sentenza n 97 del 2013; ) abbia preferito agire direttamente nei riguardi dell’amministratore dando per provato un nesso causale in realtà non dimostrato.
All’esito delle valutazioni esposte, si impone, pertanto, conclusivamente, il rigetto della domanda articolata in atti.
Non essendosi R. R. costituita nel giudizio, si dichiarano irripetibili le spese processuali.
P.Q.M.
RIGETTA
DICHIARA
Piacenza, 21 maggio 2015
Il Presidente relatore