09/01/16

Societario: sulla responsabilita' dell'amministratore unico di una S.r.l.

Societario: sulla responsabilita' dell'amministratore unico di una S.r.l.

Tribunale di Piacenza
Sentenza
n. 414 del 25 maggio 2015 
C. G. E.
( avv. V. Bardugoni del Foro di Piacenza) contro R. R. contumace
FATTO E DIRITTO
Con atto di citazione ritualmente notificato C. G. E., dopo aver premesso di essere socio per una quota del valore di euro 12.000,00 della società X. Costruzioni s.r.l., con sede legale in Casalpusterlengo (LO), della quale era all’epoca a sua volta socia R. R., titolare di una quota di euro 26.000,00, nonché C. D., per una quota del valore di euro 12.000,00, esponeva che la socia di maggioranza , odierna convenuta, aveva ricoperto la carica di amministratore unico della società a far tempo dalla data del 2 giugno 2007 fino al 25 ottobre 2012.
Assumeva, quindi, che, a seguito di accertamento fiscale al quale era stata sottoposta la società nel 2010, in data 14 agosto 2012 gli erano stati notificati dall’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Piacenza, Ufficio Controlli, tre avvisi di accertamento relativi agli anni 2007, 2008 e 2009.
In essi l’Agenzia, avendo rilevato che negli anni di riferimento la società aveva esposto costi indeducibili, aveva contestato ai soci la percezione di un reddito di capitale non dichiarato computato in misura percentuale, a titolo di utili extra bilancio, in considerazione della ristretta base partecipativa della società che, all’epoca, risultava costituita solo da due soci.
All’esito di tali prospettazioni C. G. E. esponeva che, poiché, in realtà, negli anni in questione la società non aveva mai distribuito utili di sorta ai soci, con la conseguenza che l’attore non aveva percepito alcun reddito da dichiarare, le conseguenze di natura economica a lui derivanti dagli accertamenti indicati dovevano essere addebitate all’amministratore unico dell’epoca, R. R., la quale, agendo con assoluta autonomia, non aveva mai informato i soci dell’andamento degli accertamenti subiti dalla società né, tanto meno, aveva mai messo a loro disposizione tutti i documenti contabili e i libri sociali della stessa nonostante le reiterate richieste dei soci, in palese violazione degli obblighi di diligenza e di correttezza esistenti a carico dell’amministratore di una società di capitali.
A conferma di ciò l’attore evidenziava come, all’esito dell’assemblea sociale tenutasi in data 25 ottobre 2012, la convenuta, avesse rassegnato le proprie dimissioni non avendo saputo fornire giustificazione di sorta del suo operato.
Sulla base di tali prospettazioni C. G. E. assumeva che, con specifico riguardo alla vicenda in esame, sussistevano tutti i presupposti di legge per richiedere la condanna dell’amministratore a risarcire tutti i danni da lui direttamente subiti nella sua qualità di socio , quantificati nella somma degli importi induttivamente accertati a suo carico dall’Agenzia delle Entrate a titolo di reddito non dichiarato, ai sensi della previsione di cui all’art 2476 comma VI c.c.
Nel giudizio la convenuta non si costituiva. Non ammesse dal G.I. le prove orali dedotte dall’attore, all’udienza del giorno 10 marzo 2015 la sua difesa precisava le conclusioni e il G.I., concessi i termini di legge per il deposito della comparsa conclusionale, tratteneva la causa per la decisione collegiale.
All’esito del procedimento ritiene il Tribunale di dover, in primo luogo, sulla base della documentazione prodotta, ricostruire le vicende sociali della società X. Costruzioni s.r.l.
In data 1° marzo 2006 veniva costituita la società in esame che iniziava ad operare dal 23 maggio 2007. Dalla costituzione fino al 2009 risultano essere stati suoi soci C. G. E., per la quota di euro 45.000,00, e C. D., per la quota minoritaria di euro 5.000,00.
Amministratore unico della società, verosimilmente, dalla data di costituzione, fino al 27 giugno 2007 (doc 2 attore) veniva nominato lo stesso socio di maggioranza, mentre, come da verbale dell’assemblea tenutasi in tale data, a far tempo da essa, pur permanendo l’intero capitale sociale in capo ai medesimi due soci iniziali, con percentuali invariate, veniva nominato nuovo amministratore unico R. R., soggetto estraneo alla compagine societaria, alla quale venivano attribuiti “ tutti i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione con facoltà di compiere tutti gli atti ritenuti opportuni per l’attuazione e il raggiungimento degli scopi sociali, esclusi soltanto quelli che la legge riserva in modo inderogabile alla decisione dei soci”.
In epoca successiva, forse dal 21 giugno 2012 , (pagina 6 della visura in atti) non meglio individuabile sulla base dei documenti prodotti, interveniva tra i soci una modifica nella suddivisione delle quote sociali dal momento che, come attestato dal verbale di assemblea del 25 ottobre 2012 (doc 3 attore), risulta che a tale data erano soci della X. Costruzioni s.r.l. C. G. E., per la quota non più di 45.000,00 euro, ma per la quota minore di euro 12.000,00, C. D., non più per la quota di 5.000,00 euro, ma per quella maggiore di euro 12.000,00 e, quale nuovo socio, R. R., per la quota di euro 26.000,00 all’evidenza a lei ceduta dal socio di maggioranza C. G. E..
A far tempo da tale data, a seguito di espressa richiesta dei soci di minoranza, l’amministratore unico rassegnava le proprie dimissioni; assumeva successivamente la carica di Amministratore unico nuovamente l’attore fino alla data del giorno 11 aprile 2013 quando il Tribunale di Piacenza dichiarava il fallimento della società (doc 7 attore).
Sempre dai documenti prodotti risulta, ancora, che, all’esito di accesso della Guardia di Finanza presso la società, intervenuto nel corso del 2010, quando era amministratore unico la convenuta e soci l’attore e C. D., veniva accertata, in via induttiva, a carico della società, l’esposizione di costi non deducibili relativi all’anno 2007, pari ad euro 912.180,00, per l’anno 2008, pari ad euro 935.771,00 e per l’anno 2009, pari ad euro 437.660,00.
Sul punto pare opportuno evidenziare come negli avvisi di accertamento notificati all’attore quale socio di maggioranza con riferimento a tali anni, l’Ufficio avesse chiaramente precisato come le contestazioni a lui mosse traessero origine, in punto di fatto, dalle indagini svolte a carico della società secondo le modalità descritte nei relativi avvisi di accertamento a lei diretti e richiamati per relazione in quelli notificati al socio, il quale peraltro non risulta averli prodotti in giudizio.
Con specifico riferimento, quindi, agli avvisi di accertamenti a lui tutti contestualmente notificati in data 14 agosto 2012, dopo che alla società erano stati notificati autonomi avvisi di accertamento in data 4 luglio 2012, si evidenzia ancora, che, in virtù di un ragionamento induttivo e presuntivo, l’Agenzia delle Entrate contestava , attesa la quantificazione di costi indeducibili, l’esistenza pro quota, avendo la società all’epoca una ristretta base di partecipazione societaria, ridotta solo a due soci, uno dei quali, l’attore in misura pari al 95%, la percezione di redditi da impresa mai dichiarati, non avendo il socio presentato dichiarazione dei redditi delle persone fisiche e, sulla base di tale assunto, determinava le sanzioni amministrative irrogabili all’attore per tali omissioni, in misura complessiva, con riferimento ai tre anni di riferimento e tenuto conto dei limiti del cumulo giuridico, in euro 556..195,67 importo che il contribuente avrebbe anche potuto corrispondere, in mancanza di sua opposizione da esercitare nei termini indicati negli stessi avvisi, nelle opportune sedi, anche in via notevolmente ridotta ovvero in forma rateizzata.
Così ricostruita la fattispecie in punto di fatto, ne consegue, lasciando per un momento impregiudicata ogni ulteriore valutazione con riferimento alla sussistenza nel caso di specie dei presupposti per l’applicazione della previsione di cui all’art 2476 comma VI c.c., come certamente il tema del contendere, anche nell’ipotesi più favorevole all’attore, debba essere circoscritto esclusivamente agli importi a lui richiesti a titolo di sanzione amministrativa per le omissioni a lui addebitate e non certamente, come invece prospettato, alla somma degli importi da reddito non dichiarato come quantificato in atto introduttivo.
Tanto precisato, si rileva, quindi, che, secondo la previsione invocata dalla sua difesa e secondo la costante giurisprudenza di Legittimità formatasi in tema, sussiste una assoluta identità tra la disposizione di cui all’art 2476 comma VI c.c. e quella di cui all’art 2395 c.c. nella parte in cui fa salvo il diritto del singolo socio di agire direttamente contro l’amministratore della società che abbia causato a lui un danno immediato e diretto.
In particolare si è affermato che “ in tema di azioni nei confronti dell’amministratore di società, a norma dell’art 2395 c.c., il terzo o il socio è legittimato, anche dopo il fallimento, della società all’esperimento dell’azione di natura aquiliana per ottenere il risarcimento dei danni subiti nella propria sfera individuale, in conseguenza di atti dolosi o colposi compiuti dall’amministratore, solo se questi siano conseguenza immediata e diretta del comportamento denunciato e non il mero riflesso del pregiudizio che abbia colpito l’ente, ovvero il ceto creditorio per effetto della cattiva gestione, dovendosi proporre, altrimenti, l’azione contrattuale di cui all’art 2394 c.c. esperibile in caso di fallimento della società, dal curatore , ai sensi dell’art 146 della Legge Fallimentare“ (Cass.sez.I, 10 aprile 2014, 8458; ).
Ed, ancora, si è ribadito che “i soci di una società di capitali non hanno titolo al risarcimento dei danni che costituiscano mero riflesso del pregiudizio arrecato da terzi alla società, in quanto siano una mera porzione di quello stesso danno subito dalla società e risarcibile in favore della stessa, con conseguente reintegrazione indiretta a favore del socio; pertanto, un danno non può considerarsi giuridicamente riflesso quando tale possibilità non sussista, come per i danni arrecati alla sfera personale del socio (diritto all’onore o alla reputazione) o per taluni danni patrimoniali come quelli derivanti dalla perdita di opportunità personali, economiche e lavorative, o dalla riduzione del cosiddetto merito creditizio, i quali vanno risarciti al socio dal terzo responsabile “ (Cass. sez. I, 11 dicembre 2013, 27733; Cass. sez. III, 22 marzo 2012, 4548; Cass. sez. III, 22 marzo 2011, 6558; Cass. sez. I, 23 giugno 2010, 15220;).
Ne consegue che, attesa la natura indubbiamente aquiliana dell’azione di cui all’art 2395 c.c. ovvero, quanto alle società a responsabilità limitata, di cui all’art 2476 comma VI c.c., connotata da profili di specialità rispetto alla previsione generale dell’art 2043 c.c., in considerazione della qualità del soggetto danneggiato e della qualità del soggetto danneggiante, grava sull’attore fornire rigoR. prova sia del danno concretamente subito, sia della natura colposa o addirittura dolosa della condotta dell’amministratore, sia del nesso causale esistente tra condotta ed evento, dal momento che, altrimenti, qualora il danno prospettato risulti essere mera conseguenza riflessa del danno patito dalla società certamente si esce dalla previsione invocata .
Nel caso di specie tale puntualizzazione appare ancor più rilevante non appena si consideri come, essendo intervenuto nelle more il fallimento, in presenza di un danno meramente indiretto, ogni ulteriore azione dovrebbe essere esercitata in ipotesi dal Curatore fallimentare.
Tanto precisato, ritiene il Tribunale che nel caso di specie sia astrattamente configurabile un danno diretto al patrimonio del socio qualora il comportamento colposo dell’amministratore unico, che abbia esposto nella gestione della società costi effettivamente indeducibili abbia determinato a carico del singolo socio l’applicazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, di sanzioni per redditi d’impresa percepiti e non dichiarati . derivando da tale condotta un danno diretto al patrimonio del socio chiamato a corrispondere tale somme per la propria omessa dichiarazione di redditi (in termini Tribunale di Napoli, 7 novembre 2013 in wwwilcaso.it con riferimento ad una ipotesi nella quale il singolo socio lamentava di aver patito accertamenti dall’Erario a seguito di omesse denuncie di entrate derivanti dalla sua partecipazione sociale,accertate a seguito di indagini svolte dall’Agenzia delle Entrate nei confronti della stessa società).
In tale ipotesi, invero, il socio non lamenta di aver subito una quota del danno a sua volta patito della società, circostanza che attesterebbe la natura riflessa del danno prospettato, ma lamenta un danno personale al proprio patrimonio avendogli l’Ente richiesto, in considerazione della ristretta base partecipativa della società all’epoca, il pagamento di una sanzione per un reddito che avrebbe effettivamente percepito, incamerato personalmente e consapevolmente, in quanto socio di maggioranza, e che non avrebbe, peraltro, dichiarato.
Sul punto si deve, infatti, considerare, come anche evidenziato negli accertamenti in contestazione, come il contribuente ben possa contestare quanto a lui addebitato a prescindere da qualsivoglia esito dell’accertamento relativo alla società, non trattandosi di una conseguenza indiretta del primo ma di accertamenti tra di loro autonomi (Cass 2005/20851;Cass. 2003/16885;).
Ciò precisato, ritiene peraltro, il Tribunale che, nel caso di specie, parte attrice non abbia assolto all’onere probatorio su di lei gravante.
Con specifico riguardo al danno da lei asseritamente patito appare dirimente la circostanza secondo la quale C. G. E. si è limitato a produrre gli avvisi di accertamento di omessa dichiarazione dei redditi e di comminatoria delle relative sanzioni amministrative, senza invece documentare di aver effettivamente corrisposto le somme a lui richieste, ovvero di aver subito procedure esecutive, né, tanto meno ha provato di aver richiesto il pagamento in forma ridotta, come ben possibile, ovvero, di aver impugnato nelle opportune sedi contenziose l’accertamento medesimo fondato su valutazioni presuntive come tali certamente sindacabili .
Ne consegue, pertanto, che l’attore non ha provato quale danno in concreto abbia subito a seguito delle iniziative esposte non potendosi certamente equiparare a prova del danno la semplice richiesta di pagamento da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Se, dunque, già tale valutazione è nel caso di specie suffiente per il rigetto delle domande articolate in atti, si osserva, ancora, per completezza, che C. G. E. neppure ha provato in concreto in cosa sia consistita la condotta colposa o forse a suo avviso dolosa posta in essere dall’amministratore dell’epoca R. R..
Sul punto occorre considerare che la sua difesa non ha prodotto gli accertamenti eseguiti dalla Guardia di Finanza nei confronti della società con la conseguenza che non è stato provato da quali elementi di fatto sia emersa la natura indeducibile dei costi esposti dalla stessa; oltre a ciò si evidenzia che di regola i costi affrontati dalla società vengono esposti e vengono valutati dall’assemblea sociale in sede di approvazione del bilancio e nel caso di specie non avendo l’attore neppur allegato che la società non abbia provveduto a tali incombenti, si deve ritenere che tutti i bilanci siano stati regolarmente esaminati ed approvati anche da lui quale socio di maggioranza della s.r.l.
Né, per una differente valutazione, può avere valore risolutivo la circostanza da questi prospettata secondo la quale R. R. più volte sollecitata si sarebbe costantemente rifiutata nel corso del tempo di consentire al socio l’esame dei documenti contabili della società, determinandosi a presentare le proprie dimissioni nell’ottobre del 2012. Tale circostanza non può essere ritenuta provata sulla base della scelta della convenuta di dimettersi rimanendo socia della s.r.l. ovvero sulla base delle prove orali dedotte, consistite nel solo l’interrogatorio formale della stessa non appena si consideri come esso non sia stato ammesso in quanto relativo a circostanze prive di riferimento temporale, di contenuto valutativo ed assolutamente indeterminate. Si deve, inoltre, considerare come l’attore, nella sua veste di socio, di maggioranza fino al 2010 ben avrebbe potuto utilizzare nell’esercizio dei suoi poteri di controllo e di informazione, i rimedi previsti per ottenere anche coattivamente l’esibizione dei documenti sociali asseritamente a lui mai mostrati dall’amministratore unico.
Da ultimo ai presenti fini pare significativa anche la circostanza secondo la quale C. G. E., piuttosto che determinarsi a contrastare nelle opportune sedi tributarie un accertamento di natura semplicemente induttiva, fondato sul presupposto della base ristretta di partecipazione dei soci alla s.r.l., (all’epoca solo due) in presenza della quale si presume la piena conoscenza e la piena condivisione da parte loro della gestione affidata all’amministratore, (Cass.26428/2010;), presunzione che la stessa Corte di Legittimità precisa essere superabile con la prova contraria da parte del contribuente che dimostri di non aver comunque introitato utile di sorta, (Cass.sez.V, 29 gennaio 2010, 1906; Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia, 7 ottobre 2013; Commissione Tributaria Provinciale di Parma, sentenza n 97 del 2013; ) abbia preferito agire direttamente nei riguardi dell’amministratore dando per provato un nesso causale in realtà non dimostrato.
All’esito delle valutazioni esposte, si impone, pertanto, conclusivamente, il rigetto della domanda articolata in atti.
Non essendosi R. R. costituita nel giudizio, si dichiarano irripetibili le spese processuali.
P.Q.M.
 
IL TRIBUNALE DI PIACENZA definitivamente pronunciando così provvede:
 
RIGETTA
 
le domande articolate da C. G. E. nei confronti di R. R.;
 
DICHIARA
 
irripetibili le spese processuali;
Piacenza, 21 maggio 2015
Il Presidente relatore

05/01/16

Leasing immobiliare sulla prima casa (Legge di Stabilità)



Leasing immobiliare sulla prima casa, come funziona  6 gennaio 2016

La legge di Stabilità ha esteso il leasing immobiliare alle persone fisiche. Le nuove norme si applicano dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2020. Secondo quanto stabilito, con il contratto di leasing immobiliare la banca o l’intermediario si obbligano ad acquistare l'immobile o farlo costruire, su scelta e indicazione del soggetto utilizzatore, a disposizione del quale l’immobile è posto per un dato tempo e verso un corrispettivo che deve tener conto del prezzo di acquisto o di costruzione e della durata del contratto. Alla scadenza del contratto l’utilizzatore ha la facoltà di acquistare la proprietà del bene a un prezzo prestabilito. Vediamo, come riportato su giornali specializzati e qui riassunto, cosa dice la disciplina civilistica e fiscale per la locazione finanziaria di immobili adibiti ad uso abitativo.
Divieto di azione revocatoria fallimentare
All’acquisto dell’immobile oggetto del contratto di leasing immobiliare si applica il divieto di azione revocatoria fallimentare (ai sensi dell'articolo 67, comma 3, lettera a) l.fall.).
Le conseguenze della risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore
In tal caso il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a corrispondere quanto ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene avvenute a valori di mercato, dedotte alcune somme. L’eventuale differenza negativa è corrisposta dall’utilizzatore al concedente.
Obblighi di trasparenza e pubblicità
Sono previsti specifici obblighi di trasparenza e pubblicità per le attività di vendita e ricollocazione del bene. E’ possibile chiedere la sospensione del pagamento dei corrispettivi periodici per non più di una volta e per un periodo massimo complessivo non superiore a dodici mesi nel corso dell’esecuzione del contratto medesimo, con proroga automatica del contratto per il corrispondente periodo; il beneficio della sospensione è subordinato a specifici eventi intervenuti successivamente alla stipula del contratto, in particolare la cessazione del rapporto di lavoro subordinato.
Le modalità di ripresa dei pagamenti al termine della sospensione
La sospensione non comporta l’applicazione di alcuna commissione o spesa di istruttoria ed avviene senza richiesta di garanzie aggiuntive. Si consente all’intermediario, per il rilascio dell’immobile, di agire con il procedimento per convalida di sfratto.
La disciplina fiscale
Sono deducibili a fini Irpef nella misura del 19% i seguenti costi, relativi al contratto di locazione finanziaria: si tratta dei canoni e dei relativi oneri accessori, per un importo non superiore a 8.000 euro, nonché del costo di acquisto dell’immobile all’esercizio dell’opzione finale, per un importo non superiore a 20.000 euro, ove le spese siano sostenute da giovani di età inferiore a 35 anni, con un reddito complessivo non superiore a 55.000 euro all’atto della stipula del contratto di locazione finanziaria e non titolari di diritti di proprietà su immobili a destinazione abitativa. La detrazione spetta alle medesime condizioni previste per la detrazione degli interessi passivi sui mutui contratti per l’abitazione principale.
Per i soggetti di età pari o superiore a 35 anni, ferme restando le altre condizioni richieste con le norme in esame, l’importo massimo detraibile a fini Irpef è dimezzato: al massimo 4.000 euro per i canoni e 10.000 euro per il costo di acquisto.
Le agevolazioni relative all’imposta di registro
Si assoggettano ad imposta di registro in misura proporzionale anche le cessioni, da parte degli utilizzatori, di contratti di locazione finanziaria aventi ad oggetto gli immobili ad uso abitativo (quindi non solo ad uso strumentale), ancorché assoggettati a Iva.
L’imposta si applica nella misura dell’1,5% per gli atti di trasferimento, nei confronti di banche ed intermediari che esercitano attività di leasing finanziario, di abitazioni non di lusso, acquisite in locazione finanziaria a specifiche condizioni (ovvero a quelle previste anche per le agevolazioni sull’acquisto della prima casa).
L’aliquota dell’imposta di registro è pari all’1,5% - e non del 4% come previsto per le cessioni di leasing di beni strumentali - sugli atti relativi alle cessioni, da parte degli utilizzatori, di contratti di locazione finanziaria relativi a immobili “non di lusso”, nei confronti di soggetti per i quali ricorrono le stesse condizioni richieste per le agevolazioni (sempre ai fini delle imposte di registro) per l’acquisto della prima casa, ancorché assoggettati a Iva. Fuori da tali condizioni, gli atti relativi a cessioni di leasing sono soggette a imposta nella misura piena del 9%.

Cassazione Ordinanza 16/7/2015 n. 14995 aliquote agevolate imposta registro

Aliquote agevolate imposta di registro
Cassazione si è espressa sulle aliquote agevolate delle imposte di registro, catastali ed ipotecarie con riferimento ai trasferimenti di beni immobili situati in aree soggette a piani particolareggiati, a condizione che l'utilizzazione edificatoria avvenga entro cinque anni dal trasferimento. Il beneficio di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 33, comma 3, si applica anche nel caso in cui, al momento della registrazione dell'atto di trasferimento, pur sussistendo l'inserimento dell'immobile in un piano particolareggiato, non sia stata ancora stipulata la convenzione attuativa con il Comune, come indicato nella L. n. 350 del 2003, art. 2.
leggi ordinanza del 16 luglio 2015 14995 della cassazione Sezione VI Civile sottosez. T
ha pronunciato la seguente:


Ordinanza 16/7/2015 n. 14995
sul ricorso 1391/2014 proposto da:
X SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del suo liquidatore e legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA.... , presso lo studio dell'avvocato PATRIZIA... , rappresentata e difesa dagli avvocati FRANCESCO.... , RAFFAELE ..... giusta procura a margine del ricorso;
 - ricorrente -
 contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
 - controricorrenti -
avverso la sentenza n. 51/2/2012 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di ANCONA, depositata il 23/11/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/04/2015 dal Consigliere Relatore Dott. X.

Svolgimento del processo - Motivi della decisione
 rilevato che, ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c., è stata depositata in cancelleria la relazione di seguito integralmente trascritta:

"La X. . ricorre contro l'Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n. 51/2/2012 con cui la Commissione Tributaria Regionale delle Marche, confermando la sentenza di primo grado, ha negato il diritto della contribuente di fruire del beneficio di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 33, comma 3, relativamente alle imposte di registro ipotecarie e catastali dovute su un contratto di acquisto di un area edificabile compresa in piani attuativi particolareggiati di iniziativa privata. Secondo la Commissione Tributaria Regionale la contribuente non poteva giovarsi del disposto della L. n. 388 del 2000, art. 33, comma 3, perchè al momento della stipula del contratto di compravendita dell'area non era stata ancor sottoscritta la convenzione di lottizzazione necessaria per poter fruire del predetto beneficio.
In ricorso si fonda su un unico motivo concernente la violazione e la falsa applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 30, e art. 33, comma 3, della L. n. 350 del 2003, art. 2, della L. n. 1150 del 1942, art. 28, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). In base a tali disposizioni, secondo la ricorrente, per la fruizione dell'agevolazione in questione non sarebbe necessario che la stipula della convenzione di lottizzazione preceda l'atto di trasferimento.
L'Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.

Il ricorso appare manifestamente fondato. L'assunto, sul quale si fonda la decisione della sentenza gravata, secondo cui il beneficio fiscale di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 33, comma 3, sarebbe applicabile ai soli trasferimenti di beni immobili avvenuti dopo la sottoscrizione della convenzione di lottizzazione, non può infarti essere condiviso. Tale assunto, pur riscontrabile in un indirizzo minoritario di questa di questa Corte (tra cui oid. n. 22230/2011) risulta contraddetto dalla prevalente giurisprudenza di legittimità, a cui il relatore propone di dare conferma e seguito, che ha chiarito che il beneficio di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 33, comma 3, (che prevede aliquote agevolate delle imposte di registro, catastali ed ipotecarie con riferimento ai trasferimenti di beni immobili situati in aree soggette a piani particolareggiati comunque denominati, a condizione che l'utilizzazione edificatoria avvenga entro cinque anni dal trasferimento) si applica anche nel caso in cui, al momento della registrazione dell'atto di trasferimento, pur sussistendo l'inserimento dell'immobile in un piano particolareggiato, non sia stata ancora stipulata la convenzione attuativa con il Comune, come indicato nella L. n. 350 del 2003, art. 2; sempreché sia rispettato il termine quinquennale per l'utilizzazione edificatoria. Si vedano, in termini, le sentenze nn. 20864/10, 7898/12, 11068/13 e 14732/14, nella quale ultima si chiarisce che il disposto della L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 30, (secondo cui le agevolazioni in questione si applicano, in ogni caso, a seguito della sottoscrizione della convenzione con il soggetto attuatore) non stabilisce che la sottoscrizione della convenzione deve precedere l'atto di disposizione, ma sancisce che comunque la sottoscrizione della convenzione da diritto alla agevolazione.
Si propone l'accoglimento del ricorso e la cassazione con rinvio della sentenza gravata".
che l'Agenzia delle entrate si è costituita; che la relazione è stata notificata alle parti; che non sono state depositate memorie difensive;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide gli argomenti esposti nella relazione;
che, pertanto, si deve accogliere il ricorso e cassare con rinvio la sentenza gravata.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza gravata e rinvia ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale delle Marche, che regolerà anche le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 22 aprile 2015.
Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2015

09/06/15

Sentenza Cassazione su bollo auto (9 maggio 2014, n. 10067)

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Sentenza 9 maggio 2014, n. 10067


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott.  - Presidente -

Dott.  - rel. Consigliere -

Dott.  - Consigliere -

Dott.  - Consigliere -

Dott.  - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza
sul ricorso 7663-2008 proposto da:

REGIONE LAZIO in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA MARCANTONIO COLONNA 37, presso lo studio dell'avvocato URICCHIO SERGIO, che lo rappresenta e difende giusta delega in calce;

- ricorrente -

contro

M.S., SRT SPA;

- intimati -

avverso la sentenza n. 156/2007 della COMM.TRIB.REG. di ROMA, depositata il 07/06/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/02/2014 dal Consigliere Dott. MARINA MELONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

M.S. impugnava la cartella esattoriale con la quale il concessionario per la riscossione della provincia di Viterbo aveva chiesto il pagamento della tassa automobilistica evasa nell'anno 1999 oltre sanzioni, interessi e spese, eccependo la prescrizione del credito ed il vizio di irrituale ed illegittima notifica della cartella esattoriale per mancanza di elementi essenziali nella relazione di notifica.

La Commissione Tributaria provinciale di Viterbo accoglieva il ricorso e su ricorso in appello proposto dalla Regione Lazio, la Commissione tributaria regionale del Lazio con sentenza nr. 156/5/07 depositata in data 7/6/2007, confermava la sentenza di primo grado e dichiarava prescritto il credito per decorso del terzo anno successivo a quello in cui doveva essere effettuato il pagamento.

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale del Lazio ha proposto ricorso per cassazione la Regione Lazio con un motivo, M.S. non ha spiegato difese.

Motivi della decisione


Con il primo motivo di ricorso la ricorrente Regione Lazio lamenta violazione e falsa applicazione del D.L. 30 dicembre 1982, n. 953, art. 5, in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il giudice di appello ha ritenuto prescritto il credito mentre al contrario il decorso del terzo anno successivo si riferisce al compimento dell'annualità interessata. Pertanto poichè la tassa dovuta si riferisce all'anno 1999, il termine finale di prescrizione andava a coincidere con la data del 31/12/2002.

Il ricorso è fondato e deve essere accolto.

Sul punto si è pronunciata questa Corte con Sez. 5, Sentenza n. 3048 del 08/02/2008 secondo la quale: "La prescrizione triennale del credito erariale avente ad oggetto il pagamento della tassa di circolazione dei veicoli inizia a decorrere non dalla scadenza del termine previsto per il pagamento della tassa, ma dall'inizio dell'anno successivo, in virtù della previsione di cui al D.L. 6 gennaio 1986, n. 2, art. 2 (convertito nella L. 7 marzo 1986, n. 60) (in applicazione di tale principio la S.C. ha ritenuto che il suddetto termine triennale spirasse, per un pagamento scadente il 31 gennaio 1996, non già il 31 gennaio 1999, ma il 31 dicembre 1999)".

Infatti in tema di tassa di possesso sugli autoveicoli, il D.L. 6 gennaio 1986, n. 2, art. 3, convertito nella L. 7 marzo 1986, n. 60, che ha sostituito l'art. 5 del D.L. 30 dicembre 1982, n. 953, comma 31, convertito con modificazioni nella L. 28 febbraio 1983, n. 53, non si è limitato a disporre, in via generale, l'allungamento del termine prescrizionale biennale stabilito nel testo originario, ma ha inteso, altresì, assicurare in ogni caso la riscossione, entro il nuovo termine di tre anni, della tassa di circolazione dovuta per il 1983 con applicazione retroattiva. (Sez. 1, Sentenza n. 3658 del 28/04/1997).

Per quanto sopra deve essere accolto il ricorso proposto e cassata la sentenza impugnata. La causa può essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c. non richiedendo ulteriori accertamenti in punto di fatto, con rigetto del ricorso introduttivo.

Ricorrono giusti motivi per compensare fra le parti le spese dei gradi del giudizio di merito e di legittimità, stante l'evolversi della vicenda processuale.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta il ricorso introduttivo. Compensa tra le parti le spese di giudizio dei gradi di merito e di legittimità.


Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione 5 civile, il 18 febbraio 2014.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2014

20/12/14

FATTURA PA


Dal sei giugno 2014 è scattato l’obbligo di adozione della fatturazione elettronica per le prestazioni e le cessioni di beni effettuate nei confronti dei Ministeri, Agenzie fiscali ed Enti nazionali di previdenza e assistenza sociale; dal prossimo 31 marzo 2015 l’obbligo verrà esteso a tutte le altre amministrazioni pubbliche (diverse dai Ministeri, Agenzie fiscali ed enti di previdenza) e per le Amministrazioni locali.
Nell'invio della fattura in formato elettronico alla PA, non sia possibile recapitarla. La procedura formale, dice che in base all’articolo 6, comma 6, del D.M. 55/2013, il fornitore non può essere pagato, fino a quando non viene trasmessa la fattura elettronica.
Vi possono essere due diverse problematiche: lo scarto della fornitura o la mancata consegna. La notifica di scarto è conseguente a un blocco nella procedura di invio della fattura elettronica alla PA e viene inviata dal Sdi quando i controlli effettuati da quest'ultimo, prima dell'inoltro del documento all'ente destinatario della fattura, non vengono superati.
Se invece i controlli sono superati, il processo prosegue e l'emittente riceverà altre comunicazioni:  una ricevuta di consegna se l'inoltro ha esito positivo;  una notifica di mancata consegna in caso di inoltro con esito negativo naturalmente per cause tecniche non imputabili al Sistema di interscambio. Il D.M. n. 55/2013 sulla fatturazione alla PA obbligatoria in forma elettronica solo per Ministeri, Scuole, Procura della Repubblica, Agenzie ed enti di previdenza stabilisce che  all'articolo 2 che la fattura si considera trasmessa di cui all' ex articolo 21, comma 1, del D.P.R. 633/1972 e ricevuta dalle Amministrazioni solo con il rilascio della ricevuta di consegna.
Circolare del dipartimento Finanze "Funzione pubblica n.1/2014" precisa che la ricevuta di consegna recapitata all'emittente è  sufficiente a provare sia l'emissione della fattura, sia la sua ricezione da parte della PA, così come la notifica di mancata consegna è sufficiente a provare la ricezione della fattura da parte del sistema di interscambio.
Dunque, la fattura elettronica è da considerarsi emessa in base all'articolo 21, comma 1, del D.P.R. 633/1972 anche in caso di ricezione della notifica di mancata consegna. Se l'emittente riceve una notifica di scarto, la fattura non si può considerare emessa ai fini IVA.
 
Buone feste...


18/12/14

IL CONCORDATO FALLIMENTARE E LA SENTENZA DICHIARATIVA DI FALLIMENTO

Il concordato fallimentare è una delle forme di chiusura del fallimento grazie alla quale si realizza la soddisfazione in misura paritaria dei creditori senza ricorrere alla fase della liquidazione dell'attivo.
La proposta di concordato può essere presentata dal fallito, da uno o più creditori o da un terzo.La proposta può prevedere la suddivisione dei creditori in classi che tengano in considerazione in modo omogeneo gli interessi economici da essi vantati, trattamenti differenziati fra creditori appartenenti a classi diverse senza comunque alterare l'ordine dei diritti di prelazione, la "ristrutturazione" di debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma.
La proposta è sottoposta al voto dei creditori ed è approvata se riceve il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Il Curatore presenta al Giudice Delegato una relazione sull'esito delle votazioni e se la proposta è approvata il Giudice Delegato dispone che ne sia data immediata comunicazione alle parti interessate e fissa un termine entro il quale presentare eventuali opposizioni. Decorso tale termine senza che vengano presentate opposizioni il Tribunale omologa il concordato con decreto motivato. Quando passa in giudizio la sentenza di omologazione il fallimento si chiude.
La dichiarazione di avvenuta esecuzione del concordato fallimentare, rilasciata dal Tribunale, è titolo idoneo per annotare la cancellazione del fallimento essendo
il concordato fallimentare una procedura di chiusura del fallimento. La formalità è assoggettata al pagamento dell'I.P.T. in misura fissa con corresponsione di imposta di bollo ed emolumenti.
 
LA SENTENZA DICHIARATIVA DI FALLIMENTO
Il Decreto del 2006 ha modificato, seppure in modo marginale, l'art.16 della legge fallimentare relativo al contenuto della sentenza dichiarativa di fallimento che rappresenta contemporaneamente l'atto finale del processo di primo grado e l'atto iniziale
della procedura fallimentare.
FUNZIONI:
La sentenza dichiarativa di fallimento è pronunciata dal Tribunale in composizione collegiale ed adempie ad una serie di funzioni:
– sono nominati dal Tribunale il Giudice Delegato ed il Curatore;
– è ordinato al fallito di depositare tutte le scritture contabili e i bilanci, nonchè l'elenco dei creditori;
– si stabilisce la data dell'adunanza dei creditori in cui si procederà all'esame dello stato passivo;
– si assegna ai creditori il termine perentorio per la presentazione in cancelleria delle domande contenenti l'indicazione delle somme dovute dal fallito;
La sentenza di fallimento, al pari di tutte le sentenze civili, acquista giuridica esistenza soltanto con la sua pubblicazione cioè con il deposito nella cancelleria del giudice da cui è stata pronunciata.
L'art.17 della legge fallimentare prevede uno speciale regime di pubblicità della sentenza la quale, in particolare, deve altresì essere:
– notificata a cura del cancelliere al debitore entro il giorno successivo al deposito in cancelleria (da questo momento inizia a decorrere per il debitore il termine per presentare un'opposizione che, se accettata, comporta la revoca del fallimento);
– comunicata per estratto al Curatore e a chi ha richiesto il fallimento;
– annotata presso l'Ufficio del Registro delle Imprese dove l'imprenditore ha la sede legale (gli effetti della sentenza nei riguardi dei terzi si producono da questo
momento, pertanto, da questa data decorre il termine per proporre reclamo per qualunque interessato diverso dal debitore).
L'art.88 della legge fallimentare impone al curatore, in presenza di beni soggetti a pubblica registrazione, l'onere di notifica di un estratto della sentenza dichiarativa di fallimento ai competenti uffici per l'annotazione nei pubblici registri.
Lo scopo non è quello di rendere la sentenza di fallimento opponibile ai terzi ma soltanto quello di rendere conoscibile ai terzi la dichiarazione di fallimento che è già opponibile ad essi dal momento della sua emissione.
EFFETTI:
Fin dal momento in cui è pubblicata, cioè depositata in cancelleria, la sentenza dichiarativa di fallimento produce una complessa ed eterogenea serie di effetti tra loro strettamente connessi:
– per il fallito
– per i creditori
– sugli atti pregiudizievoli ai creditori
– sui rapporti giuridici preesistenti
Con la sentenza dichiarativa di fallimento il fallito subisce lo "spossessamento" cioè viene privato dell'amministrazione e della disponibilità dei beni che
costituiscono il suo patrimonio ma non ne perde la proprietà se non a liquidazione avvenuta (non si tratta di uno spossessamento totale poiché non sono
compresi nel fallimento quei beni che non potrebbero essere assoggettati ad un processodi espropriazione forzata cioè quei beni di natura strettamente personale).
L'art.42 della legge fallimentare precisa che tale effetto non è limitato soltanto ai beni presenti nel patrimonio del fallito al momento della dichiarazione di fallimento ma anche a quelli "futuri" che pervengono nel corso della procedura. Il Curatore, che di fatto sostituisce il fallito nella gestione del patrimonio, previa autorizzazione del Comitato dei Creditori, può rinunciare alla loro acquisizione qualora il costo da sostenere per il loro
acquisto e conservazione appaiano superiori al presumibile valore di realizzo.
Analogamente il Curatore, previa autorizzazione del Comitato dei Creditori, può rinunciare a liquidare quei beni la cui attività di liquidazione appaia non conveniente.
Altri effetti della sentenza:
– il fallito perde la capacità processuale cioè nei giudizi relativi a rapporti di diritto patrimoniale sta in giudizio il curatore (non solo per i processi ancora da instaurare, ma anche per quelli già in corso per i quali il fallimento produce l'interruzione)
– il fallito deve consegnare al Curatore la propria corrispondenza riguardante i rapporti compresi nel fallimento;
– il fallito è obbligato a comunicare al Curatore ogni cambiamento della propria residenza o domicilio.
La sentenza dichiarativa di fallimento apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito: essi sono privati del diritto di agire individualmente (in relazione, cioè, ad un singolo credito) in via esecutiva o cautelare e, secondo quanto disposto dall'art.52 della legge fallimentare, acquistano il diritto di concorrere alla distribuzione del ricavato dalla liquidazione forzata del patrimonio del debitore operata dagli organi fallimentari.
A tal fine è sancita la necessità, in sede fallimentare, dell'accertamento di ogni diritto di credito, nonché di ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare
attraverso un particolare procedimento, proprio della procedura concorsuale, cosiddetto "accertamento del passivo" (che riguarda anche i crediti esentati dal divieto di azioni esecutive individuali).
Gli atti pregiudizievoli ai creditori sono quelli compiuti dall'imprenditore nel tempo immediatamente anteriore all'apertura della procedura concorsuale che hanno
recato danno ai creditori diminuendo di fatto la consistenza attiva del patrimonio fallimentare o alterando la cosiddetta "par condicio creditorum" (regola fondamentale stabilita dall'art.2741 C.C. in base alla quale "i creditori hanno uguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione" cioè privilegi, pegni e ipoteche).
Infatti nell'attivo fallimentare rientrano non solo i beni appartenenti all'imprenditore al momento della dichiarazione di fallimento, ma anche alcuni beni che l'imprenditore ha ceduto a terzi anteriormente al fallimento e che la legge, in presenza di determinati e rigorosi presupposti, ritiene opportuno "recuperare" al fine di ricomprenderli tra i beni destinati a soddisfare i creditori concorsuali.
Nell'intento, quindi, di preservare i beni dell'imprenditore, che costituiscono la garanzia primaria per il soddisfacimento dei crediti accertati, la legge si preoccupa di disciplinare anche gli effetti che gli atti pregiudizievoli possono avere nei confronti di terzi e attribuisce al Curatore il potere di esercitare, nell'interesse di tutti i creditori, l'azione revocatoria ordinaria e l'azione revocatoria fallimentare che sono entrambe un mezzo di tutela del credito e costituiscono ulteriore rafforzamento delle garanzie patrimoniali a difesa delle legittime aspettative dei creditori. L'azione revocatoria è strettamente legata alla tutela dell'istante, infatti, il legislatore ha predisposto strumenti di intervento per il creditore sul patrimonio del debitore in funzione sostanzialmente conservativa: sia con il sequestro conservativo (art. 2905 C.C. - il sequestro conservativo serve a rendere inoffensiva per il creditore la disposizione giuridica del bene da parte del debitore poiché i suoi effetti consistono nell'imposizione di un vincolo giuridico sul bene stesso tale da rendergli inopponibile la disposizione. E' caratterizzato
anche dall'attitudine ad impedire la distruzione o l'occultamento materiale dei beni attraverso la sottrazione al debitore della disponibilità di fatto dei beni sequestrati, oltrechè della disponibilita giuridica, e l'affidamento dei medesimi ad un custode che può essere anche il debitore stesso, il quale detiene ed amministra i beni non più nell'interesse proprio ma nell'interesse dei creditori e sotto il controllo del giudice con tutte le conseguenze anche di ordine penale) sia con l'azione surrogatoria (art. 2900 C.C. - l'azione surrogatoria è un mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale che consiste nel potere del creditore di surrogarsi, cioè di sostituirsi, al debitore nell'esercizio dei diritti e delle azioni a contenuto patrimoniale che quest'ultimo vanta verso terzi e che, per
negligenza o dolo, trascura di far valere recando pregiudizio per le ragioni dei creditori) sia con l'azione revocatoria (ordinaria e fallimentare) si dà facoltà al creditore di intervenire sul patrimonio del debitore per conservare quella generica garanzia sui beni che successivamente saranno espropriati.
 
(fiscoepoliica.it)

06/12/14

MATERIA FALLIMENTARE (VENDITA BENI DA PARTE DEL CURATORE)

da Marco Ruggeri        
Categoria: ISTRUZIONI PER LA MATERIA FALLIMENTARE

Pubblicato: 06 Dicembre 2014

La nuova legge sul fallimento ha valorizzato il ruolo e i poteri del Curatore e del Comitato dei Creditori e ridimensionato i poteri del Giudice Delegato, in particolare:
– gli atti di straordinaria amministrazione (alienazioni) sono effettuate dal
Curatore previa autorizzazione del Comitato dei Creditori. Per la trascrizione delle formalità in questione il Curatore può presentare:
una copia conforme dell'autorizzazione da parte del Comitato dei Creditori (se il fallimento è stato dichiarato con atto antecedente al 16 luglio 2006 copia conforme dell'autorizzazione del Giudice Delegato) oppure una dichiarazione sostitutiva dove assicuri che il Comitato dei Creditori ha autorizzato la vendita o che egli, in qualità di Curatore, ha reso noto ai terzi cointeressati la vendita – per gli atti di valore superiore a € 50.000,00 il Curatore ne informa preventivamente il Giudice Delegato (art.35 Legge Fallimentare) a meno che lo stesso non abbia già approvato tali adempimenti in quanto compresi nel programma di liquidazione (art.104ter Legge Fallimentare).

Sino al 31.12.2007 per la trascrizione di formalità aventi per oggetto veicoli di valore superiore a € 50.000,00, il Curatore dovrà presentare:
una copia conforme dell'informativa al Giudice Delegato o della sua
approvazione se le formalità rientrano nel programma di liquidazione
o, in sostituzione, dichiarazione sostitutiva
Dal 1° gennaio 2008 la documentazione da presentare per gli atti previsti dall'art.104ter della Legge Fallimentare è costituita dall'approvazione del Comitato dei Creditori e dall'autorizzazione del Giudice Delegato entrambe in copia conforme o, in sostituzione, da apposita dichiarazione sostitutiva.

La vendita del veicolo da parte del Curatore, a seguito di fallimento del locatario realizza una trascrizione discontinua ex art.2688 C.C. non essendo il soggetto fallito intestatario della proprietà al P.R.A. (I.P.T. applicata in misura doppia).

L' art.107 della legge fallimentare contiene la disciplina generale delle vendite (e degli altri atti di liquidazione) per le quali indica che debbano avere luogo mediante procedure competitive che coinvolgano cioè il maggior numero possibile di soggetti interessati con adeguate forme di pubblicità, al fine di ottenere il maggior ricavo per la procedura (vendite all'asta, offerte in busta chiusa ecc.) Secondo quanto previsto dall' art.108 della legge fallimentare per i veicoli iscritti al P.R.A. e  per i beni immobili, una volta eseguita la vendita e riscosso interamente il prezzo, il Giudice Delegato ordina con decreto la cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo gravante sui beni.

Agenzia delle Entrate e prescrizione dei crediti

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